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Bancarotta impropria: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per bancarotta impropria da reato societario. La Corte ha ribadito che il reato sussiste anche quando la condotta illecita si limita ad aggravare un dissesto preesistente. I motivi del ricorso sono stati respinti in quanto miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, portando alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Impropria: Aggravare il Dissesto è Sufficiente per la Condanna

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2932 del 2024, ha ribadito principi fondamentali in materia di bancarotta impropria. La decisione chiarisce che il reato sussiste anche quando la condotta illecita dell’amministratore non causa direttamente l’insolvenza, ma si limita ad aggravare una situazione di dissesto già esistente. Questo articolo analizza la pronuncia, i motivi del ricorso e le sue importanti implicazioni pratiche per gli operatori del diritto e per gli amministratori di società.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano, di un’amministratrice per il reato di bancarotta impropria derivante da reati societari. L’imputata, ritenendo la sentenza ingiusta, ha presentato ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi per chiederne l’annullamento.

I Motivi del Ricorso e la Bancarotta Impropria

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti principali:

1. Errata applicazione della legge: Si contestava la violazione dell’art. 223 della Legge Fallimentare. Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato a considerare penalmente rilevante una condotta che aveva solo aggravato un dissesto societario già esistente, senza averlo causato. Inoltre, si negava la sussistenza di un rapporto di causalità tra le condotte contestate e il dissesto.
2. Vizio di motivazione sull’elemento soggettivo: Il secondo motivo criticava la motivazione della sentenza d’appello riguardo alla consapevolezza e volontà (dolo) di commettere il reato, chiedendo di fatto una nuova valutazione degli elementi probatori.
3. Mancato riconoscimento di un’attenuante: Infine, si lamentava la violazione della legge penale per non aver concesso l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall’art. 219 della Legge Fallimentare.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i motivi presentati e ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Di conseguenza, non solo ha confermato la condanna, ma ha anche condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza dell’impugnazione.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della difesa. Per quanto riguarda il primo motivo, è stato giudicato “manifestamente infondato”. I giudici hanno richiamato la giurisprudenza consolidata secondo cui “il reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società”. Non è necessario, quindi, che l’amministratore abbia causato l’insolvenza da zero; è sufficiente che le sue azioni illegittime abbiano peggiorato una crisi già esistente. La parte relativa al nesso di causalità è stata liquidata come un tentativo di sollecitare un “apprezzamento di merito non consentito in sede di legittimità”.

Anche il secondo e il terzo motivo hanno subito la stessa sorte. La Corte ha osservato che la ricorrente, lungi dal denunciare vizi di legittimità (come un errore di diritto o un travisamento della prova), stava semplicemente proponendo un “diverso apprezzamento degli elementi in atti”, reiterando argomentazioni già respinte dalla Corte territoriale con una motivazione logica e congrua. Tale richiesta di una nuova valutazione dei fatti è preclusa nel giudizio di Cassazione, che si occupa solo della corretta applicazione della legge.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un’importante conferma di due principi cardine. Primo, la responsabilità per bancarotta impropria è molto estesa e include ogni condotta illecita che, anche in una situazione già compromessa, contribuisca al peggioramento finanziario della società. Gli amministratori devono quindi esercitare la massima prudenza, poiché anche l’aggravamento di una crisi può avere conseguenze penali. Secondo, viene ribadita la natura del giudizio di Cassazione: non è un terzo grado di merito dove si possono ridiscutere le prove, ma un controllo sulla legittimità delle decisioni dei giudici precedenti. Un ricorso che ignora questa distinzione e si limita a riproporre una lettura alternativa dei fatti è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente aggravio di spese per il ricorrente.

Per configurare il reato di bancarotta impropria è necessario che la condotta illecita abbia causato l’insolvenza della società?
No. Secondo la Corte, il reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecita ha concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto nella società.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti del processo per dimostrare la propria innocenza?
No. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non è consentito chiedere alla Corte di effettuare un “diverso apprezzamento degli elementi in atti” o una “rilettura degli elementi di fatto”, a meno che non si denunci un vizio specifico come il travisamento della prova, che non è stato fatto nel caso di specie.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisano profili di colpa nell’impugnazione (come in questo caso, per l’evidente inammissibilità), anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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