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Bancarotta impropria: la Cassazione e la colpa grave

La Corte di Cassazione conferma la condanna di due amministratori per bancarotta impropria e documentale. La Corte ha stabilito che l’omissione sistematica del pagamento di tasse e contributi, che causa il fallimento, costituisce un’operazione dolosa, e che la delega della contabilità a un professionista non esonera gli amministratori dal loro dovere di vigilanza.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Impropria: L’Amministratore è Sempre Responsabile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di bancarotta impropria, chiarendo i limiti della responsabilità degli amministratori di una società fallita. La decisione sottolinea come il sistematico omesso versamento di imposte e contributi non possa essere giustificato da difficoltà economiche e come la delega della contabilità a terzi non esoneri da colpa. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I fatti del processo

Gli amministratori di una S.r.l., dichiarata fallita nel 2019, sono stati condannati in primo e secondo grado per due reati: bancarotta impropria da operazioni dolose e bancarotta semplice documentale. La prima accusa derivava dall’aver sistematicamente omesso il pagamento di contributi previdenziali e imposte, una condotta che, secondo l’accusa, aveva direttamente cagionato il dissesto finanziario della società. La seconda accusa riguardava la tenuta irregolare delle scritture contabili.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa degli amministratori ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Il rigetto immotivato della richiesta di patteggiamento in appello.
2. L’assenza di dolo nella condotta, sostenendo che il mancato pagamento dei tributi fosse una conseguenza inevitabile delle gravi difficoltà economiche dell’impresa e non una scelta deliberata. Per la bancarotta documentale, si negava qualsiasi profilo di colpa.
3. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4. L’errata determinazione delle pene accessorie.

La bancarotta impropria e la decisione della Corte

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la condanna e fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto sollevato dalla difesa.

La responsabilità per il mancato pagamento dei tributi

Il cuore della decisione riguarda la qualificazione del mancato versamento di imposte e contributi come operazione dolosa. La Cassazione ha affermato che la scelta di non adempiere alle obbligazioni fiscali e previdenziali non è imposta da alcuna necessità, ma rappresenta una libera determinazione dell’imprenditore. Di fatto, attraverso questa omissione, l’attività economica viene illecitamente finanziata con il denaro spettante all’Erario e agli istituti previdenziali. Gli amministratori, pienamente consapevoli dei debiti accumulati e delle relative sanzioni, avrebbero dovuto prevedere che tale condotta avrebbe esposto il patrimonio sociale a un rischio insostenibile, portando al fallimento.

La responsabilità per la tenuta della contabilità

Anche la giustificazione relativa alla bancarotta documentale è stata respinta. La difesa sosteneva che la contabilità era stata affidata a un professionista esterno. Tuttavia, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’imprenditore è personalmente obbligato alla regolare tenuta dei libri contabili. Anche se si avvale dell’opera di un tecnico, l’amministratore rimane responsabile e ha il preciso dovere di vigilare e controllare l’attività svolta dai suoi delegati. Non può, quindi, invocare la delega come scusante per l’irregolare tenuta della documentazione.

Il rigetto delle attenuanti generiche

La Corte ha ritenuto logica e corretta la decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti generiche. Tale esclusione è stata motivata sulla base della non ridotta gravità della condotta, della pervicacia dimostrata nel perseverare con le omissioni e del conseguente e significativo depauperamento del patrimonio aziendale.

Le motivazioni

La sentenza si fonda su principi di diritto chiari e consolidati. In primo luogo, il dovere di un amministratore non si esaurisce nella gestione operativa, ma include la garanzia della legalità e della sostenibilità finanziaria dell’impresa. L’utilizzo di fondi destinati allo Stato per finanziare l’attività corrente è considerato un’operazione dolosa che mina le fondamenta stesse della società e del mercato. In secondo luogo, la responsabilità gestoria è personale e non interamente delegabile. L’obbligo di supervisione sull’operato di consulenti e professionisti è ineludibile, poiché è l’amministratore il garante finale della corretta amministrazione aziendale. Infine, la Corte ha precisato che il rigetto di un accordo sulla pena in appello non necessita di una specifica motivazione, essendo sufficiente che il giudice disponga la prosecuzione del dibattimento, manifestando così implicitamente la sua valutazione negativa.

Le conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione serve da monito per tutti gli amministratori d’impresa. La crisi di liquidità non può diventare un alibi per violare sistematicamente le norme fiscali e contributive. Tali condotte, se portano al fallimento, integrano il grave reato di bancarotta impropria. Allo stesso modo, la fiducia riposta in un professionista esterno per la gestione contabile non fa venir meno il dovere di controllo, la cui omissione può portare a una condanna per bancarotta documentale. La sentenza riafferma un modello di amministratore diligente, consapevole e responsabile, che agisce sempre nel rispetto della legge a tutela del patrimonio sociale e dei creditori.

Un amministratore può giustificare il mancato pagamento di tasse e contributi con le difficoltà economiche dell’azienda?
No. Secondo la Corte, la scelta di non pagare tasse e contributi per finanziare l’attività aziendale è una libera determinazione dell’imprenditore che, se causa il fallimento, integra il reato di bancarotta impropria.

Se la contabilità è affidata a un commercialista, l’amministratore è comunque responsabile per la sua irregolare tenuta?
Sì. La sentenza ribadisce che l’imprenditore è sempre personalmente obbligato alla regolare tenuta delle scritture contabili e ha il dovere di vigilare e controllare l’operato dei professionisti delegati.

Il giudice d’appello è obbligato a motivare il rigetto di una richiesta di patteggiamento (art. 599-bis c.p.p.)?
No. La Corte ha stabilito che, qualora il giudice d’appello non intenda accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a esplicitare le ragioni del rigetto, essendo sufficiente l’ordine di prosecuzione del processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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