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Bancarotta impropria: quando il dolo è presunto

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta impropria a un amministratore che aveva sistematicamente omesso il versamento di imposte e contributi. La sentenza chiarisce che per questo reato non è necessario provare l’intenzione di causare il fallimento, ma è sufficiente la consapevolezza di compiere un’azione dannosa (dolo generico) e la prevedibilità del dissesto come sua conseguenza.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Impropria: L’omissione di Tasse e Contributi Integra il Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 37843/2025, offre un’importante lezione sulla responsabilità degli amministratori, in particolare riguardo al reato di bancarotta impropria. Il caso analizzato riguarda un amministratore condannato per aver causato il dissesto della propria società attraverso il sistematico omesso versamento di debiti tributari e previdenziali per oltre 1,6 milioni di euro. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i contorni dell’elemento psicologico richiesto per configurare questo grave delitto.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale parte da una sentenza di assoluzione in primo grado. Successivamente, la Corte di Appello, accogliendo il ricorso del pubblico ministero, ribaltava la decisione e condannava l’amministratore per bancarotta impropria. Secondo l’accusa, il fallimento della società era stato causato direttamente dalla condotta dell’imputato, che aveva omesso di versare ingenti somme dovute a titolo di imposte e contributi, aggravando irrimediabilmente l’esposizione debitoria dell’azienda.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’amministratore, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basato su due motivi principali:

1. Errata valutazione delle cause del dissesto e assenza di dolo: Il ricorrente sosteneva che la Corte di Appello avesse ignorato le vere cause della crisi aziendale (fattori esterni come crisi di mercato) e avesse erroneamente collegato il fallimento alla sola omissione dei versamenti. Inoltre, contestava la sussistenza dell’elemento psicologico, ovvero la volontà di causare il fallimento.
2. Eccessività della pena: Si lamentava un aumento di pena sproporzionato, calcolato su un periodo di gestione (2007-2010) più ampio di quello in cui egli aveva effettivamente ricoperto la carica di amministratore (dal marzo 2008).

La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta Impropria

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. La sentenza è particolarmente significativa per le argomentazioni utilizzate per respingere il primo motivo di ricorso, che toccano il cuore della fattispecie di bancarotta impropria da operazioni dolose.

Le Motivazioni

Il punto centrale delle motivazioni della Suprema Corte riguarda la natura del dolo nel reato previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2, della Legge Fallimentare. I giudici hanno chiarito che questo reato si configura come una “eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale”.

Cosa significa in pratica? Non è necessario che l’accusa provi che l’amministratore avesse l’intenzione specifica di portare la società al fallimento (dolo specifico). È invece sufficiente dimostrare due elementi:

1. La consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’operazione: L’amministratore doveva essere cosciente di porre in essere una condotta dannosa per la società, come l’omissione sistematica del pagamento di debiti fiscali e contributivi.
2. L’astratta prevedibilità del dissesto: Il fallimento deve essere una conseguenza prevedibile di tale condotta anti-doverosa. Nel caso di specie, accumulare un debito di oltre 1,6 milioni di euro con l’Erario, comprensivo di sanzioni e interessi, rendeva il dissesto un evento altamente probabile e, quindi, prevedibile.

La Cassazione ha affermato che la Corte territoriale ha correttamente applicato questi principi. Il protratto inadempimento degli obblighi tributari e previdenziali è stato giustamente individuato come una condotta che, aumentando in modo ingiustificato l’esposizione debitoria, rendeva prevedibile il collasso della società.

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla pena, la Corte lo ha dichiarato inammissibile, poiché il ricorrente non aveva argomentato in modo specifico come il periodo anteriore alla sua nomina avesse inciso sulla sua condotta omissiva.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per tutti gli amministratori di società: la responsabilità penale per bancarotta impropria può sorgere anche senza la volontà diretta di far fallire l’azienda. Una gestione che ignori sistematicamente gli obblighi fiscali e contributivi, accumulando debiti che rendono il dissesto una conseguenza prevedibile, integra gli estremi del reato. La decisione sottolinea che l’amministratore ha il dovere di agire nell’interesse della società, e il mancato pagamento dei debiti verso l’Erario è una condotta che contrasta palesemente con tale dovere, esponendolo a gravi conseguenze penali.

Per configurare la bancarotta impropria è necessario che l’amministratore volesse specificamente causare il fallimento?
No, secondo la sentenza della Cassazione non è richiesta la volontà specifica di causare il fallimento (dolo specifico). È sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di porre in essere un’operazione dannosa per la società e la prevedibilità che da tale condotta possa derivare il dissesto.

L’omesso versamento sistematico di tasse e contributi può integrare il reato di bancarotta impropria?
Sì. La Corte ha stabilito che il protratto inadempimento degli obblighi tributari e previdenziali per importi considerevoli è una condotta dolosa che, aumentando l’esposizione debitoria della società, rende prevedibile il fallimento e configura quindi il reato.

Come viene valutato l’elemento psicologico del reato di bancarotta impropria da operazioni dolose?
L’elemento psicologico si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura ‘dolosa’ dell’operazione (ad esempio, non pagare le tasse) e nella prevedibilità astratta del dissesto come effetto di tale azione. Non è necessario provare che l’amministratore si sia rappresentato e abbia voluto l’evento del fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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