Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29837 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29837 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TARANTO il 20/03/1979
avverso la sentenza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in riforma della pronuncia emessa dal GUP del Tribunale di Taranto il 26.10.2023, in esito a rito abbreviato, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, nonché di omesso deposito delle scritture contabili ai sensi dell’art. 220 I.fall., diminuendola ad anni due e mesi due di reclusione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Le pene accessorie fallimentari sono state, altresì, conseguentemente ridotte in modo coerente con la pena principale, nella stessa durata.
L’imputato è stato condannato in relazione ai reati collegati al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 9.12.2021, di cu era legale rappresentante.
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, deducendo due diversi motivi.
2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva, richiesta nell’atto di appello, nonché per vizio di omessa o carente motivazione al riguardo del provvedimento impugnato.
La difesa del ricorrente evidenzia che era stato richiesto con l’atto di appello che si acquisisse la consulenza tecnica di parte, successiva alla sentenza di primo grado e prova nuova decisiva, oppure che si disponesse una perizia, per una più approfondita analisi della documentazione acquisita agli atti del processo.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di violazione di legge nonché carenza o illogicità manifesta della motivazione del provvedimento impugnato, con riguardo all’affermazione di colpevolezza per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, basata soltanto sulla relazione del curatore e le indagini della polizia giudiziaria, senza tenere in conto le esaurienti spiegazioni fornite dal ricorrente riguardo ai beni aziendali non ritrovati nella disponibilità della falli la consegna al curatore della documentazione contabile, ancorchè non in modo organico; peraltro, non vi è adeguata motivazione sul necessario elemento soggettivo doloso dei due reati di bancarotta fraudolenta, distrattiva e documentale.
Quanto alla bancarotta distrattiva, la difesa evidenzia l’apoditticità delle affermazioni di colpevolezza.
Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.
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La difesa del fallimento, costituitosi parte civile, ha depositato conclusioni e nota spese, con cui chiede la rifusione delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, sottolineando di essere ammessa al gratuito patrocinio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo di critica proposto dalla difesa è fuori fuoco, poichè non tiene conto degli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità in ordine all’integrazione istruttoria del giudizio abbreviato, scelto dal ricorrente p definire il suo processo.
Infatti, nella fase d’appello di tale rito, le parti, secondo un indiri ermeneutico che, dopo qualche oscillazione, è oramai dominante, sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabil dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 6 comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (cfr., tra più recenti massimate, Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585 – 01).
Quel che più conta è, poi, che, nel giudizio di appello avverso la sentenza resa all’esito di rito abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti; tuttavia, in presenza di prova sopravvenuta o emersa dopo la decisione di primo grado, tale giudizio deve tener conto della “novità” del dato probatorio, per sua natura adatto a realizzare un effettivo ampliamento delle capacità cognitive nella chiave “prospettica” sopra indicata (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482 – 02).
Dunque, è sul carattere di novità della prova che si gioca la partita della possibilità di una sua ammissione nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato non condizionato.
In relazione all’impugnazione di una tale pronuncia, infatti, l’assunzione di nuove prove si richiede debba essere realmente abbinata alla “novità” di queste.
Il che equivale a dire che è possibile solo qualora dette prove non si riferiscano a circostanze di fatto anteriori al processo e conosciute dall’imputato, poichè altrimenti si sarebbe in presenza di prove che avrebbero dovuto formare oggetto
di una richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria da sottoporre al relativo vaglio di ammissibilità (Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017, COGNOME, Rv. 270474 – 01; Sez. 2, n. 49324 del 25/10/2016, COGNOME, Rv. 268363 – 01).
Nel caso del ricorrente, è stata richiesta in appello la rinnovazione istruttoria avente ad oggetto l’acquisizione di una consulenza tecnica di parte su documentazione contabile preesistente, che non può rientrare nel concetto di “prova nuova” come poc’anzi declinato, tale da rendere efficace anche la censura del ricorso relativa alla sua mancata assunzione in appello.
La sentenza impugnata ha messo in risalto il carattere di “non novità” della prova richiesta.
Deve ribadirsi, in proposito, che, in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per prova “sopravvenuta o scoperta dopo la sentenza di primo grado”, di cui all’art. 603, secondo comma, cod. proc. pen., s’intende quella con carattere di novità, tale che sopraggiunge autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività d’indagine, o che viene reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successivo alla decisione (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016, F., Rv. 268656; Sez. 3, n. 11530 del 29/01/2013, A.E., Rv. 254991 – 01).
Nel medesimo senso, puo’ affermarsi che, nel concetto di “prova nuova”, utile a realizzare un ampliamento delle cognizioni del giudice nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito di rito abbreviato non condizionato – e, per questo, ammissibile – non rientra la prova che avrebbe potuto essere chiesta come condizione del procedimento speciale, né può considerarsi “sopravvenuta” una prova che è tale in quanto non richiesta al momento dell’ammissione del rito.
A ritenere altrimenti, si determinerebbe una elusione delle disposizioni sull’abbreviato condizionato che ne stabiliscono tempi di richiesta e limiti, a meno che non vengano evidenziate le ragioni specifiche per le quali non è stato possibile richiedere a suo tempo la prova al centro dell’istanza di rinnovazione istruttoria in appello.
2.1. A quanto appena evidenziato si aggiunga che, nel caso di specie, il motivo di ricorso si rivela in parte generico, là dove non enuncia le precise ragioni di rilevanza determinante della consulenza tecnica della quale si è chiesta l’acquisizione, senza neppure segnalare al giudice d’appello la necessità di esame del consulente tecnico.
Infine, sotto un aspetto collegato, essenziale per il giudizio di legittimità, bene rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, a seguito di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo nel caso in cui si dimostri l’esistenz
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nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o di manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (ex multis Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745 – 01).
Evidentemente una tale dimostrazione non vi è stata da parte della difesa, che nel motivo di ricorso neppure ha ben chiarito quali fondamentali circostanze decisive sarebbero derivate dall’acquisizione della relazione della consulenza tecnica, di cui non vengono indicati neppure i contenuti.
2.2. Analoghe considerazioni di infondatezza possono essere svolte in relazione alla censura riferita alla mancata rinnovazione istruttoria in appello mediante perizia, finalizzata, secondo l’indicazione generica e inammissibile, quindi, del ricorso (pag. 3.1.2) “ad una più approfondita analisi della documentazione acquisita”.
Il secondo motivo di censura proposto dalla difesa del ricorrente è inammissibile perché genericamente formulato, con obiezioni che si limitano a riprodurre quelle sollevate nell’atto di appello e puntano a dar credito alla tes difensiva, secondo cui l’imputato avrebbe dovuto essere ritenuto non colpevole, per la mancanza di prova dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nonchè del coefficiente soggettivo doloso necessario, e dei presupposti del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva.
In proposito, si rivela immediatamente, al confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata, la fallacia delle critiche difensive volte ad escludere i reati appena richiamati e il loro essere costruite secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità.
Come noto, sono precluse al giudice di legittimità – a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione della vicenda al centro del processo, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
3.1. I giudici d’appello hanno esaminato con puntualità le spiegazioni alternative fornite dall’imputato con riguardo alla tenuta della documentazione contabile della società in modo da non consentirne la ricostruzione da parte degli organi fallimentari, con la finalità di impedire la ricostruzione dei suoi affari e suo patrimonio (cfr. pagg. 4, 8 e ss. della sentenza impugnata).
In particolare, si è sottolineata la difficoltà del curatore fallimentar determinare le consistenze societarie, dovuta alla frammentarietà della documentazione prodotta e all’inattendibilità dei bilanci, che addirittura presentavano due versioni diverse tra loro difformi per un medesimo anno di esercizio.
Parallelamente, si sono prese in considerazione le argomentazioni difensive, mettendo in luce la loro scarsa verosimiglianza, soprattutto con riguardo al dato del “doppio” bilancio per un singolo anno di esercizio di impresa, ritenuto del tutto logicamente sintomatico dello scopo di impedire la compiuta ricostruzione della vita societaria (soprattutto tenuto conto che il secondo bilancio operava una riduzione del valore delle voci positive del patrimonio, senza giustificazione alcuna). Di forte valore indicativo della fraudolenza delle condotte del ricorrente appare anche l’indicazione del curatore sulla diseconomicità del canone di locazione di attrezzature della fallita concesso alla azienda locataria.
3.2. Le giustificazioni difensive non toccano, poi, il piano della prova del delitt di bancarotta fraudolenta distrattiva, per avere l’imputato sottratto dal patrimonio della fallita disponibilità liquide per un complessivo importo di euro 25.315, nonché beni materiali per un valore di oltre 103.000 euro.
La difesa mette in collegamento l’asserita assertività delle osservazioni della sentenza impugnata sulla sproporzione per difetto del canone di affitto delle attrezzature della fallita con la contestazione di bancarotta relativa alla distrazion delle somme e dei beni appena richiamati, ma si tratta, come è evidente, di un abbinamento illogico inconferente, privo di incidenza sulla prova del reato.
La colpevolezza del ricorrente, piuttosto, è stata basata sulla consolidata giurisprudenza di legittimità, constatata la mancata spiegazione da parte sua della destinazione e della allocazione di tali risorse della fallita, non ritrovate.
In proposito, deve soltanto ricordarsi che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, poiché la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito interpellato dal curatore circ destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (sul principio, in generale, cfr. Sez. 5, n. 17228 del 17/1/2020, Costantino, Rv. 279204; Sez. 5, n. 8260 del 22/9/2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 11095 del 13/2/2014, COGNOME, Rv. 263740; Sez. 5, n. 22894 del 17/4/2014, COGNOME, Rv. 255385; Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243295).
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Analizzando la questione sotto il profilo del divieto di autoincriminazione, si è
ribadito che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’obbligo di verità, penalmente sanzionato e gravante sul fallito ex art. 87 legge fall., unitamente alla
sua responsabilità in ordine alla conservazione della garanzia patrimoniale, giustifica l’apparente inversione dell’onere della prova a suo carico, in caso di
mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, senza che ciò
interferisca col diritto al silenzio garantito all’imputato in sede processual-penal
(Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282652).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha messo in risalto come il ricorrente non abbia fornito spiegazioni sulla sorte delle somme liquide risultanti
in bilancio e non ritrovate, stigmatizzando anche il fatto che l’imputato si era limitato a negarne l’esistenza; allo stesso modo, si è sottolineata l’ingiustifica
allocazione presso terzi, senza corrispettivo, di alcuni beni di proprietà aziendale e la cessione a prezzo vile di altri.
Da tali elementi di fatto e dalla tenuta dei bilanci in modo fortemente anomalo, nonché dal parziale occultamento della documentazione contabile della fallita, si è
coerentemente dedotto il coefficiente soggettivo doloso dell’intera sequenza di contestazioni di reato, finalizzate a ledere l’interesse dei creditori mediante l’eliminazione anche di ben e risorse sui quali potersi rivalere.
Le deduzioni difensive puntano a riscrivere nel merito la ricostruzione logica delle due pronunce conformi di merito e, come si è già evidenziato, tale operazione non è consentita in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.