Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8372 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8372 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Catania il 24 luglio 1970; avverso l’ordinanza del 12 ottobre 2024 del Tribunale di Catania; udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 ottobre 2024, il Tribunale distrettuale di Catania rigettava l’istanza di riesame proposta dalla difesa di COGNOME Domenico avverso il decreto di sequestro preventivo del 25 giugno 2024, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, in via diretta e per equivalente, fino all’ammontare di euro
1.252.888,09, quale profitto del reato di riciclaggio contestato al capo B1), ai sensi degli artt. 110, 648-bis e 416-bis.1 del codice penale.
Con la stessa ordinanza il Gip disponeva gli arresti domiciliari dell’indagato per concorso in due reati di bancarotta, perpetrati dal 2020 al 2023, e nel connesso riciclaggio delle poste attive sottratte.
In particolare, al COGNOME è stato contestato di avere concorso, quale procuratore speciale e responsabile dei magazzini su tutto il territorio nazionale e del ramo acquisti della RAGIONE_SOCIALE (aggiudicataria dei contratti di manutenzione della rete telefonica assegnati da Telecom, Vodafone, Fastweb), in una pluralità di operazione dolose e distrattive attuate con il trasferimento di lavori in subappalto aggiudicati alla RAGIONE_SOCIALE (in frode dell’amministratore giudiziario), in favore della RAGIONE_SOCIALE Net e della RAGIONE_SOCIALE, riferibili ai coindagati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, del clan mafioso COGNOME–COGNOME; di avere, con tali operazioni dolose, concorso nel causare il dissesto della RAGIONE_SOCIALE e nel riciclare i proventi del reato di bancarotta COGNOME al quale l’odierno ricorrente era risultato estraneo.
2. Ricorre per cassazione il COGNOME, articolando sei motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo deduce violazione degli artt. 147, 223 e 216 I. fall. nella parte in cui al ricorrente sarebbe stato contestato un reato proprio (la bancarotta) senza che nessuno dei coindagati (in ipotesi accusatoria concorrenti del reato) abbia mai rivestito la qualifica soggettiva richiesta dalla formulazione normativa, perché non dichiarato fallito, neanche ai sensi dell’art. 147 della legge fallimentare.
2.2. Il secondo deduce violazione degli artt. 0321 e 322-bis cod. proc. pen. (in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.) nella parte in cui sarebbero stati ritenuti oggetto di possibile distrazione beni che non facevano parte della massa attiva acquisita al fallimento. La RAGIONE_SOCIALE, sostiene la difesa, in conseguenza dell’esito vittorioso dell’azione revocatoria intrapresa dalla curatela fallimentare della Dosian (avente per oggetto, appunto, la cessione del ramo d’azienda originariamente stipulato in favore della prima), è stata ritenuta la principale posta attiva del fallimento Dosian. Ciò, tuttavia, continua la difesa, sarebbe errato in diritto, in quanto l’azione revocatoria non determina l’invalidità dell’atto impugnato e, quindi, il rientro del ramo d’azienda all’interno del patrimonio della Dosian: ogni diversa interpretazione che consentisse la reintegra del patrimonio della società fallita cedente finirebbe con il tradursi in un illegittimo vantaggio per la procedura fallimentare a discapito degli altri creditori della RAGIONE_SOCIALE Per cui, non potendo esservi un diritto alla restituzione del bene, non potrebbe ipotizzarsi alcuna condotta distrattiva. E la correttezza di tale impostazione emergerebbe, peraltro dall’intrinseca contraddizione nella quale sarebbe caduto il Tribunale che,
da un canto, afferma che per via del sequestro preventivo non vi sarebbe alcun effetto restitutorio in favore dei creditori della COGNOME e, dall’altro, continua sostenere la configurabilità di una bancarotta per distrazione. Tanto più alla luce della mancanza di autonoma legittimazione del curatore (della Catania Impianti, una volta fallita) ad impugnare autonomamente il provvedimento impositivo del vincolo (posto, in realtà, a tutela di interessi pubblicistici e non già dei credito della fallita) ed ottenere, così, la restituzione del compendio.
2.3. Il terzo, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazion agli artt. 216 e ss. I. fall.) e del connesso vizio di motivazione, deduce la natura non distrattiva della condotta qualificata in termini di bancarotta fraudolenta postfallimentare e il difetto di prova quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Da un canto, sostiene la difesa, il Tribunale avrebbe ritenuto suscettibili di distrazione “blocchi di lavori”, esecutivi di pregressi contratti quadr stipulati con la Sielte, in relazione ai quali la RAGIONE_SOCIALE non era titolare che di una mera aspettativa di futura assegnazione, frutto, quest’ultima di una valutazione discrezionale degli operatori dell’area commerciale (tant’è che nella prospettazione accusatoria non vi è alcuna quantificazione del valore patrimoniale di queste presunte distrazioni); dall’altro, non sarebbero stati indicati sufficienti elementi indiziari da cui desumere che il ricorrente fosse stato consapevole della revocabilità della cessione d’azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE (stipulato nel 2013) e, quindi, di concorrere alla sottrazione dei beni della RAGIONE_SOCIALE.
2.4. Il quarto deduce violazione di legge (in relazione all’art. 648-bis cod. pen.) in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di riciclaggio. Il Tribunale, sostiene la difesa, non avrebbe indicato in che modo sarebbe stata dissimulata la provenienza illecita del trasferimento di somme alle altre società subappaltatrici o, comunque, ne sarebbe stata ostacolata l’identificazione. Come emerge chiaramente dalla lettura della contestazione, sostiene la difesa, la condotta ascritta agli indagati non assume alcun carattere aggiuntivo rispetto a quella del concorrente del delitto presupposto; né il presunto trasferimento dei contratti sarebbe condotta idonea a rendere di fatto più difficoltosa l’identificazione della sua provenienza delittuosa; né, in ultimo, l’ordinanza impugnata contiene alcun profilo argomentativo in ordine agli elementi indiziari idonei ad individuare l’elemento soggettivo del reato (quanto alla necessaria consapevolezza tanto della provenienza delittuosa dei beni, quanto dell’idoneità della condotta ad ostacolare l’accertamento di tale provenienza).
2.5. Il quinto, riproponendo, in parte, le censure già sollevate con il terzo motivo, deduce, sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 322, C 326 e 329 C-ei) e del connesso vizio di motivazione: a) che si sarebbe ipotizzata la consumazione del reato anche per il periodo successivo al sequestro della Catania
RAGIONE_SOCIALE senza la (necessaria) cooperazione dell’amministratore giudiziario, unico titolare del potere gestorio, ma solo con la partecipazione degli ormai ex amministratori di fatto della società, privi di concreto potere gestorio; b) che si sarebbero ritenuti suscettibili di distrazione “blocchi di lavori”, esecutivi d pregressi contratti quadro stipulati con la RAGIONE_SOCIALE, in relazione ai quali la RAGIONE_SOCIALE non era titolare che di una mera aspettativa di futura assegnazione; c) che non vi sarebbe prova dell’effettiva consapevolezza da parte del COGNOME della (asserita) valenza distrattiva degli atti contestati.
2.6. Il sesto, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione all’art. 240 cod. pen.) e del connesso vizio di motivazione, attiene alla sussistenza del periculum in mora, genericamente giustificato, sostiene la difesa, richiamando solo la qualità e la natura dei beni ablati e le particolari modalità della condotta (spregiudicate), senza indicare le ragioni di indifferibilità della misura, il nesso di pertinenzialità dei beni sequestrati e il concreto vantaggio patrimoniale conseguito dal COGNOME dall’asserito riciclaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di quanto di seguito esposto.
La corretta comprensione delle censure sollevate dal ricorrente presuppone una sintetica ricostruzione degli elementi fattuali sui quali si fonda la prospettazione accusatoria.
Il procedimento trae origine dalla segnalazione trasmessa dall’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE, che evidenziava il progressivo calo di fatturato della società, determinato, secondo la prospettazione offerta, dalla ipotizzata sottrazione, da parte della committente RAGIONE_SOCIALE, degli interventi connessi ai contratti stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e ad NOME COGNOMEgià imputati per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE.
Si evidenziava, a sostegno della prospettazione offerta, che la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, in particolare: a) era stata costituita il 5 novembre 2020, appena tre mesi dopo il sequestro della RAGIONE_SOCIALE; b) nei sei mesi successivi aveva conseguito ricavi provenienti soltanto da cinque commesse affidatele dalla RAGIONE_SOCIALE; c) tanto la sede di esercizio quanto la sede legale della stessa erano in realtà private abitazioni; d) non disponeva di depositi per i mezzi commerciali o per le attrezzature ed aveva alle proprie dipendenze solo tre lavoratori, peraltro in passato già dipendenti della Catania RAGIONE_SOCIALE
Ebbene, dal mese di marzo 2021, nonostante non avesse i requisiti necessari per l’assegnazione dei lavori, aveva iniziato ad avere rapporti diretti con la RAGIONE_SOCIALE, acquisendo commesse per un totale imponibile pari ad euro 590.518,65 per l’anno 2021 ed euro 971.899,43 per l’anno 2022. Da ciò l’ipotesi che la scelta di far confluire all’interno della neocostituita ditta individuale gli asset prima facent capo alla RAGIONE_SOCIALE fosse, in realtà, frutto di una strategia, avallata e supportata dal management della RAGIONE_SOCIALE, finalizzata allo svuotamento della società sequestrata e alla prosecuzione, da parte dello Zingale e del Messina dell’attività imprenditoriale. Il tutto secondo uno schema consolidato, già utilizzato in precedenza ai danni della Dosian, attraverso la cessione di ramo d’azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE (poi dichiarata inefficace, in accoglimento dell’azione revocatoria proposta dalla curatela).
L’esattezza dell’ipotesi investigativa trovava conferma nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, NOME COGNOMEche riferiva di almeno una riunione a settimana con NOME COGNOME, dirigente della Sielte), negli esiti dell’attività di intercettazione e nelle ulteriori acquisizioni documentali relative subappalti affidati.
In questo contesto, la contestazione della circostanza aggravante (art. 416bis.1 cod. pen.) trovava fondamento, secondo le argomentazioni offerte dal Tribunale, nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, soggetto apicale del clan COGNOME, per anni deputato ad intrattenere in prima persona, quale portavoce del clan, stretti rapporti d’affari con dipendenti e dirigenti della Sielte. Il collaboratore non soltanto chiariva la genesi delle società coinvolte nell’indagine, la loro piena riconducibilità agli interessi dell’associazione e la connessa attività di riciclaggio del denaro di provenienza illecita del clan, ma spiegava con estrema precisione l’origine e l’evoluzione dei rapporti tra la Sielte ed il clan, improntati ad una logica di reciproca convenienza: la società assumeva fittiziamente tra i propri dipendenti membri del clan mafioso (erogando loro stipendi e somme aggiuntive, oltre a pagare un tributo periodico all’associazione) e, in cambio, riceveva la “protezione” dell’associazione e la connessa risoluzione di questioni economiche.
Secondo il Tribunale, le dichiarazioni rese dal collaboratore erano caratterizzate da immediatezza, genuinità, reiterazione nel tempo e frutto di esperienza diretta, rimanendo irrilevante tanto la valutazione di inattendibilità resa dalla Corte di Appello (in quanto riferita a fatti inerenti ad un soggetto appartenente ad un clan diverso da quello del Messina, COGNOME NOME, del clan COGNOME), quanto i paventati motivi di astio verso tutti i componenti della famiglia COGNOME derivanti della mancata accettazione della sua nuova relazione sentimentale (mera scaturigine del percorso di collaborazione dello stesso).
Ciò premesso, la valutazione delle censure prospettate dalla difesa presuppone l’indicazione di alcune coordinate ermeneutiche preliminari.
In primo luogo, va ribadito che le diverse condotte nelle quali si sviluppa la bancarotta fraudolenta patrimoniale sono (quanto meno quelle di dissimulazione occultamento, distrazione e dissipazione) diverse modalità di aggressione dello stesso bene giuridico, rappresentato dall’interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell’imprenditore, destinata, dall’art. 2740 cod. civ., a garanzia dei debiti contratti; singole modalità di esecuzione alternative e fungibili di un solo reato (Sez. 5, n. 30442 del 22/06/2006, Preziosa), strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento patrimoniale in danno dei creditori); evento in cui si concretizza l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualunque forma e con qualunque modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale utilizzato, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate in favore della curatela (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Rv. 213120). Ciò che qualifica la condotta sanzionata dall’art. 216, comma 1, n. 1, I. fall., in tutte le sue alternative manifestazioni, è solo il risultato ultimo, la lesione dell’interesse dei creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale conseguente ad un atto di disposizione che abbia determinato una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della società fallita.
Tutto ciò impone, però che la diminuzione della garanzia sia stata effettiva: la bancarotta patrimoniale distrattiva sanziona il vulnus reale che l’atto determina all’integrità del patrimonio destinato (ai sensi dell’art. 2740 cod. civ.) a garanzia dei creditori. E, quindi, l’accertamento, non condizionato da alcuna presunzione, della previa disponibilità in capo all’imprenditore fallito dei beni mancanti (Sez. 5, n. 22787 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247520; conf. Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, COGNOME, Rv. 235767).
Ebbene, il Tribunale ha dato atto: a) del progressivo calo di fatturato della RAGIONE_SOCIALE e del parallelo aumento del fatturato di altre società ed imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME; b) delle anomalie connesse all’attribuzione dei lavori alle predette società; c) delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, NOME COGNOMEche riferiva dell’interessamento del clan COGNOME verso attività imprenditoriali lecite verso le quali far confluire i provent delle attività delittuose e dei rapporti con la Sielte strutturati in termini reciproca convenienza: la società non si limitava all’assegnazione dei lavori alle società riconducibili all’associazione, ma assumeva fittiziamente tra i propri dipendenti membri del clan mafioso, erogando loro stipendi e somme aggiuntive
oltre ad un tributo periodico all’associazione stessa, ricevendo in cambio la protezione attraverso la risoluzione con il metodo mafioso di questioni economiche nel suo interesse); d) degli esiti dell’attività di intercettazione (dalle qual emergeva: il concreto svolgimento di fatto delle funzioni gestorie da parte degli COGNOME e del Messina e il connesso ruolo – di mero prestanome – svolto dall’COGNOME; l’attribuzione alla Telenet e alla A.F. Impianti di lavori “della Catania RAGIONE_SOCIALE“; i tentativi di tenero all’oscuro l’amministratore giudiziario di tal complessiva e sistematica attività di svuotamento). E in forza di ciò, ha ritenuto sussistente (nei limiti della gravità indiziaria) uno sviamento degli interventi connessi ai contratti stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre società ed imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e NOME.
Tanto, però, non può ritenersi attività distrattiva. L’assegnazione dei singoli lavori alle ditte subappaltatrici, infatti, per come emerge dalla stessa ordinanza applicativa, pur essendo rimessa ad un criterio di ripartizione tendenzialmente costante, è frutto di una scelta discrezionale degli operatori dell’area commerciale e, quindi, nella prospettiva dell’impresa subappaltatrice, una mera aspettativa solo teoricamente ipotizzabile (cfr., per una fattispecie sostanzialmente sovrapponibile, Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689).
È pur vero che la distrazione o l’occultamento di diritti derivanti da un rapporto contrattuale rientra nella previsione di cui all’art. 216 I. fall., ma ciò solo ove tal diritti siano già presenti nel patrimonio dell’imprenditore fallito (Sez. 5, n. 12946 del 25/02/2020, Boi, Rv. 278887). Ipotizzare il contrario significherebbe ritenere suscettibile di distrazione la mera aspettativa che in futuro i clienti si rivolgano all’azienda in forza dei rapporti intrattenuti in passato con la stessa. Né può ritenersi che tali condotte si risolvano in una distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda, in sé (inteso come capacità di profitto di un’attività produttiva: Cass. civ. 2 agosto 1995, n. 8470, Rv. 493535) non suscettibile di distrazione se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento (Sez. 5, n. 5357 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272108; Sez. 5, n. 26542 del 19/3/2014, Riva, Rv. 260689; Sez. 5, n. 9813 del 8/3/2006, COGNOME ed altri, Rv. 234242).
Ciò, però, non significa ritenere lecito una condotta di “sviamento” delle assegnazioni dei lavori. L’acquisizione di un vantaggio competitivo ingiusto (ottenuto svuotando consapevolmente l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative), infatti, rappresenta pur sempre una condotta non conforme allo statuto di correttezza professionale fra imprenditori, che, pur non integrando gli estremi della bancarotta distrattiva (non avendo per oggetto poste
attive già presenti nel patrimonio dell’imprenditore), potrà assumere i caratteri dell’illecito civile (ai sensi dell’art.2598 n.3 cod. civ.), se idoneo a danneggiare l’altrui azienda (Cass. civ., n. 94 del 04/01/2017), o penale, laddove qualificabile come atto di disposizione patrimoniale eventualmente rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2634 cod. civ. (Sez. 5, n. 3817/13 del 11/12/2012, COGNOME, Rv. 254774) o secondo lo schema dell’art. 223, n. 2, I. fall., non quale bancarotta distrattiva, bensì in termini di bancarotta impropria da operazioni dolose (Sez. 5, n. 9813 del 08/03/2006, COGNOME, Rv. 234242; Sez. 5, n. 6992 del 08/04/1988, COGNOME, Rv. 178604).
Se, infatti, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente lesione dell’interesse dei creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale), il reato di cui al n. 2 dell’art. 223 I. fall. è integrato una condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri imposti ai soggetti indicati dalla legge ed è strutturato intorno ad una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non da una singola condotta, ma da un fatto di maggiore complessità, integrato da una pluralità di atti funzionalmente coordinati nella loro complessiva ed unitaria causa concreta ed eziologicamente idonei alla causazione del fallimento (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071; Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Rv. 268207). Non rileva, né è sempre immediatamente percepibile, il compimento di una singola azione dannosa, ma solo, appunto, una pluralità di atti (astrattamente legittimi nella loro dimensione individuale), tra loro funzionalmente concatenati. Ed è solo dalla valutazione sistematica di questi atti che è possibile cogliere la causa concreta dell’operazione posta in essere e, con essa, il pregiudizio subito dalla società: un’operazione che, concretizzandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione (Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ed è proprio la valutazione complessiva delle plurime assegnazioni di singoli blocchi di lavori (in danno della Catania RAGIONE_SOCIALE ed in favore, per quel che rileva in questa sede, della TeleNet), valutate nella loro unitarietà funzionale e alla luce del fine ultimo perseguito (permettere al Messina e agli COGNOME di proseguire l’attività imprenditoriale sottraendo le commesse alla Catania RAGIONE_SOCIALE) che dà conto della (ipotizzata) configurabilità del reato: una pluralità di atti che, seppur privi di autonoma valenza distrattiva (per le ragioni evidenziate in precedenza), si sostanziano comunque in un abuso o in una infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri connessi all’esercizio della funzione gestoria (perché diretti a sottrarre l’assegnazione delle commesse alla Catania Impianti), potenzialmente
idonei, a causare il dissesto della società attraverso il suo progressivo svuotamento, con conseguente pregiudizio dei soci, dei creditori e di tutti i terzi coinvolti nell’attività imprenditoriale e, fra questi, anche la curatella della COGNOME, della quale la RAGIONE_SOCIALE era il principale asset.
E che la Catania Impianti sia il principale asset del fallimento COGNOME discende, quale diretta conseguenza, dall’esito vittorioso dell’azione revocatoria intentata dalla curatela; azione che, pur non travolgendo l’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ne determina l’inefficacia nei confronti del creditore che l’abbia esperita, consentendo allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell’atto l’azione esecutiva per la realizzazione del credito (Cass. civ. n. 7127 del 25/05/2001, Rv. 546989): il bene non torna nel patrimonio del debitore, ma resta soggetto all’aggressione del (solo) creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni (Cass. civ. n. 1804 del 18/02/2000, Rv. 533999). Quindi, seppure in conseguenza dell’esito vittorioso dell’azione revocatoria il ramo d’azienda (fraudolentemente ceduto dalla COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE) non è rientrato nel patrimonio della società fallita (la COGNOME), il curatore ha comunque acquisito la legittimazione ad agire esecutivamente su di esso per la soddisfazione dei creditori ammessi al passivo fallimentare. Ed in questi termini la fraudolenta spoliazione del patrimonio sociale della Catania RAGIONE_SOCIALE (oggetto diretto dell’azione revocatoria) ha generato una diminuzione dell’attivo fallimentare della società fallita
In ciò la configurabilità del reato di bancarotta impropria (in relazione al fallimento della Catania Impianti) e del reato di bancarotta distrattiva (in relazione al fallimento COGNOME). Due reati che ben possono concorrere tra loro in quanto riferite a procedure fallimentari diverse e fondate su condotte radicalmente differenti: lo sviamento della clientela integra l’operazione dolosa causativa del dissesto della Catania Impianti; mentre lo svuotamento del patrimonio societario di quest’ultima (conseguente alla predetta operazione dolosa) rappresenta il risultato distrattivo conseguito ai danni della COGNOME, della quale la prima era un asset patrimoniale.
Condotte rispetto alle quali diviene assolutamente irrilevante la partecipazione dell’amministratore giudiziario, in quanto poste in essere dall’esterno, non già attraverso la sottrazione di beni esistenti nel patrimonio sociale (condotta per la quale sarebbe stato, logicamente, necessaria la partecipazione di colui che di tali beni aveva la disponibilità), ma attraverso una condotta fraudolenta che di tali beni impediva l’acquisizione e, quindi, mediante il compimento di atti che non necessitano di alcuna cooperazione degli organi della società.
Condotte che, parallelamente, ben possono, in astratto, integrare gli estremi del riciclaggio ove non vi sia stata compartecipazione nel fatto distrattivo (cosicché la condotta del soggetto che riceve somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, con la consapevolezza dello stato di dissesto finanziario della stessa ed in mancanza di titolo giustificativo, non può essere qualificata riciclaggio ma concorso dell’extraneus nel reato di cui all’art. 216 legge fall.: Sez. 5, n. 2298 del 21/11/2017, dep. 2018, NOME, Rv. 272089).
Ciò considerato, però, tanto dall’articolato capo d’imputazione provvisorio, quanto dall’ordinanza impugnata non solo emerge una profonda commistione tra le due procedure fallimentari (non comprendendosi, nelle singole fattispecie, a quale procedura la condotta si riferisca), ma si continua a contestare e a ritenere una condotta distrattiva “di fatto” avente per oggetto “lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, riferendo la distrazione a cespiti estranei al patrimonio della società, dando atto, così, di un’insanabile illogicità della motivazione.
L’ordinanza impugnata, quindi, deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, che si atterrà ai principi di diritto in precedenza richiamati.
L’accoglimento del terzo motivo di ricorso assorbe, in sé, le altre censure.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
Così deciso il 21 gennaio 2025
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Il Presidente