Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4829 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4829 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SESTO SAN GIOVANNI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
NOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza resa il 10 novembre 2020, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano, che aveva condanNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche a fini civili, per il delitto di bancarotta patrimoniale lo ascritto nella qualità di amministratori di diritto dal 5 gennaio 2009 della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 18 marzo 2014.
Le operazioni distrattive contestate e ritenute provate sono consistite: nell’acquisto dalla società austriaca RAGIONE_SOCIALE, al prezzo di 430.000 euro, di un “progetto know how”, bene non reperito nell’inventario fallimentare; nell’acquisto al prezzo di circa 336.000 euro, dalla società RAGIONE_SOCIALE, di alcuni “prototipi” parimenti non reperiti; nell’acquisto, in data 13/12/2011, per la somma di euro 600.000, di una quota di partecipazione (pari al 31,5%) dalla società capogruppo amministrata dal medesimo COGNOME, in una società con sede a Londra (RAGIONE_SOCIALE) che avrebbe in tale momento presentato un patrimonio netto negativo e che aveva contestualmente dismesso la propria partecipazione in una società cinese, unico cespite attivo del suo patrimonio.
Ha proposto ricorso per cassazione il solo imputato COGNOME, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. c proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità.
Riepilogato il contenuto del proprio atto di appello, il ricorrente deduce che, con riferimento all’operazione conclusa con la RAGIONE_SOCIALE, pacificamente stipulata prima dell’assunzione dell’incarico amministrativo da parte sua, l’atto di appello avesse contestato anche l’effettiva acquisizione al patrimonio sociale del bene oggetto di contratto, circostanza con la quale la Corte di appello non si sarebbe confrontata.
Con riguardo all’operazione RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente censura la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui sembra smentire la ricostruzione del curatore fallimentare che aveva ipotizzato la fittizietà dell’operazione e addebita al ricorrente la genericità delle giustificazioni addotte, ritenendo invece i beni oggetto di acquisto realmente entrati nel patrimonio della società e da essa distratti; in ogni caso, la Corte territoriale non avrebbe motivato circa l’utilizzo dei beni oggetto di fornitura secondo finalità aziendali, come suggerito dall’atto di appello.
Con riguardo all’ultima operazione, il ricorrente censura la motivazione della sentenza che non avrebbe considerato il contenuto del contratto di cessione della
partecipazione della società cinese da parte della RAGIONE_SOCIALE: contratto che sarebbe stato concluso nel 2013, sicché, al momento della cessione delle quote di RAGIONE_SOCIALE nel 2011, queste ultime non sarebbero state, come ritenuto dall’accusa, prive di valore.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche: la motivazione sul punto resa dalla Corte di appello sarebbe generica.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Il Difensore ha depositato memoria, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è anzitutto reiterativo di censure proposte nell’atto di appello, cui la Corte territoriale ha fornito risposta tutt’altro che manifestament illogica.
Esso è costruito come un ulteriore motivo di appello, in quanto sollecita la Corte di cassazione ad una non consentita rilettura delle prove e rivalutazione dei fatti.
Ciò, peraltro, senza però nemmeno dedurre ammissibilmente il vizio di travisamento della prova. Infatti, il ricorso cita sparuti brani scelti di dichiaraz o documenti (come laddove si riferisce, a pagina 7, alle dichiarazioni dell’imputato, ovvero, nella stessa pagina, evoca le dichiarazioni di un coimputato, o ancora dove cita un passaggio del contratto siglato il 1 maggio 2013, a pagina 9), senza allegarli integralmente – dunque incorrendo nel difetto di autosufficienza – e senza dimostrarne il carattere di decisività.
1.1. Non è superfluo ribadire che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argonnentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo de provvedimento impugNOME, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale del provvedimento i
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sé e per sé considerato, verifica necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui esso è “geneticamente” informato, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugNOME, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621).
1.2. Ai motivi di appello in punto responsabilità, la Corte territoriale ha fornit non illogica risposta.
1.2.1. Quanto all’operazione RAGIONE_SOCIALE, la Corte territoriale ha argomentato come le stesse deduzioni difensive fossero nel senso del perfezionamento della contrattazione, e dunque di un effettivo trasferimento dei beni indicati nel contratto, ed ha preso atto sia del loro mancato reperimento e della assoluta genericità delle spiegazioni fornite sul punto, sia del provato pagamento di una parte del prezzo nel 2009, sotto l’amministrazione dell’odierno ricorrente (cfr. pagina 12 della sentenza di appello; a pagina 4 della sentenza di primo grado si è quantificato in 80.000 euro l’importo pagato il 31 dicembre 2009). La Corte di appello ha condivisibilmente aggiunto (pag. 18 della sentenza), in ogni caso, che il nuovo amministratore poteva agevolmente verificare la mancanza dei beni acquistati, il cui pagamento è tuttavia avvenuto anche nella vigenza della carica (sicché, anche nel caso in cui il contratto fosse stato simulato, il pagamento degli 80.000 euro avvenuto il 31 dicembre 2009 avrebbe indubbia natura distrattiva perché si tratterebbe di un esborso privo di finalità aziendali).
1.2.2. Quanto all’operazione RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione sulla base di argomentazioni del tutto inedite, eccentriche rispetto a quelle sviluppate nell’atto di appello, cui la Corte territoriale ha fornito congr risposta. Nell’atto di appello, infatti (cfr. 6-7 di quell’atto), l’imputato si era sostenendo l’effettività dell’operazione e deducendone la corrispondenza a finalità aziendali. La Corte territoriale ha giudicato generiche le giustificazioni addotte dall’odierno ricorrente, secondo le quali i prototipi acquistati sarebbero confluiti i un non ben identificato impianto (pagg. 14-15).
La motivazione anche su questo aspetto è esente da rilievi.
Va ribadito infatti che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad
opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (per tutte v. Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710).
Ciò deriva dalla peculiarità della normativa concorsuale. L’imprenditore, infatti, è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso alla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Nondimeno, l’art. 87 legge fall. assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale: «l’obbligo di verità, penalmente sanzioNOME e gravante sul fallito ex art. 87 legge fall., unitamente alla sua responsabilità in ordine al conservazione della garanzia patrimoniale, giustifica l’apparente inversione dell’onere della prova a suo carico, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato» (Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, Ciraolo, Rv. 282652).
Naturalmente, ciò non significa che il giudice possa ignorare l’eventuale affermazione che provenga dall’imputato il quale riferisca della destinazione dei beni non rinvenuti a finalità aziendali: deve però trattarsi di informazioni specifiche, tali da consentire il recupero dei beni o l’individuazione della lor effettiva destinazione (cfr. Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204).
1.2.3. Quanto infine all’operazione RAGIONE_SOCIALE, ancora una volta la motivazione è esente da rilievi e quella che il ricorrente tenta è una inammissibile sollecitazione alla rivalutazione delle prove.
La Corte territoriale ha evidenziato che il 31,5% delle quote di RAGIONE_SOCIALE è stato oggetto di vendita, nel 2011, da RAGIONE_SOCIALE alla fallita per l somma di 600.000 euro; che RAGIONE_SOCIALE aveva detenuto una partecipazione del 70% della società cinese RAGIONE_SOCIALE, partecipazione iscritta nel bilancio di RAGIONE_SOCIALE, nel 2004, per 342.489 GBP (dato che già evidenzia l’incongruità della valutazione del 31,5% delle quote dì RAGIONE_SOCIALE in 600.000 euro, anche nella più favorevole prospettiva sollecitata dal ricorrente, in assenza di poste attive diverse dalla partecipazione alla società cinese); che la somma di 600.000 euro non è stata pagata, nonostante fosse previsto un termine di sei mesi per il versamento del dovuto; che nel 2013 è stata operata una compensazione con i crediti della fallita nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per circa 450.000
euro; che a partire dal bilancio del 2011 di RAGIONE_SOCIALE, la quota di partecipazione nella società cinese non era più riportata, ed il patrimonio netto di RAGIONE_SOCIALE era negativo.
A fronte di ciò, la Corte ha correttamente argomentato circa l’assoluta incongruità del valore della partecipazione del 31,5°/o nel capitale di RAGIONE_SOCIALE alla data dell’acquisto delle quote e, comunque, circa l’assenza di qualsivoglia significato economico, per la fallita, di un’operazione del genere.
L’imputato si è difeso richiamando genericamente un documento da cui si desumerebbe, in contrasto con il bilancio valorizzato dalla Corte di appello, che la dismissione della partecipazione nella società cinese da parte di quella inglese sarebbe avvenuta nel 2013, e la Corte territoriale ha ritenuto generica tale allegazione.
Nemmeno il travisamento della prova per omissione appare comunque ammissibilmente dedotto, essendosi limitato il ricorrente alla trascrizione, nel ricorso, di una riga dell’asserito contratto.
Richiamati i limiti del giudizio della Corte di cassazione, che non può rivalutare le prove, la motivazione della Corte territoriale appare priva di rilievi: l’operazione peraltro palesemente incongrua (la partecipazione al 31,5°/o in RAGIONE_SOCIALE è stata valutata 600.000 euro, ben più dell’intero valore della partecipazione di RAGIONE_SOCIALE nel 70% del capitale sociale della società cinese), non è stata in alcun modo suffragata da finalità aziendali ed è dunque da considerarsi distrattiva.
Inammissibile è anche il secondo motivo, inerente il giudizio di comparazione tra le circostanze.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite ha avuto modo di affermare, infatti, che le statuizioni sul punto, «implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931): motivazione congrua, resa dalla Corte di appello a pagina 20 della sentenza impugnata, che valorizza l’assenza di iniziative positivamente valorizzabili da parte del COGNOME (e del coimputato), quali condotte risarcitorie o riparatorie.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 12/01/2024