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Bancarotta impropria: quando un’operazione è dolosa

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta impropria a carico dell’amministratrice di una S.r.l. fallita a seguito di un’operazione dolosa. Il caso riguardava l’acquisizione di un ramo d’azienda da un’altra società, gestita dalla stessa imputata, con l’accollo di passività insostenibili che hanno inevitabilmente condotto al dissesto. La sentenza chiarisce la distinzione tra rischio d’impresa e operazione dolosa, sottolineando come l’assenza di una reale prospettiva economica e la consapevolezza del danno per la società e i creditori configurino il reato.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta impropria: quando il rischio d’impresa diventa reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato confine tra una scelta imprenditoriale azzardata e una condotta penalmente rilevante che integra il reato di bancarotta impropria. Il caso esaminato offre spunti fondamentali per comprendere quando un’operazione commerciale, priva di una logica economica e dannosa per i creditori, cessa di essere un errore di gestione e diventa un’operazione dolosa sanzionata dalla legge.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda l’amministratrice di una società a responsabilità limitata (S.r.l.), condannata per due distinti reati fallimentari: bancarotta semplice documentale e bancarotta impropria per operazioni dolose.

Il primo addebito era relativo alla totale omissione della tenuta delle scritture contabili obbligatorie per diversi anni, impedendo così la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della società.

Il secondo e più grave addebito, quello di bancarotta impropria, traeva origine da un’operazione societaria complessa. L’amministratrice aveva deliberato l’acquisizione, tramite affitto, di un ramo d’azienda di un’altra società (una S.a.s.) di cui lei stessa era socia accomandataria. L’accordo prevedeva che la S.r.l. si accollasse non solo i canoni di locazione pregressi dell’immobile, ma anche altre consistenti passività della S.a.s., tra cui il debito residuo di un mutuo. Questa operazione si è rivelata fin da subito insostenibile per la S.r.l., che già versava in una situazione economica precaria e che, a seguito dell’accollo dei nuovi debiti, ha visto la sua situazione aggravarsi irrimediabilmente fino al fallimento.

La difesa sosteneva che si fosse trattato al massimo di un’operazione imprudente, giustificata dalla potenziale acquisizione dell’avviamento commerciale, e non di un atto doloso. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva confermato la condanna, portando il caso dinanzi alla Suprema Corte.

La Decisione della Cassazione e la Bancarotta Impropria

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputata, confermando la sua responsabilità per entrambi i reati. La sentenza è particolarmente interessante per le argomentazioni relative alla bancarotta impropria.

I giudici hanno stabilito che l’operazione in questione non poteva essere considerata una mera scelta imprenditoriale sfortunata, ma una vera e propria operazione dolosa. L’amministratrice, avendo un doppio ruolo in entrambe le società, era perfettamente a conoscenza della disastrosa situazione finanziaria della società cedente (la S.a.s.) e ha consapevolmente trasferito le sue passività insostenibili sulla società cessionaria (la S.r.l.), condannandola di fatto al dissesto.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti cardine:

1. Distinzione tra operazione imprudente e dolosa: Un’operazione imprudente, seppur azzardata, deve avere una qualche giustificazione economica e una ragionevole possibilità di successo. Nel caso di specie, l’operazione era priva di qualsiasi razionalità economica. Accollarsi debiti significativi senza un reale e immediato vantaggio, ma anzi con perdite già consolidate, non rientra nel normale rischio d’impresa. L’operazione, di fatto, ha giovato unicamente alla società cedente, a discapito della società fallita e dei suoi creditori.

2. Il dolo nelle operazioni di bancarotta: Per integrare il reato di bancarotta impropria, è sufficiente il cosiddetto ‘dolo generico’. Questo significa che l’amministratore deve avere la coscienza e la volontà di compiere l’operazione e la consapevolezza (prevedibilità) che questa possa causare il dissesto della società. Non è necessario un fine specifico di danneggiare i creditori. Nel caso in esame, il doppio ruolo dell’amministratrice rendeva palese la sua piena consapevolezza delle conseguenze nefaste dell’operazione.

3. L’irrilevanza della contabilità semplificata: Per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il regime di contabilità semplificata, previsto per le imprese minori, non esonera dall’obbligo, imposto dal codice civile, di tenere i libri e le scritture contabili essenziali. La loro totale assenza integra il reato di bancarotta semplice, in quanto impedisce la fondamentale funzione di trasparenza e controllo della gestione societaria.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di grande importanza per gli amministratori di società: la gestione aziendale, pur godendo di ampia discrezionalità, non può tradursi in operazioni palesemente irrazionali e dannose, soprattutto quando vi è un conflitto di interessi. Un’operazione che, fin dall’inizio, appare insostenibile e priva di prospettive positive per la società, ma che serve solo a spostare passività da un’entità all’altra, non è un errore, ma un atto doloso che configura il grave reato di bancarotta impropria. La legge penale interviene per sanzionare non il fallimento in sé, ma le condotte fraudolente che lo hanno deliberatamente cagionato o aggravato, a tutela della trasparenza del mercato e dei diritti dei creditori.

Le aziende in contabilità semplificata sono esenti dall’obbligo di tenere le scritture contabili?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il regime tributario di contabilità semplificata non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall’art. 2214 del codice civile. La loro totale omissione può integrare il reato di bancarotta semplice documentale.

Qual è la differenza tra un’operazione imprenditoriale imprudente e una che integra il reato di bancarotta impropria?
Un’operazione imprudente, per quanto azzardata, deve avere una razionale giustificazione economica e una qualche prospettiva di vantaggio per l’impresa. Si configura invece l’operazione dolosa, tipica della bancarotta impropria, quando l’azione è priva di tale giustificazione, comporta un impegno patrimoniale sproporzionato e il rischio di dissesto è così elevato da essere stato previsto e accettato dall’amministratore.

Avere un doppio ruolo in due società coinvolte in un’operazione che porta al fallimento è rilevante ai fini del reato?
Sì, è un elemento fondamentale. Nel caso di specie, il fatto che l’imputata fosse amministratrice della società fallita e socia dell’altra società coinvolta nell’operazione ha dimostrato, secondo i giudici, la sua piena conoscenza della situazione finanziaria preesistente e la consapevolezza che l’operazione avrebbe causato un dissesto quasi certo, integrando così l’elemento soggettivo (dolo) del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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