Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37843 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Spezzano della Sila il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/03/2025 della Corte d’appello di Catanzaro udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria contenente motivi nuovi con la quale il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro, accogliendo (in parte) l’appello proposto dal pubblico ministero, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, ha condannato l’imputato per il delitto di bancarotta impropria di cui al capo 2), n. 1, dell’imputazione, per non aver versato sistematicamente debiti maturati a titolo di imposte e di contributi previdenziali e assistenziali della società per un’esposizione complessiva di oltre 1.600.000,00 euro.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con il proprio difensore di fiducia, il COGNOME, proponendo due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo, l’imputato deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione per travisamento delle prove testimoniali, con riferimento all’erronea individuazione delle cause del dissesto societario e del conseguente fallimento nella condotta omissiva ascritta al capo 2), punto primo, della rubrica, nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione agli artt. 42 cod. pen., 223, comma 2, n. 2, l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto integrato il reato di bancarotta impropria in assenza dell’elemento psicologico dello stesso.
A fondamento delle censure, il ricorrente, lamenta che la Corte territoriale ha omesso di considerare le cause effettive del dissesto della società, per come accertate nella sentenza dichiarativa di fallimento e individuate dal Commissario giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo, nonché confermato dalle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare in dibattimento.
In sostanza, senza vagliare la portata di tali emergenze istruttorie, la Corte d’Appello si sarebbe limitata a valorizzare il dato oggettivo consistente nel mancato accantonamento dei maggiori debiti per sanzioni e interessi, determinati dal sistematico omesso versamento di imposte, tasse e contributi previdenziali, senza verificare se, effettivamente, tale condotta avesse spiegato incidenza concreta sul dissesto societario. Inoltre non sarebbe stato adeguatamente valutato l’elemento soggettivo del reato, ancora una volta affermato in modo assertivo ed apodittico da parte della decisione impugnata per il solo fatto del mancato pagamento degli oneri erariali e previdenziali.
2.2. Con il secondo motivo, rispetto al trattamento sanzionatorio, il RAGIONE_SOCIALE denuncia inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione agli articoli 132 e 133 cod. pen., per l’eccessivo aumento di pena applicato dalla Corte territoriale, nel riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione tra il reato ascritto al capo 2) della rubrica e i fatti giudicati con la sentenza di condanna irrevocabile n. 63 del 2018.
L’imputato l amenta, in particolare, l’applicazione di un aumento di pena di mesi nove di reclusione giustificato dall’ammontare dell’importo non versato e dalla durata della condotta omissiva, nelle quattro annualità ricomprese tra il 2007 e il 2010. Valutazione, quest’ultima , erronea, considerato che egli ha assunto la carica di amministratore della società solo a partire dal 14 marzo 2008 e avrebbe quindi potuto, a tutto concedere, essere ritenuto responsabile esclusivamente per l’obbligo di versamento degli oneri tributari e contributivi a partire dall’anno 2009.
Né sarebbe giustificato l’aumento di pena in ragione dell’intensità del dolo, neppure sussistente nella fattispecie concreta.
3. Con memoria contenente motivi nuovi il difensore dell’imputato, ad ulteriore illustrazione delle censure proposte con il ricorso principale, ha dedotto: quanto al primo motivo, erronea valutazione del dolo nella bancarotta impropria ai sensi dell’art. 223 , comma 2, n. 2), l. fall., poiché la Corte territoriale non avrebbe verificato la concreta prevedibilità del dissesto a fronte del mancato assolvimento di oneri erariali e contributivi; sempre rispetto al primo motivo, omessa considerazione, da parte della decisione impugnata, delle risultanze testimoniali che, secondo quanto emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata, indicavano la crisi aziendale come derivata da fattori esterni (ovvero crisi di mercato, sospensione dell’attività, crisi finanziaria generale ), con conseguente intenzionalità della condotta e prevedibilità del dissesto; errata imputazione del periodo di gestione, dal 2007 al 2010, pur avendo egli assunto la carica il 14 marzo 2008; omessa specifica motivazione riguardo alla scelta del quantum di aumento di pena e alla valutazione delle circostanze concrete (quali, a titolo esemplificativo, l’effettivo apporto causale, l’assenza di dolo, la limitata gravità del fatto).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo di ricorso, che ricomprende anche i tre motivi nuovi che lo hanno precisato e integrato, non è fondato.
Occorre considerare, in proposito, che la riforma della pronuncia assolutoria di primo grado poggia sulla differente valutazione dell’elemento soggettivo del reato ascritto, ossia il delitto di cui all’art. 223 , comma 2, n. 2, l. fall., per la causazione dolosa del fallimento mediante l’omissione sistematica del versamento di imposte e tributi.
E, invero, giova ricordare che, a differenza di quanto assunto dal Tribunale che aveva ritenuto non accertata una preordinazione della condotta del COGNOME a determinare lo stato di decozione della società, per costante giurisprudenza di questa Corte, il reato consistente nell’aver cagionato il fallimento per effetto di operazioni dolose si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, nella quale l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione anti-doverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà
dell’evento fallimentare. Di qui, per la configurabilità del reato è necessaria la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto che svolge un ruolo gestorio nella società a fronte degli interessi dell’impresa (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247315). Vi è infatti che l’art 223, comma 1, l.fall. prevede due autonome fattispecie criminose; esse, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre, da quello soggettivo, vanno tenute distinte, perché nella ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio della stessa, di talché la prima fattispecie è a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, COGNOME G, Rv. 214856-01). In sostanza, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta anti-doverosa (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 265510).
E, pertanto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei superiori principi laddove, con congrue argomentazioni, ha individuato nel protratto inadempimento degli obblighi tributari e previdenziali per importi considerevoli da parte dell’imputato una condotta che, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione debitoria dell a società verso l’Erario , anche per gli interessi e le gravose sanzioni, ne rendeva prevedibile il dissesto.
Il secondo motivo, unitamente al quarto motivo nuovo che lo ha integrato, si presenta inammissibile.
Vi è infatti che la sentenza impugnata ha giustificato la misura dell’aumento di pena avendo riguardo a ll’entità delle imposte e contributi previdenziali non versati e alla durata della condotta, argomentazioni con le quali il ricorrente avrebbe dovuto confrontarsi in modo specifico evidenziando l’incidenza sulla condotta omissiva del periodo anteriore all’assunzione della carica.
Il ricorso deve dunque essere complessivamente rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 29/10/2025 Il AVV_NOTAIO Estensore Il Presidente NOME COGNOME