Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3032 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3032 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Catania il 24 luglio 1970;
avverso l’ordinanza del 25 luglio 2024 del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 luglio 2024, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania (ed integralmente confermata dal Tribunale distrettuale), NOME COGNOME è stato sottoposto alla misura cautelare degli
arresti domiciliari in quanto gravemente indiziato dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale post fallimentare (capo A), riciclaggio (capo B.1) e bancarotta impropria da operazioni dolose (capo C).
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, NOME COGNOME COGNOME unitamente a NOME e NOME COGNOME già concorrenti nella bancarotta relativa al fallimento RAGIONE_SOCIALE (per aver distratto il contratto di subappalt stipulato con la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, i rapporti commerciali intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE e il complesso delle attività produttive, trasferendole di fatto senza alcun corrispettivo alla RAGIONE_SOCIALE) e dopo l’intervenuto sequestro di quest’ultima e la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto di cessione di ramo d’azienda stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE, sarebbero stati artefici, insieme ad NOME COGNOME (formale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME NOME), a NOME COGNOME (socio unico e amministratore della RAGIONE_SOCIALE) e ad alcuni dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e della RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME e NOME COGNOME), della distrazione dei ricavi e dei redditi spettanti alla Doisan (già dichiarata fallita); condotta realizzata attraverso fraudolenta spoliazione del patrimonio sociale della RAGIONE_SOCIALE (anch’essa successivamente dichiarata fallita) e con essa, indirettamente, di quello della COGNOME, della quale la RAGIONE_SOCIALE era il principale asset della massa fallimentare, distraendo di fatto i lavori in subappalto concessi a quest’ultima dalla RAGIONE_SOCIALE, concorrendo, così, nella causazione del dissesto della Catania Impianti con conseguenti ripercussioni sull’attivo fallimentare della RAGIONE_SOCIALE. Condotte, tutte, finalizzate all’agevolazione del clan mafioso “PilleraPuntina”.
All’interno di questo complessivo quadro probatorio, il COGNOME avrebbe partecipato quale dirigente e procuratore della Sielte, concorrendo nella distrazione dei lavori da assegnare, sottratti alla Catania RAGIONE_SOCIALE e destinati ad altre imprese vicine agli interessi del clan.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME articolando otto motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo deduce violazione degli artt. 147, 223 e 216 I. fall. nella parte in cui al COGNOME sarebbe stata contestato un reato proprio (la bancarotta) senza che nessuno dei coindagati (in ipotesi accusatoria concorrenti del reato) abbia mai rivestito la qualifica soggettiva richiesta dalla formulazione normativa, perché non dichiarato fallito, neanche ai sensi dell’art. 147 della legge fallimentare.
2.2. Il secondo deduce violazione degli artt. 2901 e ss. cod. civ., 142 e 143 cci e 321 e 322 cod. proc. pen. (in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.) nella
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parte in cui sarebbero stati ritenuti oggetto di possibile distrazione beni che non facevano parte della massa attiva acquisita al fallimento. La RAGIONE_SOCIALE, sostiene la difesa, in conseguenza dell’esito vittorioso dell’azione revocatoria intrapresa dalla curatela fallimentare della COGNOME (avente per oggetto, appunto, la cessione del ramo d’azienda originariamente stipulato in favore della RAGIONE_SOCIALE), è stata ritenuta la principale posta attiva del fallimento Dosian. Ci tuttavia, continua la difesa, sarebbe errato in diritto, in quanto l’azione revocatori non determina l’invalidità dell’atto impugnato e, quindi, il rientro del ram d’azienda all’interno del patrimonio della Dosian: ogni diversa interpretazione che consentisse la reintegra del patrimonio della società fallita cedente finirebbe con il tradursi in un illegittimo vantaggio per la procedura fallimentare a discapito degli altri creditori della Catania Impianti. Per cui, non potendo esservi un diritto al restituzione del bene, non potrebbe ipotizzarsi alcuna condotta distrattiva. E la correttezza di tale impostazione emergerebbe, peraltro dall’intrinseca contraddizione nella quale sarebbe caduto il Tribunale che, da un canto afferma che per via del sequestro preventivo non vi sarebbe alcun effetto restitutorio in favore dei creditori della COGNOME e, dall’altro, continua a sostenere la configurabili di una bancarotta per distrazione. Tanto più alla luce della mancanza di autonoma legittimazione del curatore (della Catania Impianti, una volta fallita) ad impugnare autonomamente il provvedimento impositivo del vincolo (posto, in realtà, a tutela di interessi pubblicistici e non già dei creditori della fallita) ed ottenere, cos restituzione del compendio.
2.3. Il terzo, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazi agli artt. 216 e ss. I. fall.) e del connesso vizio di motivazione, deduce la natur non distrattiva della condotta qualificata in termini di bancarotta fraudolenta postfallimentare e il difetto di prova quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Da un canto, sostiene la difesa, il Tribunale avrebbe ritenuto suscettibili di distrazione “blocchi di lavori”, esecutivi di pregressi contratti qua stipulati con la Sielte’ in relazione ai quali la RAGIONE_SOCIALE non era titolare c di una mera aspettativa di futura assegnazione, frutto, quest’ultima di una valutazione discrezionale degli operatori dell’area commerciale (tant’è che nella prospettazione accusatoria non vi è alcuna quantificazione del valore patrimoniale di queste presunte distrazioni). Dall’altro, non sarebbero stati indicati sufficie elementi indiziari da cui desumere che il ricorrente fosse stato consapevole della revocabilità della cessione d’azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE (stipulato nel 2013) e, quindi, di concorrere alla sottrazione dei beni della RAGIONE_SOCIALE.
2.4. Il quarto deduce violazione di legge (in relazione all’art. 648-bis cod. pen.) in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di riciclaggio. Il Tribunal sostiene la difesa, non avrebbe indicato in che modo sarebbe stata dissimulata la
provenienza illecita del trasferimento di somme alle altre società subappaltatrici o, comunque, ne sarebbe stata ostacolata l’identificazione. Come emerge chiaramente dalla lettura della contestazione, sostiene la difesa, la condotta ascritta agli indagati non assume alcun carattere aggiuntivo rispetto a quella del concorrente del delitto presupposto; né il presunto trasferimento dei contratti sarebbe condotta idonea a rendere di fatto più difficoltosa l’identificazione dell sua provenienza delittuosa; né, in ultimo, l’ordinanza impugnata contiene alcun profilo argomentativo in ordine agli elementi indiziari idonei ad individuare l’elemento soggettivo del reato (quanto alla necessaria consapevolezza tanto della provenienza delittuosa dei beni, quanto all’idoneità della condotta ad ostacolare l’accertamento di tale provenienza).
2.5. Il quinto, riproponendo, in parte, le censure già sollevate con il terz motivo, deduce, sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 3 326 e 329 Cci) e del connesso vizio di motivazione: a) che si sarebbe ipotizzata la consumazione del reato anche per il periodo successivo al sequestro della Catania Impianti senza la (necessaria) cooperazione dell’amministratore giudiziario, unico titolare del potere gestorio, ma solo con la partecipazione degli ormai ex amministratori di fatto della società, privi di concreto potere gestorio; b) che sarebbero ritenuti suscettibili di distrazione “blocchi di lavori”, esecutiv pregressi contratti quadro stipulati con la RAGIONE_SOCIALE, in relazione ai quali la RAGIONE_SOCIALE non era titolare che di una mera aspettativa di futura assegnazione; c) che non vi sarebbe prova dell’effettiva consapevolezza da parte del Lombardo della (asserita) valenza distrattiva degli atti contestati.
2.6. Il sesto attiene specificamente al reato di bancarotta impropria da operazioni dolose e deduce sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, che dal complessivo impianto motivazionale non emergerebbe né il ruolo ricoperto dal Lombardo, né la consistenza del suo contributo, né il nesso eziologico tra la condotta ascritta e il dissesto sopravvenuto, atteso che, tra l’altro, il passivo accertato al momento del fallimento preesisteva rispetto alla realizzazione delle condotte contestate (ed era riconducibile al fort indebitamento nei confronti dell’Erario, oggetto della concorrente contestazione di cui al capo C).
2.7. Il settimo deduce violazione degli art. 2484, 2485, 2486 e 2482-bis cod. civ. (quanto agli obblighi dell’amministratore nei casi in cui si manifestano l cause di scioglimento della società), 322, 326 e 329 Cci (quanto alle ipotizzate violazioni dei doveri inerenti alle funzioni gestorie). La difesa sostiene che Tribunale avrebbe errato non solo nell’individuare in capo agli indagati MessinaZingale i soggetti dotati della qualifica soggettiva richiesta per la sussistenza de reato proprio in questione, ma avrebbe omesso di spiegare quali condotte concrete
poste in essere dagli indagati integrerebbero l’abuso o l’infedeltà delle funzioni o la violazione dei doveri derivanti dalla loro qualifica, non potendo certamente pretendere da chi non è più amministratore il rispetto di funzioni o il dovere di fedeltà tipico di chi amministra la società. Tanto più che a fronte dell’imponente passivo maturato prima delle condotte contestate sarebbe stato specifico obbligo dell’amministratore giudiziario procedere allo scioglimento della società e che, essendo stata ipotizzata la distrazione di un bene immateriale (i contratti stipulati con la Sielte), la nomina di un amministratore giudiziario escluderebbe, logicamente, la legittimazione a disporre da parte di terzi.
2.8. L’ottavo motivo attiene al profilo della sussistenza di un pericolo attuale e concreto di recidiva cautelare e al rispetto del principio di proporzionalità La difesa deduce che, avendo lo stesso giudice superato la presunzione di sussistenza del pericolo di recidiva (derivante dall’applicazione dell’aggravante mafiosa), sarebbe stato necessario indicare concreti elementi dai quali dedurre l’esistenza di un pericolo di reiterazione e la sua effettiva attualità. Tanto più al luce della sopravvenuta risoluzione del rapporto di lavoro con la COGNOME e della logica necessità di continuare a svolgere un’attività lavorativa. In ogni caso, non si spiegherebbe perché l’applicazione di una misura cautelare meno afflittiva, come il divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale, non possa comunque soddisfare le predette esigenze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di quanto di seguito esposto.
La corretta comprensione delle censure sollevate dal ricorrente presuppone una sintetica ricostruzione degli elementi fattuali sui quali si fonda l prospettazione accusatoria.
Il procedimento, per come evidenziato nell’ordinanza impugnata, trae origine dalla segnalazione trasmessa dall’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE, che evidenziava il progressivo calo di fatturato della società, determinato, secondo la prospettazione offerta, dalla ipotizzata sottrazione, da parte della committente RAGIONE_SOCIALE, degli interventi connessi ai contratti stipula dalla RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e ad NOME COGNOMEclià imputati per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale della RAGIONE_SOCIALE.
Si evidenziava, a sostegno della prospettazione offerta, che la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, in particolare: a) era stata costituita il 5 novembre 2020, appena tre mesi dopo il sequestro della RAGIONE_SOCIALE; b) nei sei mesi successivi aveva conseguito ricavi provenienti soltanto da cinque commesse affidatele dalla RAGIONE_SOCIALE
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RAGIONE_SOCIALE; c) tanto la sede di esercizio quanto la sede legale della stessa erano in realtà private abitazioni; d) non disponeva di depositi per i mezzi commerciali o per le attrezzature ed aveva alle proprie dipendenze solo tre lavoratori, peraltro in passato già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE.
Ebbene, dal mese di marzo 2021, nonostante non avesse i requisiti necessari per l’assegnazione dei lavori, aveva iniziato ad avere rapporti diretti con la RAGIONE_SOCIALE, acquisendo commesse per un totale imponibile pari ad euro 590.518,65 per l’anno 2021 ed euro 971.899,43 per l’anno 2022. Da ciò l’ipotesi che la scelta di far confluire all’interno della neocostituita ditta individuale gli asset prima fac capo alla Catania RAGIONE_SOCIALE fosse, in realtà, frutto di una strategia, avallata supportata dal management della RAGIONE_SOCIALE, finalizzata allo svuotamento della società sequestrata e alla prosecuzione, da parte dello Zingale e del Messina dell’attività imprenditoriale. Il tutto secondo uno schema consolidato, già utilizzato in precedenza ai danni della Dosian, attraverso la cessione di ramo d’azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE (poi dichiarata inefficace, in accoglimento dell’azione revocatoria proposta dalla curatela).
L’esattezza dell’ipotesi investigativa trovava conferma nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, NOME COGNOMEche riferiva di almeno una riunione a settimana con NOME COGNOME, dirigente della Sielte), negli esiti dell’attività di intercettazione e nelle ulteriori acquisizioni documentali relativ subappalti affidati.
In questo contesto, la contestazione della circostanza aggravante (art. 416bis.1 cod. pen.) trovava fondamento, secondo le argomentazioni offerte dal Tribunale, nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, soggetto apicale del clan COGNOME, per anni deputato ad intrattenere in prima persona, quale portavoce del clan, stretti rapporti d’affari con dipendenti e dirigent della Sielte. Il collaboratore non soltanto chiariva la genesi delle società ocinvolt nell’indagine, la loro piena riconducibilità agli interessi dell’associazione e connessa attività di riciclaggio del denaro di provenienza illecita del clan, ma spiegava con estrema precisione l’origine e l’evoluzione dei rapporti tra la Sielte ed il clan, improntati ad una logica di reciproca convenienza: la società assumeva fittiziamente tra i propri dipendenti membri del clan mafioso (erogando loro stipendi e somme aggiuntive, oltre a pagare un tributo periodico all’associazione) e, in cambio, riceveva la “protezione” dell’associazione e la connessa risoluzione di questioni economiche.
Secondo il Tribunale, le dichiarazioni rese dal collaboratore erano caratterizzate da immediatezza, genuinità, reiterazione nel tempo e frutto di esperienza diretta, rimanendo irrilevante tanto la valutazione di inattendibilità resa dalla Corte di Appello (in quanto riferita a fatti inerenti ad un sogget
appartenente ad un clan diverso da quello del Messina, COGNOME NOME, del clan COGNOME), quanto i paventati motivi di astio verso tutti i componenti della famiglia COGNOME derivanti della mancata accettazione della sua nuova relazione sentimentale (mera scaturigine del percorso di collaborazione dello stesso).
Ciò premesso, la valutazione delle censure prospettate dalla difesa presuppone l’indicazione di alcune coordinate ermeneutiche preliminari.
In primo luogo, va ribadito che le diverse condotte nelle quali si sviluppa la bancarotta fraudolenta patrimoniale sono (quanto meno quelle di dissimulazione occultamento, distrazione e dissipazione) diverse modalità di aggressione dello stesso bene giuridico, rappresentato dall’interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell’imprenditore, destinata, dall’art. 2740 cod. civ., a garanzia dei debiti contratti; singole modalità di esecuzione alternative e fungibili di un solo reato (Sez 5, n. 30442 del 22/06/2006, Preziosa), strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento patrimoniale in danno dei creditori); evento in cui si concretizza l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualunque forma e con qualunque modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale utilizzato, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate in favore della curatela (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Rv. 213120). Ciò che qualifica la condotta sanzionata dall’art. 216, comma 1, n. 1, I. fall., in tutte le alternative manifestazioni, è solo il risultato ultimo, la lesione dell’interesse creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale conseguente ad un atto di disposizione che abbia determinato una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della società fallita.
Tutto ciò impone, però che la diminuzione della garanzia sia stata effettiva: la bancarotta patrimoniale distrattiva sanziona il vulnus reale che l’atto determina all’integrità del patrimonio destinato (ai sensi dell’art. 2740 cod. civ.) a garanz dei creditori. E, quindi, l’accertamento, non condizionato da alcuna presunzione, della previa disponibilità in capo all’imprenditore fallito dei beni mancanti (Sez. 5 n. 22787 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247520; conf. Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, COGNOME, Rv. 235767).
Ebbene, il Tribunale ha dato atto: a) del progressivo calo di fatturato della RAGIONE_SOCIALE e del parallelo aumento del fatturato di altre società ed imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME; b) delle anomalie connesse all’attribuzione dei lavori alle predette società; c) delle dichiarazioni rese collaboratore di giustizia, NOME COGNOME (che riferiva dell’interessamento del clan COGNOME verso attività imprenditoriali lecite verso le quali far confluire i prov
delle attività delittuose e dei rapporti con la Sielte strutturati in termi reciproca convenienza: la società non si limitava all’assegnazione dei lavori alle società riconducibili all’associazione, ma assumeva fittiziamente tra i propri dipendenti membri del clan mafioso, erogando loro stipendi e somme aggiuntive oltre ad un tributo periodico all’associazione stessa, ricevendo in cambio la protezione attraverso la risoluzione con il metodo mafioso di questioni economiche nel suo interesse); d) degli esiti dell’attività di intercettazione (dalle emergeva: il concreto svolgimento di fatto delle funzioni gestorie da parte degli COGNOME e del Messina e il connesso ruolo – di mero prestanome – svolto dall’COGNOME; l’attribuzione alla Telenet e alla A.F. RAGIONE_SOCIALE di lavori “della RAGIONE_SOCIALE“; i tentativi di tenero all’oscuro l’amministratore giudiziario di complessiva e sistematica attività di svuotamento). E in forza di ciò, ha ritenuto sussistente (nei limiti della gravità indiziaria) uno sviamento degli interven connessi ai contratti stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di altre società ed imprese (la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) comunque riconducibili ad NOME e NOME COGNOME e NOME.
Tanto, però, non può ritenersi attività distrattiva. L’assegnazione dei singoli lavori alle ditte subappaltatrici, infatti, per come emerge dalla stessa ordinanza applicativa, pur essendo rimessa ad un criterio di ripartizione tendenzialmente costante, è frutto di una scelta discrezionale degli operatori dell’area commerciale e, quindi, nella prospettiva dell’impresa subappaltatrice, una mera aspettativa solo teoricamente ipotizzabile (cfr., per una fattispecie sostanzialmente sovrapponibile, Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689).
È pur vero che la distrazione o l’occultamento di diritti derivanti da un rapporto contrattuale rientra nella previsione di cui all’art. 216 I. fall., ma ciò solo ove diritti siano già presenti nel patrimonio dell’imprenditore fallito (Sez. 5, n. 129 del 25/02/2020, Boi, Rv. 278887). Ipotizzare il contrario significherebbe ritenere suscettibile di distrazione la mera aspettativa che in futuro i clienti si rivolga all’azienda in forza dei rapporti intrattenuti in passato con la stessa. Né può ritenersi che tali condotte si risolvano in una distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda, in sé (inteso come capacità di profitto di un’attività produttiva: Cass. civ. 2 agosto 1995, n. 8470, Rv. 493535) non suscettibile di distrazione se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento (Sez. 5, n. 5357 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272108; Sez. 5, n. 26542 del 19/3/2014, Riva, Rv. 260689; Sez. 5, n. 9813 del 8/3/2006, COGNOME ed altri, Rv. 234242).
Ciò, però, non significa ritenere lecito una condotta di “sviamento” delle assegnazioni dei lavori. L’acquisizione di un vantaggio competitivo ingiusto
(ottenuto svuotando consapevolmente l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative), infatti, rappresenta pur sempre una condotta non conforme allo statuto di correttezza professionale fra imprenditori, che, pur non integrando gli estremi della bancarotta distrattiva (non avendo per oggetto poste attive già presenti nel patrimonio dell’imprenditore), potrà assumere i caratteri dell’illecito civile (ai sensi dell’art.2598 n.3 cod. civ.), se idoneo a danneggia l’altrui azienda (Cass. civ., n. 94 del 04/01/2017), o penale, laddove qualificabile come atto di disposizione patrimoniale eventualmente rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2634 cod. civ. (Sez. 5, n. 3817/13 d 11/12/2012, COGNOME, Rv. 254774) o secondo lo schema dell’art. 223, n. 2, I. fall., non quale bancarotta distrattiva, bensì in termini di bancarotta impropria da operazioni dolose (Sez. 5, n. 9813 del 08/03/2006, COGNOME, Rv. 234242; Sez. 5, n. 6992 del 08/04/1988, COGNOME, Rv. 178604).
Se, infatti, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è strutturat intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente lesione dell’interesse dei creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale), il reato di cui al n. 2 dell’art. 223 I. fall. è integ una condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri imposti ai soggetti indicati dalla legge ed è strutturato intorno ad una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non da una singola condotta, ma da un fatto di maggiore complessità, integrato da una pluralità di atti funzionalmente coordinati nella loro complessiva ed unitaria causa concreta ed eziologicamente idonei alla causazione del fallimento (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071; Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Rv, 268207). Non rileva, né è sempre immediatamente percepibile, il compimento di una singola azione dannosa, ma solo, appunto, una pluralità di atti (astrattamente legittimi nella loro dimensione individuale), tra lo funzionalmente concatenati. Ed è solo dalla valutazione sistematica di questi atti che è possibile cogliere la causa concreta dell’operazione posta in essere e, con essa, il pregiudizio subito dalla società: un’operazione che, concretizzandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione (Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ed è proprio la valutazione complessiva delle plurime assegnazioni di singoli blocchi di lavori (in danno della Catania RAGIONE_SOCIALE ed in favore, per quel che rileva in questa sede, della TeleNet), valutate nella loro unitarietà funzionale e alla luce del fine ultimo perseguito (permettere al Messina e agli COGNOME di proseguire l’attività imprenditoriale sottraendo le commesse alla Catania RAGIONE_SOCIALE) che dà conto della (ipotizzata) configurabilità del reato: una pluralità di atti che, seppu
privi di autonoma valenza distrattiva (per le ragioni evidenziate in precedenza), si sostanziano comunque in un abuso o in una infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri connessi all’esercizio della funzione gestoria (perché diretti a sottrarre l’assegnazione delle commesse alla Catania Impianti), potenzialmente idoneo, attraverso il suo progressivo svuotamento, a causare il dissesto della società, con conseguente pregiudizio dei soci, dei creditori e di tutti i terzi coinvo nell’attività imprenditoriale e, fra questi, anche la curatella della COGNOME, del quale la Catania RAGIONE_SOCIALE era il principale asset.
E che la Catania Impianti sia il principale asset del fallimento COGNOME discende, quale diretta conseguenza, dall’esito vittorioso dell’azione revocatoria intentata dalla curatela; azione che, pur non travolgendo l’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ne determina l’inefficacia nei confronti del creditore che l’abbia esperita, consentendo allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell’atto l’azione esecutiva per la realizzazione del credito (Cass. civ. n. 7127 del 25/05/2001, Rv. 546989): il bene non torna nel patrimonio del debitore, ma resta soggetto all’aggressione del (solo) creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni (Cass. civ. n. 1804 del 18/02/2000, Rv. 533999). Quindi, seppure in conseguenza dell’esito vittorioso dell’azione revocatoria il ramo d’azienda (fraudolentemente ceduto dalla COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE) non è rientrato nel patrimonio della società fallita (la COGNOME), il curatore ha comunque acquisito la legittimazione ad agire esecutivamente su di esso per la soddisfazione dei creditori ammessi al passivo fallimentare. Ed in questi termini la fraudolenta spoliazione del patrimonio sociale della Catania RAGIONE_SOCIALE (oggetto diretto dell’azione revocatoria) ha generato una diminuzione dell’attivo fallimentare della società fallita
In ciò la configurabilità del reato di bancarotta impropria (in relazione al fallimento della Catania Impianti) e del reato di bancarotta distrattiva (in relazione al fallimento COGNOME). Due reati che ben possono concorrere tra loro in quanto riferite a procedure fallimentari diverse e fondate su condotte radicalmente differenti: lo sviamento della clientela integra l’operazione dolosa causativa del dissesto della Catania Impianti; mentre lo svuotamento del patrimonio societario di quest’ultima (conseguente alla predetta operazione dolosa) rappresenta il risultato distrattivo conseguito ai danni della COGNOME, della quale la prima era un asset patrimoniale.
Condotte rispetto alle quali diviene assolutamente irrilevante la partecipazione dell’amministratore giudiziario, in quanto poste in essere dall’esterno, non già attraverso la sottrazione di beni esistenti nel patrimonio sociale (condotta per la quale sarebbe stato, logicamente, necessaria la partecipazione di colui che di tali beni aveva la disponibilità), ma attraverso una
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condotta fraudolenta che di tali beni impediva l’acquisizione e, quindi, mediante il compimento di atti che non necessitano di alcuna cooperazione degli organi della società.
Condotte che, parallelamente, ben possono, in astratto, integrare gli estremi del riciclaggio ove non vi sia stata compartecipazione nel fatto distrattivo (cosicché la condotta del soggetto che riceve somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, con la consapevolezza dello stato di dissesto finanziario della stessa ed in mancanza di titolo giustificativo, non può essere qualificata riciclaggio ma concorso dell’extraneus nel reato di cui all’art. 216 legge fall.: Sez. 5, n, 2298 del 21/11/2017, dep. 2018, Lisa, Rv. 272089) o dell’autoriciclaggio, quale lecita vestizione delle somme, dei beni e delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto (nella parte in cui alla condotta distrattiva ch somme di denaro abbia fatto sèguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche e finanziarie di tali somme).
Ciò considerato, però, tanto dall’articolato capo d’imputazione, quanto dall’ordinanza impugnata non solo emerge una profonda commistione tra le due procedure fallimentari (non comprendendosi, nelle singole fattispecie, a quale procedura la condotta si riferisca), ma si continua a contestare e a ritenere una condotta distrattiva “di fatto” avente per oggetto “lavori in subappalto concessi dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, riferendo la distrazione a cespit estranei al patrimonio della società, dando atto, così, di un’insanabile illogicit della motivazione.
L’ordinanza impugnata, quindi, deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, che si atterrà ai principi di diritto in precedenz richiamati.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe, in sé, le altre censure.
P.O.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
Così deciso il 3 dicembre 2024
Il Consiqiere estensore
Il Presidente