Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30339 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30339 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 18/05/1991
avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del TRIBUNALE DEL RIESAME di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 giugno 2024, il Giudice per le indagini preliminari de Tribunale di Catania aveva applicato a COGNOME NOME (già socio amministratore della RAGIONE_SOCIALE, socio e amministratore della RAGIONE_SOCIALE e amministratore di fatto della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE) la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei delitt bancarotta fraudolenta patrimoniale, autoriciclaggio e bancarotta impropria d operazioni dolose.
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dal Giudice per l indagini preliminari, COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME e a COGNOME NOME, già concorrenti nella bancarotta relativa al fallimento RAGIONE_SOCIALE aver distratto il contratto di subappalto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE, i commerciali intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE e il complesso delle at produttive, trasferendole di fatto senza alcun corrispettivo alla RAGIONE_SOCIALE), sarebbero stati artefici – insieme ad NOME COGNOME (formale ti della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME Giuseppe), a NOME COGNOME (socio unico e amministratore della RAGIONE_SOCIALE) e ad alcuni dipendenti d RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e della RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME e NOME COGNOME) – di condotte distrat in danno della RAGIONE_SOCIALE, dopo che questa era stata già dichiarata fall commettendo così il reato di bancarotta fraudolenta post-fallimentare, in relazio alla società RAGIONE_SOCIALE. Le condotte, realizzate dopo l’intervenuto sequestro de Catania RAGIONE_SOCIALE e la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto di ces di ramo d’azienda stipulato dalla COGNOME in favore della Catania RAGIONE_SOCIALE avrebbero determinato la fraudolenta spoliazione della Catania RAGIONE_SOCIALE (anch’ess successivamente dichiarata fallita) e, indirettamente, di quella della COGNOME sarebbero consistite nella «distrazione di fatto dei lavori concessi in subap dalla RAGIONE_SOCIALE alla Catania RAGIONE_SOCIALE». Tale distrazione avrebbe contribuito causazione del dissesto della Catania impianti, con conseguenti ripercussioni sul Dosian. Il reato sarebbe aggravato dall’avere commesso il fatto al fine di agevol il clan mafioso “COGNOME–COGNOME” (capo A).
Quanto all’autoriciclaggio, il reato avrebbe avuto a oggetto i proventi precedenti delitti di bancarotta relativi al fallimento della COGNOME (contes COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME nel procedimento penale n. 4390/19 RGNR), che sarebbero stati destinati a società formalmente intestate a prestanome o comunque a società prive di evidenti collegamenti con la Catania Impianti, rendendo in tal modo complesso, se non impossibile, “il tracciamento della provenienza e il recupero dei detti proventi (capo B).
Quanto alla bancarotta impropria da operazioni dolose, essa sarebbe stata realizzata con riferimento al fallimento della Catania RAGIONE_SOCIALE, mediante sistematica omissione del pagamento dei tributi (con debiti che già prima d sequestro ammontavano all’importo di euro 900.000), nonché con il suddetto sviamento dei lavori in subappalto concessi alla RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE avvenuto dopo il sequestro. Sempre in danno della Catania RAGIONE_SOCIALE e dei suo creditori, gli indagati avrebbero anche occultato o dissipato alcune poste attive patrimonio, per un importo pari a euro 73.000 (capo C).
Con ordinanza del 18 luglio 2024, il Tribunale di Catania aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di riesame avanzata dall’indagato, prendendo a della rinuncia dichiarata dal difensore in udienza.
Con sentenza del 3 dicembre 2024, questa Corte aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale, ritenendo fondato il motivo di ricorso con il quale la aveva rappresentato che la rinuncia al riesame era priva di effetti, essendo s fatta da difensore privo di procura speciale.
Con ordinanza del 24 febbraio 2025, il Tribunale di Catania, in sede di rinvi ha confermato la misura applicata dal Giudice per le indagini preliminari.
Va posto in rilievo che la misura cautelare applicata a COGNOME accompagnava ad altre emesse nei confronti degli altri concorrenti nei reati, c subivano vicende parzialmente diverse. In particolare, per quel che riguarda posizione del coindagato COGNOME NOME (cui viene fatto riferimento nell’ordinanza impugnata), questa Corte pronunciava sentenza di annullamento con rinvio, per motivi di merito. Tale precisazione appare necessaria, in quanto nell’ordinanza impugnata che nel ricorso presentato dallo COGNOME viene fat ampio riferimento a quanto affermato da questa Corte nelle sentenze di annullamento relative agli altri indagati e in particolare nella sentenza relativ posizione del Messina.
Avverso l’ordinanza del 24 febbraio 2025, pronunciata in sede di rinvio dal Tribunale di Catania, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo de difensore di fiducia.
3.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen., bis.1, cod. pen. e 216, 219 e 223 legge fall.
Sostiene che il Tribunale avrebbe «errato nel fare propria … la ricostruzi giuridica operata dalla pubblica accusa dopo la modifica del capo di imputazione A), … necessitata … dall’intervento della Suprema Corte, che aveva annullato rinvio la precedente ordinanza relativa alle posizioni sovrapponibili (tra ques quella di Messina Antonio)».
Il ricorrente riporta alcuni passi della sentenza di annullamento, nei quali stato evidenziato che: il reato di bancarotta patrimoniale distrattiva sanzio vulnus reale che l’atto determina all’integrità del patrimonio destinato a garan dei creditori; i giudici di merito, nel caso in esame, avevano ritenuto sussist «uno sviamento degli interventi connessi ai contratti stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre società e imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE), comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME NOME COGNOME; tale sviamento non poteva ritenersi attività distrattiva, att
che l’assegnazione dei singoli lavori alle ditte subappaltatrici, per come eme dalla stessa ordinanza applicativa, pur essendo rimessa a un criterio di ripartiz tendenzialmente costante, è frutto di una scelta discrezionale degli operat dell’area commerciale e, quindi, nella prospettiva dell’impresa subappaltatri costituisce una mera aspettativa, «solo teoricamente ipotizzabile»; tan dall’articolato capo d’imputazione, quanto dall’ordinanza impugnata non solo emergeva una profonda commistione tra le due procedure fallimentari (non comprendendosi, nelle singole fattispecie, a quale procedura la condotta riferisse), ma si continuava a contestare e a ritenere una condotta distrattiva fatto», avente per oggetto «lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE alla Cata RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, riferendo la distrazione a cespiti estranei al patrimonio società, dando atto, così, di un’insanabile illogicità della motivazione».
Il ricorrente pone in rilievo come la sentenza di annullamento avess correttamente escluso la possibilità di ravvisare il reato di bancarotta distra nella condotta dì sviamento dei lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE a Catania Impianti, non potendosi configurare una condotta distrattiva in relazio a una mera aspettativa.
Ha, poi, evidenziato che, nella sentenza di annullamento, si era solo ipotizza che la condotta di sviamento della clientela potesse integrare, oltre al rea bancarotta impropria, in relazione al fallimento della Catania Impianti (capo dell’imputazione provvisoria), anche il reato di bancarotta distrattiva p fallimentare, in relazione al fallimento Dosian (capo A dell’imputazion provvisoria). Ipotesi fondata «sulla circostanza che l’asserito sviamento de commesse potesse avere determinato lo svuotamento del patrimonio societario della RAGIONE_SOCIALE, considerato asset principale per i creditori della RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente, tuttavia, sostiene che il Tribunale non avrebbe verifi l’effettiva configurabilità dell’ipotesi formulata dalla sentenza di annullame che, in concreto, sarebbe contraddetta dai dati documentali acquisiti, sulla b dei quali si dovrebbe escludere la possibilità che lo sviamento delle commesse avesse determinato, attraverso lo svuotamento del patrimonio societario dell Catania Impianti, il depauperamento della COGNOME.
Dai dati documentali acquisiti in atti, invero, risulterebbe dimostrato che patrimonio della COGNOME non era costituito dal solo ramo di azienda ceduto all RAGIONE_SOCIALE; la cessione del ramo d’azienda alla RAGIONE_SOCIALE aveva a oggetto solo due delle qualificazioni Telecom di cui era in possesso l’azienda; COGNOME oltre a continuare a lavorare per la categoria che aveva ceduto, avev continuato a lavorare anche per altre categorie; le qualifiche avevano scadenz annuale ed erano in scadenza a dicembre 2013; pertanto sia la COGNOME che la
NOME COGNOME erano obbligate a riqualificarsi presso la RAGIONE_SOCIALE e la committente Telecom ogni anno.
Da tali elementi, emergeva con evidenza che la cessione del ramo d’azienda non aveva comportato un depauperamento della COGNOME, che aveva continuato a lavorare per la RAGIONE_SOCIALE e per altre aziende, producendo fatturato negli anni a seguire.
Tale assunto troverebbe conferma nella sentenza del 15 giugno 2023, pronunciata dal Tribunale di Catania, Sezione specializzata in materia di impresa civile, all’esito del procedimento volto a determinare il danno subito da COGNOME a seguito della cessione del ramo d’azienda. Da tale sentenza emergerebbe che: il contratto di cessione riguardava non l’intera azienda, quanto piuttosto un ben identificato ramo della stessa; la quantificazione del danno, per come prospettata dal consulente della curatela, risultava erronea, atteso che era stato preso a riferimento il fatturato inerente all’intera attività aziendale e non quello riferit solo ramo oggetto della cessione; non potevano essere desunti con oggettivo rigore tecnico «i valori sottesi alla redditività conseguita dalla cessionaria», ascrivibili al solo ramo d’azienda dalla stessa acquistato.
Il Tribunale del riesame non avrebbe tenuto conto di tali elementi e dunque non avrebbe concretamente verificato l’effettiva configurabilità dell’ipotesi formulata nella sentenza di annullamento.
Il provvedimento impugnato, inoltre, sarebbe contraddittorio, atteso che il Tribunale, da un lato, ha escluso che possa ravvisarsi distrazione nello sviamento delle commesse e, dall’altro, ha ritenuto che detto sviamento avesse determinato una diminuzione del patrimonio della Catania RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che il Tribunale non avrebbe affrontato in alcun modo il tema del dolo e in particolare della volontà dell’imputato di svuotare il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE in danno dei creditori della società.
Il ricorrente infine sostiene che nessuna delle condotte contestate sarebbe stata tenuta dai presunti amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE , ma, semmai, per come risulterebbe dalle intercettazioni delle conversazioni, dall’amministratore della RAGIONE_SOCIALE Il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE , sebbene non riconducibili ad un unico centro di interessi, sarebbero accomunate da una gestione congiunta e solidale. Ciò avrebbe ritenuto solo sulla scorta delle conversazioni telefoniche intervenute tra COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, e COGNOME, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE , che avrebbero spesso parlato della distribuzione delle commesse di lavoro ricevute dalla Sielte. Il ricorrente contesta tale lettura delle intercettazioni, dalle quali invece risulterebbe che il solo COGNOME avrebbe avuto
contatti diretti con i dipendenti della Sielte, ai quali sollecitava l’attribuzion commesse alla sua ditta.
3.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen., 416bis.1 e 648-ter.1 cod. pen., contestando la configurabilità del reato di autoriciclaggio.
Rappresenta che, secondo la pubblica accusa, il reato presupposto sarebbe quello contestato nell’ambito del procedimento n. 4390/19 RGNR, relativo alla presunta distrazione realizzata mediante cessione del ramo d’azienda alla Catania RAGIONE_SOCIALE. Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la cessione sarebbe stata realizzata senza mettere in atto alcuna dissimulazione.
La «condotta di riciclaggio che ha ad oggetto l’asserito travaso del pacchetto di lavori prima facente capo alla Catania RAGIONE_SOCIALE», poi, non potrebbe «ricondursi alla fattispecie di bancarotta prefallimentare di cui al procedimento n. 4390/19 RGNR, attenendo, semmai, all’asserita bancarotta post fallimentare, di cui al capo A, di cui … non» sussisterebbero «gli essenziali elementi costitutivi».
Il ricorrente infine sostiene che non sarebbe stato chiarito il contributo causale fornito dal ricorrente alla realizzazione del reato in questione.
3.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 273, 274 e 311 cod. proc. pen., 416-bis.1 cod. pen. e 326 e 329 d.lgs. n. 14 del 2019.
Rappresenta che la bancarotta fraudolenta per operazioni dolose costituisce un reato proprio, che può esser commesso solo da soggetti che rivestano determinate qualifiche soggettive nell’ambito della società fallita.
Tanto premesso, sostiene che il reato in questione non potrebbe essere attribuito all’indagato, atteso che le condotte contestate sarebbero state commesse tutte dopo il sequestro e la nomina dell’amministratore giudiziario, che aveva azzerato le precedenti cariche societarie. L’indagato, pertanto, non avrebbe potuto commettere il reato, atteso che non rivestiva alcuna carica nell’ambito della società ed era nell’impossibilità di compiere qualsiasi atto in nome e per conto della medesima. Alcuna operazione dolosa aggravante il dissesto della società, dunque, avrebbe potuto commettere.
Sotto altro profilo, il ricorrente contesta la motivazione del provvedimento impugnato, sostenendo che il Tribunale, con riferimento al reato in questione, si sarebbe limitato a riportare le argomentazioni contenute nell’ordinanza applicativa della misura. Il ricorso alla motivazione per relationem, tuttavia, sarebbe consentito soltanto nei casi in cui la difesa, con la richiesta di riesame, non introduca elementi nuovi. Ebbene, nel caso in esame, la difesa aveva introdotto svariati documenti e un’ampia memoria difensiva, con i quali contestava la
ricostruzione del curatore fallimentare in ordine alla situazione economica e patrimoniale della società e, in particolare, la ricostruzione della situazione debitoria anteriore al sequestro. I documenti e la memoria difensiva sarebbero stati completamente trascurati dal Tribunale, che si sarebbe limitato ad affermare che il reato sussisterebbe nonostante le somme distratte fossero state restituite. Il ricorrente, invece, sostiene che il reato sarebbe insussistente, proprio perché le somme sarebbero state restituite prima della dichiarazione del fallimento e perché le rilevanti perdite indicate nel capo imputazione sarebbero riferibili agli anni 2021/2023.
3.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192, 273 e 274 cod. proc. pen. e 416-bis.1 cod. pen.
Contesta la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, non essendo stato dimostrato che il reato fosse stato commesso con l’obiettivo specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e che l’autore fosse consapevole dell’aiuto fornito al sodalizio criminale. Il Tribunale, in ogni caso, avrebbe completamente omesso di motivare sul punto.
3.5. Con un quinto motivo, deduce i vizi di motivazione e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 192, 273 e 275 cod. proc. pen. e 16quater legge n. 82 del 1991.
Contesta l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME sostenendo che esse sarebbero tardive, non essendo state rese entro il termine di sei mesi dall’inizio della collaborazione, e sarebbero inattendibili in ragione del profondo rancore che il COGNOME nutrirebbe nei confronti dell’indagato.
Con particolare riferimento al primo profilo, il ricorrente pone in rilievo il fat che il collaboratore di giustizia aveva reso dichiarazioni sulla Dosian e sulla Catania Impianti il 10 agosto 2018 e il 27 settembre 2018. Le successive dichiarazioni, rese il 12 novembre 2020 e il 30 marzo 2023, sarebbero dunque inutilizzabili, anche perché non potrebbero essere considerate delle mere integrazioni di quelle precedenti, essendo relative a nuovi episodi criminosi.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore, che sarebbe minata dai motivi di astio che egli nutrirebbe nei confronti del proprio figlio (amministratore di fatto della TeleNet) e degli altri suoi familiari, “rei” di avere “accettato” la relazione da lui intrapresa con NOME COGNOME. Lo stesso collaboratore avrebbe chiaramente manifestato i suoi propositi di vendetta nei confronti del figlio e degli altri familiari. La sua inattendibilità, d’altronde, sare emersa anche nell’ambito di altri procedimenti giudiziari.
3.6. Con un sesto motivo (erroneamente indicato come quinto), deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 125, 274 e 275 cod. proc. pen. e 111 Cost.
Contesta il provvedimento impugnato, sostenendo che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. In particolare, non avrebbe tenuto conto del tempo trascorso dalla dichiarazione di fallimento della Dosian e avrebbe ritenuto «sussistente il pericolo di recidiva senza ricercare gli elementi attuali e concreti», necessari per ritenere fondato il pericolo di reiterazione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1.1. Il motivo, nella gran parte delle censure nelle quali si articola, è basato sulla sentenza di annullamento con rinvio che altro collegio di questa Sezione ha pronunciato nei confronti del coindagato COGNOME NOMECOGNOME
Il ricorrente, in primo luogo, evidenzia che, nella sentenza di annullamento, era stato affermato che lo sviamento degli interventi connessi ai contratti stipulati dalla Catania RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre società e imprese riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME non potesse ritenersi attività distrattiva, atteso che l’assegnazione dei singoli lavori alle ditte subappaltatrici costituiva una mera aspettativa.
Riconosce, poi, che, nella sentenza in questione, si era ipotizzato che la condotta di sviamento della clientela potesse integrare anche il reato di bancarotta distrattiva post-fallimentare, in relazione al fallimento Dosian (capo A dell’imputazione provvisoria), fondando l’ipotesi sulla circostanza che l’asserito sviamento delle commesse potesse avere determinato lo svuotamento del patrimonio societario della Catania RAGIONE_SOCIALE, considerato asset principale per i creditori della Dosian. Sostiene, però, che si sarebbe configurata una mera ipotesi, in concreto smentita dai dati documentali acquisiti in atti, dai quali emergerebbe che la cessione del ramo d’azienda non aveva comportato un depauperamento della COGNOME, che aveva continuato a lavorare per la RAGIONE_SOCIALE e per altre aziende, producendo fatturato negli anni a seguire. Dalla sentenza del 15 giugno 2023, pronunciata dal Tribunale di Catania, Sezione specializzata in materia di impresa civile, in particolare, sarebbe desumibile che il contratto di cessione riguardava non l’intera azienda, quanto piuttosto un ben identificato ramo della stessa COGNOME, e che non potevano essere desunti con oggettivo rigore
tecnico «i valori sottesi alla redditività conseguita dalla cessionaria», ascrivibili a solo ramo d’azienda dalla stessa acquistato.
Il Tribunale del riesame non avrebbe tenuto conto di tali elementi e dunque non avrebbe concretamente verificato la configurabilità dell’ipotesi formulata dalla sentenza di annullamento.
1.1.2. Atteso che il motivo, nella gran parte delle censure nelle quali si articola, è basato sulla sentenza di annullamento, appare opportuno chiarire i principali passaggi del provvedimento in questione.
Nella sentenza, effettivamente, si pone in rilievo che l’assegnazione dei singoli lavori alle ditte subappaltatrici, pur essendo rimessa a un criterio di ripartizione tendenzialmente costante, è frutto di una scelta discrezionale degli operatori dell’area commerciale ed è, quindi, nella prospettiva dell’impresa subappaltatrice, una mera aspettativa, solo teoricamente ipotizzabile.
Si evidenzia, tuttavia, che «ciò, però, non significa ritenere lecito una condotta di “sviamento” delle assegnazioni dei lavori». L’acquisizione «di un vantaggio competitivo ingiusto (ottenuto svuotando consapevolmente l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative), infatti, rappresenta pur sempre una condotta non conforme allo statuto di correttezza professionale fra imprenditori, che, pur non integrando gli estremi della bancarotta distrattiva (non avendo per oggetto poste attive già presenti nel patrimonio dell’imprenditore), potrà assumere i caratteri dell’illecito civile, se idoneo a danneggiare l’altrui azienda, o penale, laddove qualificabile come atto di disposizione patrimoniale eventualmente rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2634 cod. civ. o secondo lo schema dell’art. 223, n. 2, I. fall., non quale bancarotta distrattiva, bensì in termini di bancarotta impropria da operazioni dolose».
Se, infatti, «il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente lesione dell’interesse dei creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale), il reato di cui al n. 2 dell’art. 223 I. fall. è integrato da una condot attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri imposti ai soggetti indicati dalla legge ed è strutturato intorno ad una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non da una singola condotta, ma da un fatto di maggiore complessità, integrato da una pluralità di atti funzionalmente coordinati nella loro complessiva ed unitaria causa concreta ed eziologicamente idonei alla causazione del fallimento». Non «rileva, né è sempre immediatamente percepibile, il compimento di una singola azione dannosa, ma solo, appunto, una pluralità di atti (astrattamente legittimi nella loro dimensione individuale), tra loro funzionalmente concatenati». Ed «è solo dalla valutazione sistematica di questi
atti che è possibile cogliere la causa concreta dell’operazione posta in essere e, con essa, il pregiudizio subito dalla società: un’operazione che, concretizzandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione».
Ed è «proprio la valutazione complessiva delle plurime assegnazioni di singoli blocchi di lavori (in danno della Catania RAGIONE_SOCIALE ed in favore, per quel che rileva in questa sede, della TeleNet), valutate nella loro unitarietà funzionale e alla luce del fine ultimo perseguito (permettere al Messina e agli COGNOME di proseguire l’attività imprenditoriale sottraendo le commesse alla Catania RAGIONE_SOCIALE) che dà conto della (ipotizzata) configurabilità del reato: una pluralità di atti che, seppur privi di autonoma valenza distrattiva (per le ragioni evidenziate in precedenza), si sostanziano comunque in un abuso o in una infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri connessi all’esercizio della funzione gestoria (perché diretti a sottrarre l’assegnazione delle commesse alla Catania Impianti), potenzialmente idoneo, attraverso il suo progressivo svuotamento, a causare il dissesto della società, con conseguente pregiudizio dei soci, dei creditori e di tutti i terzi coinvolti nell’attività imprenditoriale e, fra questi, anche la curatela della COGNOME, della quale la RAGIONE_SOCIALE era il principale asset».
E «che la RAGIONE_SOCIALE sia il principale asset del fallimento RAGIONE_SOCIALE discende, quale diretta conseguenza, dall’esito vittorioso dell’azione revocatoria intentata dalla curatela». E «in questi termini la fraudolenta spoliazione del patrimonio sociale della RAGIONE_SOCIALE (oggetto diretto dell’azione revocatoria) ha generato una diminuzione dell’attivo fallimentare della società fallita».
In «ciò la configurabilità del reato di bancarotta impropria (in relazione al fallimento della Catania RAGIONE_SOCIALE) e del reato di bancarotta distrattiva (in relazione al fallimento Dosian)». Due «reati che ben possono concorrere tra loro in quanto riferite a procedure fallimentari diverse e fondate su condotte radicalmente differenti: lo sviamento della clientela integra l’operazione dolosa causativa del dissesto della Catania Impianti; mentre lo svuotamento del patrimonio societario di quest’ultima (conseguente alla predetta operazione dolosa) rappresenta il risultato distrattivo conseguito ai danni della COGNOME, della quale la prima era un asset patrimoniale».
La sentenza, tuttavia, sebbene avesse ritenuto che fossero configurabili sia il reato di bancarotta per operazioni dolose, in relazione al fallimento della Catania Impianti, che il reato di bancarotta distrattiva, in relazione al fallimento della Dosian, aveva annullato l’ordinanza impugnata, atteso che «tanto dall’articolato capo di imputazione, quanto dall’ordinanza impugnata non solo emerge una profonda commistione tra le due procedure fallimentari (non
comprendendosi, nelle singole fattispecie, a quale procedura la condotta si riferisca), ma si continua a contestare e a ritenere una condotta diStrattiva “di fatto” avente per oggetto “lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, riferendo la distrazione a cespiti estranei al patrimonio della società, dando atto, così, di un’insanabile illogicità della motivazione».
L’annullamento, dunque, era stato determinato dalla formulazione dei capi di imputazione e dalla ricostruzione operata dal Tribunale del riesame che non distinguevano correttamente le due procedure fallimentari e contestavano come distrattivo lo sviamento dei “lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE“, senza configurare un più ampio svuotamento del patrimonio societario di quest’ultima (conseguente alla predetta operazione dolosa) come rappresentativo di un risultato distrattivo conseguito ai danni della COGNOME, «della quale la prima era un asset patrimoniale».
1.1.3. Con riferimento ai motivi per i quali era intervenuto l’annullamento, va, in primo luogo, rilevato che, dagli atti, risulta che il pubblico ministero ha provveduto a una riformulazione dei capi di imputazione (nello stesso ricorso si dà atto, seppur sinteticamente, dell’avvenuta modifica delle imputazioni).
Il Tribunale del riesame, in sede di rinvio, ha poi provveduto a una nuova ricostruzione delle fattispecie di reato, raccogliendo le indicazioni della sentenza di annullamento (cfr. pagine 21 e ss. dell’ordinanza impugnata).
Con particolare riferimento ai fatti contestati nell’originario capo A, il Tribunale ha ritenuto che lo svuotamento del patrimonio societario della Catania RAGIONE_SOCIALE, oltre ad assumere rilevanza per la bancarotta per operazioni dolose commesse in relazione al fallimento di detta società, potesse assumere rilevanza anche in relazione alla bancarotta post-fallimentare, relativa alla RAGIONE_SOCIALE, atteso che lo svuotamento del patrimonio societario della Catania RAGIONE_SOCIALE avrebbe determinato anche un effetto distrattivo ai danni della COGNOME, di cui la prima rappresentava un asset patrimoniale: «… corretta e condivisibile è quindi l’osservazione secondo cui lo sviamento della clientela e delle commesse, elemento materiale del reato di cui all’art. 223 L.F. di cui al capo C), assume intrinseca valenza distrattiva ai danni del fallimento COGNOME, nei termini contestati al capo A), ossia quale elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta post-fallimentare»; «si tratta di condotte perfettamente sussumibili nel paradigma di cui all’art. 216 legge fall., in quanto commesse dai precedenti amministratori di fatto della COGNOME, Messina ed i due COGNOME, dopo la dichiarazione di fallimento e durante la procedura fallimentare, attraverso condotte fraudolente che hanno impedito alla Catania RAGIONE_SOCIALE di proseguire nell’attività, distraendo clientela, commesse e fatturato verso nuove realtà imprenditoriali concorrenti»; «pienamente integrato è dunque il reato di cui al
capo A), anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, stante la dolosa preordinazione del programma criminoso culminato nel depauperamento dell’asset fallimentare e nel pregiudizio insanabile arrecato ai creditori» (cfr. pagina 27 della sentenza impugnata).
1.1.4. Vanno ora analizzate le specifiche censure mosse con il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente, in primo luogo, sostiene che il Tribunale non avrebbe concretamente verificato la configurabilità dell’ipotesi formulata nella sentenza di annullamento.
Ebbene, tale censura risulta infondata.
Va, invero, rilevato che il Tribunale, sulla base delle conversazioni intercettate, della documentazione in atti e delle dichiarazioni dell’amministratore giudiziario e del curatore fallimentare, ha ricostruito le vicende intervenute dopo il sequestro della RAGIONE_SOCIALE e la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto di cessione di ramo d’azienda stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE: vi era stata la fraudolenta spoliazione della Catania RAGIONE_SOCIALE (anch’essa successivamente dichiarata fallita), distraendo, sulla base di un delineato programma criminoso, i lavori in subappalto concessi a quest’ultima dalla Sielte. Distrazione che contribuiva in maniera determinante alla causazione del dissesto della Catania Impianti, con conseguenti ripercussioni sull’attivo fallimentare della COGNOME. Lo svuotamento della Catania RAGIONE_SOCIALE aveva indirettamente determinato un indiscutibile effetto distrattivo ai danni della COGNOME, della quale la prima era un rilevante asset patrimoniale.
Il ricorrente sostiene che si dovrebbe escludere che lo sviamento delle commesse avesse determinato, attraverso lo svuotamento della RAGIONE_SOCIALE, il depauperamento della Dosian, atteso che: il patrimonio di quest’ultima non era costituito dal solo ramo di azienda ceduto alla RAGIONE_SOCIALE e che la RAGIONE_SOCIALE aveva continuato a lavorare per la RAGIONE_SOCIALE e per altre aziende, producendo fatturato negli anni a seguire. Tale assunto troverebbe conferma nella sentenza del 15 giugno 2023, pronunciata dal Tribunale di Catania, Sezione specializzata in materia di impresa civile, all’esito del procedimento volto a determinare il danno subito da COGNOME a seguito della cessione del ramo d’azienda. Da tale sentenza risulterebbe che: il contratto di cessione riguardava non l’intera azienda, quanto piuttosto un ben identificato ramo della stessa; la quantificazione del danno, per come prospettata dal consulente della curatela, risultava erronea, atteso che era stato preso a riferimento il fatturato inerente all’intera attività aziendale e non quello riferito solo ramo oggetto della cessione.
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Ebbene, le argomentazioni del ricorrente non appaiono decisive, atteso che, nella ricostruzione dei giudici di merito, la RAGIONE_SOCIALE costituiva l’asset principale, ma non l’unica attività della RAGIONE_SOCIALE. Il fatto che quest’ultima svolgesse anche attività diverse da quelle cedute alla RAGIONE_SOCIALE e che avesse continuato a lavorare e a produrre reddito anche dopo la cessione del ramo di azienda alla RAGIONE_SOCIALE non è affatto incompatibile con il fatto che il ramo d’azienda ceduto costituisse l’asset principale (o, comunque, un asset rilevante) della COGNOME. Nella ricostruzione dei giudici di merito (come corretta dopo la sentenza di annullamento), le operazioni dolose avevano determinato lo svuotamento della RAGIONE_SOCIALE, con conseguente effetto distrattivo ai danni della COGNOME, della quale la prima era un asset patrimoniale. La configurabilità della distrazione post-fallimentare non verrebbe meno neppure se la RAGIONE_SOCIALE non fosse l’asset principale della COGNOME, essendo sufficiente che essa avesse una significativa rilevanza ai fini della garanzia patrimoniale per i creditori della Dosia n.
Scarsa rilevanza, pertanto, assumono anche le deduzioni del ricorrente relative alla sentenza del 15 giugno 2023, pronunciata dal Tribunale di Catania, Sezione specializzata in materia di impresa civile, dalla quale emergerebbe che: il contratto di cessione riguardava non l’intera azienda, quanto piuttosto un ben identificato ramo della stessa; la quantificazione del danno, per come prospettata dal consulente della curatela, risultava erronea, atteso che era stato preso a riferimento il fatturato inerente all’intera attività aziendale e non quello riferito solo ramo oggetto della cessione.
Tali elementi, infatti, in ogni caso, non escluderebbero che lo svuotamento della Catania RAGIONE_SOCIALE, realizzato mediante le operazioni dolose, avesse comunque determinato un effetto distrattivo ai danni della COGNOME, essendo sufficiente che la RAGIONE_SOCIALE avesse una significativa rilevanza ai fini della garanzia patrimoniale per i creditori della COGNOME.
Risulta infondata anche la censura con la quale il ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe affrontato in alcun modo il tema del dolo. I giudici di merito, invero, hanno ricostruito i fatti, evidenziando la «dolosa preordinazione del programma criminoso», finalizzato al depauperamento dell’asset fallimentare, in danno dei creditori.
Risultano, infine, inammissibili, in quanto completamente versate in fatto, le deduzioni con le quali il ricorrente contesta la “lettura” delle conversazioni intercettate, dalle quali risulterebbe che solo COGNOME Santo avrebbe avuto contatti diretti con i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, ai quali sollecitava l’attribuzione commesse alla sua ditta.
Al riguardo, va ribadito che, «in tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento» (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, COGNOME, Rv. 269438).
1.2. Il secondo motivo, articolato con riferimento al reato di riciclaggio, è inammissibile.
Il ricorrente, invero, si limita a formulare delle generiche asserzioni, senza confrontarsi effettivamente con la motivazione del provvedimento impugnato.
I giudici di merito hanno individuato il reato presupposto nel delitto di bancarotta contestato nell’ambito del procedimento n. 4390/19 RGNR (relativo al fallimento della RAGIONE_SOCIALE), i cui proventi sarebbero stati trasferiti dalla Catania RAGIONE_SOCIALE a società formalmente intestate a prestanome o comunque a società prive di evidenti collegamenti con la Catania RAGIONE_SOCIALE, rendendone in tal modo complessa, se non impossibile, la ricostruzione della provenienza e il loro recupero. Il Tribunale fa riferimento a specifiche interposizioni fittizie e ad altr espedienti utilizzati dagli indagati per impedire di risalire alla provenienza di tali proventi (cfr. pagina 28 del provvedimento impugnato).
A fronte di tale motivazione, il ricorrente si limita a formulare delle generiche asserzioni, senza contestare specificamente le argomentazioni poste dai giudici di merito a fondamento della loro decisione.
1.3. Il terzo motivo è infondato.
1.3.1. Quanto alla censura con la quale il ricorrente deduce che la bancarotta fraudolenta per operazioni dolose è un reato proprio e che le condotte contestate sarebbero state commesse quando era stato già nominato l’amministratore giudiziario, va rilevato che una parte consistente di esse (la sistematica omissione del pagamento dei tributi) erano state poste in essere dagli amministratori della società, prima della nomina dell’amministratore giudiziario.
Quanto alle restanti operazioni, va rilevato che i giudici di merito ritengono che esse abbiano costituito il mero completamento del programma criminoso finalizzato a svuotare la Catania Impianti, che era stato preordinato dagli indagati e che aveva avuto inizio prima della nomina dell’amministratore giudiziario (cfr. pagine 25, 26 e 27 dell’ordinanza impugnata). Su quest’ultimo profilo, la
motivazione del provvedimento appare abbastanza sintetica. Tuttavia, la circostanza che, in ogni caso, quantomeno una parte consistente delle operazioni dolose (la sistematica omissione del pagamento dei tributi) risulta integrata prima della nomina dell’amministratore giudiziario induce a ritenere non fondata la deduzione con la quale si contesta la sussistenza del reato per mancanza del necessario requisito soggettivo. Già la sola sistematica omissione del pagamento dei tributi (che, nel caso in esame, aveva determinato, prima della nomina dell’amministratore giudiziario, un debito verso l’erario pari a 900.000 euro), d’altronde, risulta sufficiente per configurare il reato contestato. Al riguardo, va ricordato che, «in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali» (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME, Rv. 273337).
1.3.2. Risulta infondata anche la censura con la quale il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe fatto ricorso alla motivazione per relationem, senza tenere conto del fatto che la difesa, con la richiesta di riesame, aveva introdotto elementi nuovi, producendo documenti e un’ampia memoria difensiva, che sarebbero stati completamente trascurati.
Va, invero, rilevato che il Tribunale, sebbene abbia condiviso le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari, richiamando e riassumendo talune parti dell’ordinanza genetica, ha effettuato autonome valutazioni (cfr. pagine 21 e ss. dell’ordinanza impugnata).
Le deduzioni del ricorrente si concentrano essenzialmente sulle somme “occultate” e poi restituite e sulla ricostruzione la ricostruzione della situazione debitoria della società. Ebbene, tali profili non sono stati trascurati dal Tribunale, che ha ricostruito le vicende in questione (cfr., in particolare, pagina 26 del provvedimento impugnato), rispondendo anche alle censure mosse dalla difesa, ritenendo evidentemente “assorbite” quelle completamente incompatibili con la ricostruzione dei fatti ritenuta fondata. Al riguardo, va ribadito che «nella motivazione … il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935; cfr. anche Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593).
1.4. Il quarto e il quinto motivo – che possono essere trattati congiuntamente, essendo correlati – sono infondati.
Il Tribunale ha motivato in maniera sufficiente in ordine alla sussistenza dell’aggravante di avere agevolato il clan mafioso COGNOME–COGNOME (cfr. pagine 1618 e 28-29 dell’ordinanza impugnata). Ha indicato gli elementi indiziari da cui dedurre la riconducibilità di tutte le società in questione al clan, elementi costituit in particolare dalle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME padre del coindagato NOME. Ha posto in rilievo come da tali dichiarazioni emergesse che il clan, tramite NOME e gli COGNOME, utilizzasse le varie società succedutesi nel tempo (tra cui la Catania RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) non solo come strumento di riciclaggio di denaro illecito, ma anche per ottenere lucrosi contratti di subappalto. Le società rispondevano di fatto a una gestione unitaria e ottenevano l’affidamento di commesse da parte della RAGIONE_SOCIALE, secondo criteri di «bilanciamento interno», legati alle esigenze dei componenti del clan.
Il Tribunale ha valutato rigorosamente l’attendibilità di tali dichiarazioni, rispondendo anche alle censure mosse dalla difesa (cfr. pagina 18 dell’ordinanza impugnata). Il Tribunale, poi, ha posto in rilievo come le dichiarazioni del collaboratore trovassero puntuale riscontro nella documentazione che rappresentava le vicissitudini giudiziarie della RAGIONE_SOCIALE e di un’altra società, la “RAGIONE_SOCIALE“.
Infondata è pure la censura con la quale il ricorrente deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore, per essere state rese tardivamente.
Il Tribunale, invero, ha rappresentato che le dichiarazioni rese nel 2023 costituivano un approfondimento di quelle già rese in precedenza (cfr. pagina 18 dell’ordinanza impugnata). Al riguardo, va ribadito che la sanzione di inutilizzabilità, che (a norma dell’art. 16-quater, comma 9, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, come modificata dall’art. 14 della legge 13 febbraio 2001, n. 45) colpisce le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, non si applica alle precisazioni e alle integrazioni rese dal dichiarante a chiarimento di fatti già riferiti nei termini di legge, sempre che non indichino nuovi episodi criminosi (cfr. Sez. 1, n. 45336 del 14/07/2023, COGNOME, Rv. 285508). Va, peraltro, rilevato che lo stesso ricorrente, pur sostenendo che le dichiarazioni in questione non costituirebbero un approfondimento di quelle precedentemente rese, afferma poi che il
collaboratore, nel verbale illustrativo della propria collaborazione del 10 agosto 2018, aveva già reso dichiarazioni sulla Dosian e sulla Catania RAGIONE_SOCIALE.
Nel resto, il ricorrente muove delle censure all’attendibilità delle dichiaraz del collaboratore, senza dedurre alcun effettivo travisamento di prova o viz logico determinante risultante dal testo del provvedimento impugnato. Si trat dunque di mere censure di merito, non deducibili in sede di legittimità. V peraltro, rilevato che si tratta della mera reiterazione di censure alle q Tribunale aveva già risposto, in modo adeguato e senza cadere in alcun vizi logico (cfr. pagina 18 dell’ordinanza impugnata).
1.5. Il sesto motivo è infondato.
Il Tribunale, invero, ha motivato in maniera adeguata in ordine all sussistenza delle esigenze cautelari (cfr. pagine 30 e 31 dell’ordina impugnata), sia ritenendole presunte in relazione all’applicazione dell’aggrava di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sia motivando in concreto sulla gravità condotta, per la sua pervicacia e costanza nel tempo, sia valutando la pericolos del ricorrente, dimostrata dalle modalità sistematiche e professionali con le q aveva reiterato le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in esecuzio di un disegno criminoso ben studiato e finalizzato a favorire il clan.
Infondata è anche la doglianza dell’avere l’ordinanza omesso di valutar l’attualità delle esigenze cautelari, anche alla luce del tempo trascors fallimento della Dosian.
Tale attualità è stata valutata e ritenuta sussistente per l’acc prosecuzione della condotta criminosa anche con le altre società riferibili al RAGIONE_SOCIALE, riproponendo, come detto, i medesimi metodi illeciti di gestion finalizzati a svuotare ciascuna società del proprio patrimonio, in danno creditori societari e al fine di favorire, in tal modo, altre società del predet Risulta, peraltro, erroneo il riferimento della condotta criminosa tenuta ricorrente alla data di dichiarazione del fallimento della COGNOME, risalente al 2 L’imputazione relativa al fallimento della COGNOME, invero, consiste in bancarotta post-fallimentare, reato commesso quindi dopo il fallimento di tal società, e gli altri reati contestati sono stati commessi, secondo le imputaz sino ad ottobre 2023. È dunque giustificata, alla luce delle imputazio l’affermazione di una condotta proseguita nel tempo e attuale, non potendo ritenersi sussistente un “tempo silente” significativo tra la cessazione delle condotte criminose e l’emissione del provvedimento cautelare.
Al rigetto del ricorso, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 30 maggio 2025.