Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16005 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 487/2025
NOME
CC – 03/04/2025
NOME SESSA
Relatore –
R.G.N. 4453/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Avellino il 12/05/1975
avverso la sentenza del 25/06/2024 della Corte d’appello di Perugia Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata limitatamente al capo B dell’imputazione (bancarotta impropria); dichiararsi nel resto inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 25.6.2024, la Corte di Appello di Perugia, all’esito di trattazione scritta, in parziale riforma della pronuncia di primo grado che, in sede di abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME in relazione al reato di bancarotta semplice, così qualificato il fatto di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica contestato al capo A, ed al reato di bancarotta impropria per operazioni dolose, ha, escluso l’aumento per la continuazione, ritenute le circostanze attenuanti generiche
prevalenti sull’aggravante di cui all’art. 219 comma 2 n. 1 l.f., rideterminato la pena inflitta in anni 1 e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputata, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce in riferimento al capo A, vizi di motivazione. Il primo giudice aveva derubricato la bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice documentale, ma aveva proposto appello l’imputata che, con il secondo motivo, aveva denunciato l’omessa specificazione delle scritture obbligatorie in relazione al tipo di società, sottolineando che tali non potevano essere considerati il libro dei cespiti richiamato in motivazione e neppure i bilanci. La Corte distrettuale al riguardo si è limitata ad affermare che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la sentenza di primo grado aveva indicato le omissioni e le carenze relative alla tenuta delle scritture contabili precisando, tra l’altro, per quelle relative all’anno 2013, ultimo anno di esercizio di attività svolta, che esse non corrispondevano allo stato passivo, mancando dalla contabilizzazione le sanzioni e gli interessi per gli inadempimenti fiscali; che in ogni caso negli anni dal 2014 al 2016 non era stata redatta e tenuta alcuna scrittura contabile e ciò di per sé starebbe ad integrare il ritenuto reato di bancarotta documentale. Tuttavia in tal modo, la Corte di merito non ha affatto risposto al rilievo posto dalla difesa, riproducendo l’originario e stigmatizzato errore, nuovamente omettendo di specificare i libri e le scritture contabili obbligatori per legge, tenuto conto del tipo di società di cui si discute, che assume essere stati omessi o irregolarmente tenuti negli ultimi tre anni. Ed infatti il libro dei cespiti non risulta nell’elenco delle scritture obbligatorie dei libri previsti dalla legge, sicchè la sua assenza, ancorché non giustificata, non integra la fattispecie delittuose in questione, tanto più che l’obbligo di tenuta di quel libro (si tratta in sostanza del libro dei beni ammortizzabili) comporta deroghe nelle società come quella in questione assoggettata al regime di contabilità semplificata. Nè potrebbe assumere rilievo l’affermazione generica secondo cui non sarebbe stata tenuta la contabilità che parimenti non consente di ricavare un riferimento a quella obbligatoria, nè potrebbe giovare il richiamo alla doppia conforme perché la stessa mancanza di motivazione affligge la prima sentenza.
2.2.Col secondo motivo deduce, in relazione al capo B, vizio di motivazione e violazione di legge (artt. 43 cod. pen., 216 e 223 L.F.). Secondo l’impostazione accusatoria, condivisa dal G.u.p., l’imputata, quale legale rappresentante della fallita, RAGIONE_SOCIALE, ne avrebbe cagionato o contribuito a cagionare il fallimento per effetto di
operazioni dolose costituite dall’acquisizione in fitto del ramo di azienda di altra società, RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, sempre ad essa riferibile, con accollo di passività poi non sostenibili. La tesi difensiva esposta nella memoria in atti muoveva dal fatto che sia la cedente che la cessionaria svolgevano la medesima attività e che la cessione del ramo di azienda comprendeva anche il contratto di affitto dei locali, circostanza che avrebbe consentito alla cessionaria di avvantaggiarsi dell’avviamento commerciale, non tenuto in considerazione nell’ambito del contratto di affitto; avviamento che, nella fase deliberativa, andava a compensare il sacrificio relativo all’accollo delle passività, tanto più che queste erano massimamente costituite dagli affitti arretrati ed il proprietario per autorizzare il subentro lo aveva preteso. Di conseguenza, per quanto ex post le cose siano andate in modo diverso da quanto auspicato, ex ante non può ragionarsi in termini di accettazione del rischio di dissesto (dolo eventuale) ma al massimo di operazione colpevolmente imprudente, al più di rilievo ex art. 217 legge fallimentare. Nè potrebbero ricavarsi elementi ai fini della configurazione del dolo dalla circostanza secondo cui sia la cedente che la cessionaria erano riferibili alla stessa imputata. La Corte distrettuale a sua volta valorizza anch’essa il doppio ruolo dell’imputata e argomenta sulla base di esso che la COGNOME doveva quindi essere bene a conoscenza della situazione finanziaria preesistente a tale operazione ed essersi resa assolutamente conto del possibile, se non addirittura probabile, dissesto finanziario che poteva conseguire per la società RAGIONE_SOCIALE dall’accollo dell’esposizione debitoria gravante sulla s.a.s. E’ evidente che, se non può discutersi sulla coscienza e volontà delle operazioni, diverso è per la prevedibilità del dissesto (dolo eventuale). Una prevedibilità che non risulta spiegata né dal primo giudice né dalla Corte di merito che reiterando l’errore, la desume, irragionevolmente, da un lato, dalla doppia carica e dall’altro dell’accollo delle passività.
Quindi si insta per l’assoluzione dell’imputato in ordine ad entrambi i capi di imputazione, in subordine per la dichiarazione di prescrizione dei reati.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – in assenza di richieste, senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta impropria; dichiararsi nel resto inammissibile il ricorso
il difensore dell’imputata ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Il primo motivo, che lamenta vizio di motivazione per non avere neppure la Corte di appello specificato quali libri obbligatori non sarebbero stati tenuti, è infondato.
La sentenza impugnata, al pari del giudice di primo grado che aveva riqualificato il fatto in bancarotta semplice, ha dato conto, in maniera puntuale e precisa, delle incompletezze della contabilità nell’anno 2013, prendendo atto, al contempo, della totale assenza di ogni libro obbligatorio negli anni successivi fino al fallimento. Ne discende che la mancata elencazione dei libri obbligatori mancanti non si risolve affatto nella pretesa insufficienza della motivazione addotta dalla difesa, dal momento che, non essendo stato rinvenuto alcun libro a partire dall’anno 2013, dovevano ritenersi giocoforza mancanti tutti i libri obbligatori. E che vi fosse un obbligo di tenuta, ancorché si trattasse di società operante in regime semplificato, è stato più volte ribadito da questa Corte. Così tra tante, Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Rv. 271608 – 01 ha avuto modo di affermare che in tema di reati fallimentari, il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall’art. 2214 cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta semplice; ed ancora, Sez. 5 n. 52219 del 30/10/2014, Rv. 262198 – 01, che ha a sua volta ribadito che in tema di reati fallimentari, il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall’art. 2214 cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare – ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell’imprenditore – la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Nel caso di specie, i giudici di primo grado hanno evidenziato che l’amministratore della società, in persona dell’imputata, oltre a non avere adempiuto agli obblighi tributari sin dall’inizio e non aver mai contabilizzato le sanzioni e gli interessi in relazione a tali inadempimenti – evidentemente protrattisi anche dopo il 2013 – a partire da tale data non aveva tenuto alcuna scrittura contabile, pur essendo l’imprenditore obbligato ad aggiornare i libri contabili anche in caso di cessazione non formalizzata dell’attività (cfr. tra tante Sez. 5, n. 3016 del 03/12/2024, dep. 27/01/2025, Rv. 287436 – 01); peraltro, è pacifico che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è leso ogniqualvolta l’irregolare tenuta delle scritture contabili impedisca alle stesse di assolvere alla loro tipica funzione di accertamento (Sez. 5,
n. 18482 del 22/03/2023, Rv. 284514 – 01), laddove nel caso di specie la lesione è in re ipsa essendosi registrata la totale assenza, per gli anni indicati, delle scritture contabili.
In definitiva i giudici di merito, facendo corretta applicazione del principio secondo cui ‘ In tema di irregolare tenuta dei libri contabili nei reati fallimentari, a differenza del reato di bancarotta semplice in cui l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori; in quest’ultima ipotesi, si richiede, inoltre, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico descritto nell’art. 217, comma secondo, l. fall. Diverso è, infine, l’elemento soggettivo, costituito nell’ipotesi di bancarotta semplice indifferentemente dal dolo o dalla colpa, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, prima parte, l. fall. dal dolo generico’ (cfr. tra tante Sez. 5, Sentenza n. 55065 del 14/11/2016, Rv. 268867 01; Sez . 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 22/01/2019, Rv. 274630 – 01), hanno concluso per la sussistenza nel caso di specie del reato di bancarotta semplice in luogo di quello originariamente contestato di bancarotta fraudolenta documentale, riqualificando in detti termini il fatto.
1.2. Il secondo motivo è in realtà proprio aspecifico, avendo i giudici di merito nelle rispettive pronunce di primo e secondo grado che, in quanto conformi costituiscono un unicum argomentativo, ben spiegato le ragioni per le quali nel caso di specie dovesse ritenersi integrata la fattispecie di bancarotta impropria contestata all’imputata. Si è in particolare ritenuto che integrasse la bancarotta impropria per operazioni dolose la complessiva operazione che aveva visto la società RAGIONE_SOCIALE acquisire in affitto il ramo di azienda della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. e subentrare nel contratto di locazione dell’immobile che la società RAGIONE_SOCIALE aveva in corso con RAGIONE_SOCIALE, con accollo non solo dei canoni pregressi non pagati dalla precedente affittuaria RAGIONE_SOCIALE, ma anche di altre consistenti esposizioni debitorie di quest’ultima società, da ultimo del debito residuo del mutuo gravante sulla medesima; passività che generavano da subito costi iniziali insostenibili rispetto al volume di affari (infatti già dal 2011 si generava una perdita di euro 45.884,83). Tale operazione, le cui conseguenze dovevano essere ben note all’imputata – che, quale socia accomandataria della RAGIONE_SOCIALE, doveva essere bene al corrente dell’effettivo volume di affari di tale società che di certo non aveva prodotto risultati soddisfacenti a giudicare anche dall’entità dei debiti accumulati dalla RAGIONE_SOCIALE e fatti ricadere sulla RAGIONE_SOCIALE – , comportava un notevole aggravio della situazione economica della RAGIONE_SOCIALE che si vedeva gravata di ulteriori debiti – oltre quelli suoi
tributari – senza avere un tornaconto effettivo, dovendo far fronte oltre che al pagamento del canone anche agli ulteriori debiti che si era accollata.
A fronte di tale situazione ben delineata e descritta nelle pronunce di merito con riferimenti espressi alla giurisprudenza di questa Corte – che ritiene sufficiente ai fini della integrazione di tale reato il dolo generico ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto o del suo aggravamento (cfr. tra tante, da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 16111 del 08/02/2024, Rv. 286349 – 01) – il ricorso si limita ad eccepire che non si sarebbe tenuto in debito conto l’avviamento della RAGIONE_SOCIALE, genericamente addotto a controbilanciare gli effetti deleteri di una siffatta operazione, che in definitiva giovò unicamente alla società RAGIONE_SOCIALE di cui era socia accomandataria – in tale veste illimitatamente responsabile quindi dei debiti societari – la stessa COGNOME NOME.
Il motivo oltre che peccare di aspecificità estrinseca è anche intrinsecamente generico, perché a fronte della puntuale ricostruzione svolta dai giudici di merito che non lascia spazio ad una diversa impostazione, intende avallare l’ipotesi alternativa della scelta imprenditoriale al più colposamente errata – da ricondurre quindi alla bancarotta semplice – attraverso il mero riferimento ad un ipotetico avviamento che avrebbe costituito, nell’ottica dell’imprenditore, una prospettiva idonea a giustificare l’operazione, senza tuttavia addurre alcun elemento concreto per suffragare quanto in via del tutto aspecifica prospetta.
Laddove ciò che distingue un’operazione imprudente da una operazione dolosa è la ragionevole giustificabilità in termini di interesse dell’impresa e la sua sostenibilità economica rispetto ai mezzi e al patrimonio. Solo qualora l’operazione, ancorché azzardata in una valutazione ex post , possa trovare una razionale giustificazione economica e imprenditoriale e, si badi, una effettiva capacità economica e di mezzi dell’impresa per sostenerla, non potrà essere configurabile come operazione dolosa.
Va qui ricordato che questa Corte ha in proposito precisato che non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 2, L. fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma quella più grave della bancarotta fraudolenta, allorché si tratti di operazioni che – come nella specie comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società, mentre le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall’alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, fermo restando che, in ogni caso,
si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell’interesse dell’impresa (Sez. 5, n. 35716 del 09/06/2015, Scambia, Rv. 26587101).
Tuttavia, nel caso di specie i giudici hanno, in buona sostanza, sottolineato proprio l’assenza di una prospettiva salvifica a sostegno delle condotte poste in essere allorquando già si registravano perdite, poi accentuatesi nell’anno successivo ossia proprio nel 2012 quando la RAGIONE_SOCIALE, in aggiunta ai debiti della RAGIONE_SOCIALE già accollati, assumeva – al di fuori di ogni logica legata all’affitto di azienda oramai già intervenuto – anche il residuo del mutuo della RAGIONE_SOCIALE per euro 41.006,13; e di ciò non è stata data alcuna giustificazione.
L’ipotesi alternativa, nel caso di specie prospettata in termini di scelta imprenditoriale sbagliata e non dolosa, deve pur sempre trovare addentellati nelle risultanze processuali, rimanendo altrimenti confinata nell’ambito della mera ipotesi che in quanto priva di una benché minima consistenza di plausibilità è destinata all’irrilevanza e all’inconducenza (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901, che ha affermato che l’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sussistenza del reato, deve fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 03/04/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME SESSA