Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16422 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16422 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME nata in Austria il 9 giugno 1968; COGNOME NOME nato a Roma 1’11 settembre 1953;
avverso la sentenza del 27 giugno 2024 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Palermo, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME e NOME COGNOME responsabili, nelle loro qualità di amministratori della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 16 aprile 2019), dei reati di bancarotta impr da operazioni dolose (per aver cagionato il fallimento della società omettendo
sistematicamente il pagamento di contributi previdenziali ed imposte, capo A) e di bancarotta semplice documentale (così riqualificata l’originaria imputazione in termini di bancarotta fraudolenta documentale specifica, capo B).
I ricorsi sono proposti nell’interesse degli imputati e si articolano in quat motivi di censura.
3.1. Il primo deduce l’omessa valutazione della proposta formulata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. con la quale i ricorrenti, rinunciando a tutti gli motivi d’impugnazione formulati con l’atto di appello, chiedevano (ottenendo il consenso del Pubblico Ministero) la rideterminazione della pena nei termini indicati nell’istanza.
3.2. Il secondo si articola in due censure. La prima, afferente alla bancarotta impropria contestata al capo A), deduce che l’omesso versamento delle imposte non sarebbe frutto di una deliberata scelta degli amministratori, ma conseguenza inevitabile delle gravi condizioni economiche nelle quali versava l’impresa, tanto più alla luce delle rassicurazioni dello stesso commercialista che seguiva la gestione economica. La seconda attiene alla bancarotta semplice documentale contestata al capo B e deduce che non solo non vi sarebbe alcuna preordinazione (come riconosciuto dalla Corte d’appello), ma non potrebbe ravvisarsi neanche alcun profilo di responsabilità in capo agli imputati, ancorché a titolo di colpa.
3.3. Il terzo e il quarto attengono al trattamento sanzionatorio e, i particolare, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (illogicamente escluse, sostiene la difesa, non considerando il limitato danno causato e la corretta condotta processuale tenuta dai ricorrenti) e alla determinazione delle pene accessorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato. A prescindere dalla chiara circostanza per cui non vi è prova che la richiesta di applicazione della pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. sia stata ritualmente sottoposta alla valutazion della Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto nella prospettazione difensiva, qualora il giudice di appello ritenga di non accogliere la richies concordata delle parti sulla misura della pena, con rinunzia agli altri motivi, no deve esplicitare le ragioni del rigetto, essendo sufficiente l’ordine di prosecuzion del dibattimento (Sez. 4, n. 16195 del 22/01/2019, Rv. 275581; Sez. 2, n. 8745 del 22/11/2019, dep. 2020, Avolese, Rv. 278527). Si tratta di un orientamento che ha ripreso e condiviso quanto già affermato nella vigenza del precedente patteggiamento in appello (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, Rv. 2223869) e che,
con l’introduzione delle nuove previsioni normative, trova fondamento nella lettera delle disposizioni dettate dall’art. 599-bis comma 3 e 602 comma 1-bis cod. proc. pen., nelle quali viene espressamente riferito che il giudice di appello, ove ritenga di non dovere accogliere la richiesta di concordato ordina la citazione dell’imputato ovvero dispone la prosecuzione del dibattimento, a seconda della fase nella quale viene formulata la richiesta ed ottenuto il consenso del Pubblico Ministero. E tanto è avvenuto in concreto, con la prosecuzione del giudizio (nelle forme cartolari) e la pronuncia della sentenza (di conferma della decisione impugnata) (Sez. 2, n. 8745, cit., in motivazione).
2. Il secondo motivo è, anch’esso, complessivamente infondato.
Il ricorrente, per come si è detto, deduce, da un canto, la (pregressa) sussistenza di una significativa difficoltà finanziaria (che avrebbe precluso l possibilità di adempiere alle obbligazioni tributarie) e, dall’altro, la para esistenza di un credito da porre in compensazione con tale debito (che avrebbe, secondo la difesa, giustificato la condotta omissiva degli amministratori).
2.1. La prima censura è infondata. Rientrando fra le prerogative proprie dell’amministratore il versamento delle imposte e la sottoscrizione delle relative dichiarazioni fiscali, entrambi i ricorrenti erano sicuramente a conoscenza dei debiti erariali (circostanza peraltro riconosciuta dallo stesso NOME COGNOME) e, quindi, alla luce della loro funzione e della conseguente consapevolezza del dato contabile, anche nella condizione di poter prevedere concretamente che il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali avrebbe esposto il patrimonio sociale alle azioni di riscossione erariale, particolarmente gravose per gli imponenti interessi e sanzioni che per legge vengono applicati. In questa situazione, la scelta di non adempiere alle obbligazioni fiscali e contributive non è imposta da nessuna prescrizione cogente, ma è solo il risultato di una libera determinazione dell’imprenditore (attraverso cui la prosecuzione dell’attività economica è stata finanziata con l’utilizzo del denar spettante all’Erario e agli istituti previdenziali).
2.2. La seconda censura è, invece, generica, mancando ogni concreto riferimento documentale in ordine all’effettiva esistenza di tale credito. Tanto pi alla luce della totale inerzia di entrambi i ricorrenti nelle (eventuali) attiv recupero dello stesso.
2.3. In ultimo, la censura afferente alla sussistenza della bancarotta documentale è chiaramente generica, essendosi limitati i ricorrenti a dedurre l’assenza di dolo o di colpa nella condotta di omessa tenuta della documentazione. D’altronde, a fronte della deduzione di aver affidato la contabilità ad u professionista incaricato della relativa tenuta, è sufficiente ribadire come, a norma
degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attivi commerciale è sempre obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Per cui egli potrà avvalersi dell’ope di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resterà comunque responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, Rv. 212147) e sussistendo, comunque, l’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013, dep. 2014, Rv. 258947).
4.2. Il quarto motivo è, in ultimo, evidentemente generico, in quanto si limita a censurare la quantificazione della pena accessoria irrogata, senza, tuttavia, indicare le ragioni, in fatto o in diritto, poste a fondamento della censur prospettata, così impedendo a questa Corte l’esercizio del sindacato invocato con l’impugnazione.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 febbraio 2025
Il Presidente