Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10854 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10854 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a GUASTALLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso, riportandosi alla memoria già depositata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa il 14 febbraio 2023, confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Reggio Emilia, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME in relazione all’imputazione di bancarotta fraudolenta societaria per distrazione, in essa assorbito il delitto di bancarotta impropria societaria a mezzo di falso in bilancio.
In particolare, NOME COGNOME era imputata nella sua qualità di amministratore unico della società “RAGIONE_SOCIALE“, poi confluita per fusione (unitamente alla società “RAGIONE_SOCIALE“) nell’omonima società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Reggio Emilia in data 22 aprile 2015, essendo stato accertato uno stato passivo complessivo pari a C 1.733.540,00.
NOME veniva ritenuta responsabile di aver distratto il cespite aziendale, consistente nel forno per la tempera dei cristalli mod. FGT 100/240 matricola 635 avente il valore di C 258.228,45 cedendolo alla società RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, il relativo controvalore.
Nell’imputazione originaria – che qui si riporta solo per chiarire complessivamente le condotte – veniva contestata anche la bancarotta societaria a mezzo di false comunicazioni sociali in quanto, al fine di conseguire un ingiusto profitto, COGNOME esponeva consapevolmente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, in quanto indicava alla voce “Impianti e Macchinari” dello stato patrimoniale attivo e nelle poste attive del conto economico del bilancio al 31 dicembre 2010 il forno suddetto, che invece aveva già ceduto alla società RAGIONE_SOCIALE con scrittura privata del 11 novembre 2008. Inoltre all’imputata veniva contestato di aver concorso a deliberare un atto dispositivo – quello relativo alla vendita del predetto cespite – senza che la società ottenesse la relativa contropartita, cagionando intenzionalmente un danno alla società medesima, e così il dissesto della neo costituita RAGIONE_SOCIALE, essendo tale società assolutamente priva di un bene fondamentale che le consentisse di realizzare l’oggetto sociale. Tali condotte erano state ritenute assorbite dal G.u.p. del Tribunale di Reggio Emilia nella condotta distrattiva, senza alcuna impugnazione da parte del Pubblico ministero.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
L’unico motivo, variamente articolato, deduce vizio di motivazione, anche relativamente al travisamento della prova.
Dopo aver ricapitolato il contenuto della sentenza di primo grado, e l’ampio motivo di appello, sostanzialmente la ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia dato risposta a tali censure, che tendevano a far ritenere l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla RAGIONE_SOCIALE, contitolare della cessionaria del forno, RAGIONE_SOCIALE: a tal proposito, indici della inattendibilità della RAGIONE_SOCIALE non valutati dalla Co d’appello – in ordine alla versione della dichiarante, che riferiva che il forno era stato venduto e non ceduto in comodato, cosicché quest’ultimo risulterebbe atto simulato rispetto al primo dissimulato – erano da individuarsi in primo luogo nell’interesse della stessa alla vicenda, in quanto anche RAGIONE_SOCIALE era fallita e la RAGIONE_SOCIALE era indagata per bancarotta documentale per soppressione. In secondo luogo, il rinvenimento della scrittura di vendita, che interveniva solo tre anni dopo la cessione, nonostante i soci subentranti della società RAGIONE_SOCIALE fossero ex
dipendenti della stessa, e dunque avevano avuto modo di verificare l’assenza del forno, acconsentendo al rinnovo del comodato. In terzo luogo, la cessionaria RAGIONE_SOCIALE non aveva denunciato il furto del forno, il che dimostrava ulteriormente l’inattendibilità della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere comprovata la vendita in luogo del comodato, dando credibilità alla scrittura privata di vendita come anche alla versione della COGNOME, che riferiva di conoscere l’esistenza dell’atto, ma di non averlo mai visto, e aggiungeva in modo non credibile che l’acquisto avvenne attraverso il pagamento dei canoni periodici, non indicati in alcun atto.
In sostanza, la motivazione della Corte territoriale riterrebbe distrattivo un atto che non era tale, in quanto non di vendita ma di comodato.
Il ricorso è stato trattato con l’intervento delle parti, a seguito dell’istanz di trattazione orale proposta dal difensore dell’imputato: in data 28 novembre 2023 veniva disposta dal Presidente titolare la trattazione in tale forma, cosicché la successiva istanza di rinuncia del difensore alla discussione orale non consentiva la conversione del rito già disposto.
Pertanto, non comparendo il difensore della ricorrente, concludeva oralmente solo il Pubblico ministero, riportandosi alla requisitoria e alle conclusioni scritte depositate con le quali chiedeva rigettarsi il ricorso, in quanto le censure di travisamento risultavano non consentite a fronte della “doppia conforme”, l’attendibilità della RAGIONE_SOCIALE risultava confortata dalla relazione della curatrice ex ar 33 legge fall., cosicché alcuna contraddittorietà poteva cogliersi nella motivazione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente evidenziato, come correttamente osserva la Procura generale, che la denuncia di travisamento, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotta con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio assenta mente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016
– dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 26921701). Il che nel caso in esame non è, in particolare con riferimento alla dichiarazione della RAGIONE_SOCIALE, già valutata in primo grado e in modo conforme valutata in appello.
Inoltre, deva anche osservarsi per un verso – come osserva Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994 – la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non consentire alla Corte di cassazione una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combiNOME disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.
Nel caso in esame il verbale delle dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE non viene allegato né indicato alla cancelleria ex art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., cosicché si impedisce a questa Corte una valutazione del travisamento del significante, per altro neanche specificamente dedotta, in quanto ciò che viene censurata è l’attendibilità della RAGIONE_SOCIALE, che la Corte di appello valuta al fol. 4 e al fol. 6 d sentenza impugnata.
La Corte territoriale ritiene sintomatico della credibilità sia la circostanza che COGNOME riconobbe la sottoscrizione del padre, contitolare della cessionaria RAGIONE_SOCIALE, sia anche che, pur non avendo mai visto la scrittura di vendita, ne conoscesse l’esistenza.
Con tali ultimi due profili, come anche con le convergenti emergenze della relazione della curatrice, che non è oggetto di censura, non si confronta il ricorso, cosicché lo stesso è assolutamente aspecifico sul punto, contestando in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, difettando di una critica puntuale al provvedimento, che prenda in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i moti di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
E per altro, non ‘attaccando’ tali specifici profili, non si palesa alcuna manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione: la censura si sostanzia in una valutazione di merito, come tale insindacabile nel giudizio di legittimità. Infatti sono inammissibili le doglianze della ricorrente che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilit dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106
del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965).
Per altro, la motivazione impugnata risulta anche corretta, oltre che non manifestamente illogica, a fronte di un ricorso che risulta sostanzialmente ancorato alla originaria ipotesi di accusa di falso in bilancio, che il GRAGIONE_SOCIALEu.p. aveva ritenuto assorbito, senza impugnazione alcuna, nella sola condotta distrattiva.
A ben vedere il dato rilevante è che il ‘forno’, essenziale per l’operatività della società fallita, fosse stato ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE senza alcun corrispettivo, quale che fosse la forma assunta dall’atto, comodato o vendita: a ben vedere tale distinzione aveva rilievo ai fini del falso in bilancio, ove la posta si riferiva al comodato e non alla vendita, solo in origine contestato, ma non mantiene più alcun rilievo ai fini della bancarotta per distrazione, in relazione alla quale è decisiva la sola circostanza che il cespite non sia mai stato rivendicato dalla società fallita e sia stato ceduto senza pagamento del controvalore.
Invero, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali, tanto che anche il contratto di affitto di azienda può connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione e ciò tanto nel caso in cui l’affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto in quello cui la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01; Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272841 – 01; Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, COGNOME e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, Martinel, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, COGNOME ed altri, Rv. 196456).
Per altro è stato anche osservato, in modo condiviso da questa Corte, proprio in ordine al comodato, che anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili “indici di fraudolenza” della distrazione (Sez. 5, n. 37109 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283582 – 01: nella fattispecie all’esame della S.C., tali indici sono stati rinvenuti nel fatto che l’imputato aveva ceduto in comodato gratuito, a prescindere da qualsiasi causa riconducibile all’oggetto sociale, un’autovettura della società a un terzo estraneo, che l’aveva
successivamente ceduta ad altri, il che è avvenuto anche nel caso in esame non essendo stato più rinvenuto il forno).
In sostanza, anche la tesi del comodato sostenuta dalla ricorrente, quand’anche fosse fondata, non risulterebbe idonea a disarticolare l’argomentazione complessiva della sentenza impugnata e la sua tenuta anche in tema di corretta applicazione della legge penale.
Va evidenziato, per altro, come la sentenza faccia buon governo dei principi in materia: la bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307), nel senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrità dei mezzi di garanzia, l’art. 216 legge fall. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non è elemento costitutivo della fattispecie tipizzata e che invero rileva esclusivamente ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui al primo comma del successivo art. 219 – bensì anche il pericolo conseguente alla mera possibilità che questo si verifichi.
Pertanto, sul versante dell’elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilità della bancarotta patrimoniale è quello generico, integrato dalla volontà di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilità del pericolo che tale operazione può determinare per gli interessi dei creditori.
In altri termini è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o che la finalità di determinarlo colori il dolo del reato come specifico, a differenza di quanto sostiene la ricorrente al fol. 8 del ricorso (Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, COGNOME ed altri, Rv. 234232).
Ne consegue la complessiva inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, 19/12/2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente