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Bancarotta per distrazione: affitto d’azienda senza canone

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore di fatto condannato per bancarotta per distrazione. Il reato è stato integrato dall’aver affittato un ramo d’azienda della società, poi fallita, senza incassare il canone di locazione, depauperando così il patrimonio sociale. La Corte ha ribadito di non poter riesaminare i fatti, ma solo la legittimità della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta per distrazione: affitto d’azienda senza canone

L’affitto di un ramo d’azienda è un’operazione commerciale comune, ma cosa succede se il canone pattuito non viene mai incassato dalla società locatrice, che poi fallisce? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1789/2024, ha confermato che tale condotta integra il grave reato di bancarotta per distrazione. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla tutela del patrimonio sociale e i limiti del giudizio di legittimità.

I Fatti del Caso: L’Affitto d’Azienda Sospetto

Il caso riguarda l’amministratore di fatto di una società agricola, condannato nei primi due gradi di giudizio per bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. L’accusa si fondava su un’operazione specifica: l’aver concesso in affitto un ramo cruciale dell’azienda, quello relativo alla trasformazione del latte, a un’altra società.

Nonostante fosse stato pattuito un canone annuo di 600.000 euro, la società locatrice, poi dichiarata fallita, non aveva mai incassato le somme dovute. A rendere l’operazione ancora più sospetta era il fatto che l’amministratore di fatto della società fallita fosse lo stesso della società affittuaria e che l’operazione fosse stata posta in essere quando lo stato di decozione era già conclamato. Questa operazione, secondo l’accusa, aveva sottratto risorse vitali dal patrimonio sociale, danneggiando irrimediabilmente i creditori.

Il Ricorso in Cassazione e le Tesi Difensive

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione: La difesa sosteneva che non fosse stata fornita una prova certa della condotta distrattiva. Si contestava l’affidabilità dell’informativa della Guardia di Finanza e si evidenziava come né il curatore fallimentare né il tribunale delle imprese avessero ravvisato responsabilità penali. Inoltre, si affermava l’impossibilità di dimostrare l’avvenuto pagamento del canone, poiché tutta la documentazione contabile era in possesso degli organi fallimentari.
2. Mancanza di motivazione sulla pena: Si lamentava che la pena inflitta fosse eccessiva, senza un’adeguata considerazione dell’età avanzata dell’imputato (ultraottantenne) e della sua incensuratezza.

La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta per Distrazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni difensive e confermando la condanna. La decisione si fonda su principi consolidati sia in materia di diritto penale fallimentare sia in ambito processuale.

Le Motivazioni

La Corte ha articolato le sue motivazioni distinguendo i due motivi di ricorso.

Sul primo motivo, relativo alla presunta assenza di prova, i giudici hanno ribadito un caposaldo del giudizio di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove. Il suo compito non è decidere se l’imputato sia colpevole o innocente, ma verificare se i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Il ricorso dell’imputato, secondo la Corte, si risolveva in una richiesta di rilettura delle prove, inammissibile in questa sede. Inoltre, le censure sono state ritenute una mera ripetizione di quanto già esposto e respinto in appello, senza un reale confronto con le argomentazioni della corte territoriale.

La Corte ha poi ribadito il principio giuridico chiave: integra il delitto di bancarotta per distrazione qualsiasi operazione che distacchi beni dal patrimonio sociale senza un corrispettivo effettivo o un’utilità per la società, causando un depauperamento in danno dei creditori. L’affitto di un ramo d’azienda senza incassare il canone pattuito rientra pienamente in questa fattispecie.

Sul secondo motivo, riguardante l’eccessività della pena, la Corte lo ha ritenuto parimenti inammissibile. La valutazione della congruità della pena è una prerogativa del giudice di merito. Può essere censurata in Cassazione solo se la motivazione è palesemente illogica o assente. In questo caso, il giudice d’appello aveva giustificato la pena basandosi sulla particolare intensità del dolo dell’imputato, una motivazione ritenuta né contraddittoria né manifestamente illogica.

Le Conclusioni

La sentenza n. 1789/2024 rafforza un importante principio di tutela per i creditori e per l’integrità del patrimonio aziendale. Qualsiasi operazione gestoria, come un contratto di affitto d’azienda, che si traduce in una diminuzione patrimoniale senza un reale e concreto beneficio per la società, può configurare una condotta distrattiva penalmente rilevante. L’amministratore, sia esso di diritto o di fatto, ha il dovere di agire nell’interesse della società e non può porre in essere atti che, di fatto, ne svuotano il patrimonio. Questa pronuncia serve anche come monito sulla natura del ricorso in Cassazione: non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un rigoroso controllo sulla corretta applicazione delle norme di diritto.

Cosa si intende per bancarotta fraudolenta per distrazione?
È un reato che si configura quando un amministratore sottrae o nasconde beni dal patrimonio di una società, destinandoli a scopi estranei all’impresa, con l’effetto di danneggiare i creditori. L’operazione deve causare un depauperamento del patrimonio sociale.

Affittare un ramo d’azienda senza incassare il canone è reato?
Sì, secondo la sentenza. L’affitto di un ramo d’azienda a cui non segue l’effettivo incasso dei canoni pattuiti, soprattutto se la società è già in difficoltà finanziarie, costituisce una condotta distrattiva che integra il reato di bancarotta fraudolenta, perché priva la società di entrate dovute.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No. La Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove. Il suo compito è limitato a verificare la legittimità della decisione, ossia che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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