Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5115 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5115  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CASSANO D’ADDA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CASSANO D’ADDA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME Il Proc. Gen. conclude per il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME, sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOME e COGNOME NOME, si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 aprile 2023, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli dei delitti loro rispettivamente ascritti e precisamente:
il solo COGNOME:
(al capo A) della bancarotta impropria consumata ai danni della RAGIONE_SOCIALE, della quale era stato l’amministratore, dalla costituzione (anzi dal 26 novembre 2009, come poi accertato) al fallimento, dichiarato il 13 maggio 2013, per avere cagionato il fallimento della stessa con le operazioni dolose consistite nel falsificare, nei bilanci degli esercizi 2009, 2010 e 2011, l’importo delle poste denominate “caparre” e “crediti verso clienti”, e, inoltre, omettendo, sistematicamente, il pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali per una somma totale di oltre 10 milioni di euro (sui complessivi 18 milioni della massa passiva);
(sempre al capo A) della bancarotta fraudolenta documentale, relativa alla medesima società, consumata occultando o distruggendo le scritture contabili, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori;
entrambi:
(al capo B) della bancarotta patrimoniale, consumata dal COGNOME, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dal 10.6.98 al 17.12.07 ed ancora dal 3.6.09 al fallimento (e, nell’intervallo di tempo indicato, quale amministratore di fatto), dichiarato il 20 dicembre 2013, e dalla COGNOME, quale amministratore unico della medesima dal 17.12.07 al 3.6.09, per avere distratto dal patrimonio sociale un terreno, in parte agricolo ed in altra parte edificabile, sito in Peschiera Borromeo, venduto dalla fallita, in persona della COGNOME, al COGNOME, per euro 1,6 milioni, mai, però, corrisposti;
di nuovo il solo COGNOME:
(ancora al capo B) della bancarotta fraudolenta documentale della RAGIONE_SOCIALE, commessa occultando i libri e le altre scritture contabili al fine di recare pregiudizio ai creditori e della ulteriore condotta di bancarotta patrimoniale derivante dalla distrazione della somma di euro 53.775,00 (indicata come esistente in bilancio):
(al capo C) della bancarotta impropria consumata ancora in danno della RAGIONE_SOCIALE, nella medesima qualità di cui al capo B, cagionandone il fallimento con le operazioni dolose consistite nel falsificarne i bilanci, in modo da occultare le perdite di esercizio al fine di ottenere erogazioni di credito da parte del sistema bancario tali da generare un’esposizione debitoria pari ad oltre 6
milioni di euro, a fronte di una massa passiva complessiva di poco più di 10 milioni di euro.
1.1. La Corte milanese, in risposta ai motivi di appello, osservava quanto segue.
Le odierne imputazioni si erano giovate anche delle indagini in precedenza svolte in relazione alla commissione, da parte dei due medesimi imputati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, di una serie di reati fiscali, e della associazione a delinquere che li aveva programmati e realizzati, consumati quali amministratori (di fatto e di diritto) di cinque società, tutte facenti capo al COGNOME stesso, due delle quali erano le odierne fallite, le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
In quel processo, le cui condanne erano divenute definitive, COGNOME era risultato il dominus di tutte le società, di cui era anche il socio di riferimento (insieme ai suoi familiari), tanto da esserne ritenuto l’amministratore di fatto (quando non lo era anche di diritto), nonchè l’ideatore ed il promotore dei contestati delitti fiscal e della associazione a delinquere della quale i descritti rati avevano costituito il programma ed il fine.
COGNOME, invece, era stata ritenuta responsabile anche del delitto associativo (oltre che dei reati fine alla medesima ascritti), per avere ricoperto il ruolo di amministratrice di diritto di RAGIONE_SOCIALE, per due anni, e per avere concorso nell’illecita, più complessiva e strutturata, condotta tenuta dal COGNOME.
I fatti giudicati in quel processo erano stati consumati nello stesso periodo di tempo in cui si erano consumate le condotte per cui oggi è processo.
1.1.1. Quanto al delitto di bancarotta documentale cantestato al COGNOME in relazione ad entrambe le società fallite, la Corte territoriale aveva preso atto che il curatore aveva riferito come la frammentarietà delle scritture contabili rinvenute non avesse consentito di ricostruire il patrimonio delle società ed il loro movimento degli affari.
Il curatore, infatti, muovendo dall’analisi dei bilanci della RAGIONE_SOCIALE del triennio 2009-2011, aveva desunto come la perdita del capitale sociale datasse almeno dal 2006. E come gli imputati, nel corso degli anni, avessero riportato, in bilancio, voci sistematicamente false, e ciò al fine di occultare la reale consistenza del patrimonio netto che era, così, risultato essere (contrariamente al vero) positivo fino all’esercizio 2012 (in cui si era dato finalmente atto della sua perdita).
L’assenza di documentazione contabile, non aveva però consentito di comprendere quali operazioni in particolare avessero determinato un siffatto andamento economico.
Solo all’esito della verifica dei crediti insinuati, si era accertato come una parte cospicua della massa passiva derivasse dalla mancata corresponsione delle imposte e dei contributi previdenziali.
Del tutto sovrapponibile alla situazione della RAGIONE_SOCIALE, affermava la Corte d’appello, era quella della RAGIONE_SOCIALE
Una condotta complessiva, quella di bancarotta documentale, che anche se l’imputato COGNOME era stato l’amministratore della società (si tratta della RAGIONE_SOCIALE) solo a partire dal 2009, gli doveva essere comunque attribuita, avendo egli amministrato di fatto la società negli anni precedenti.
Né poteva riqualificarsi tale condotta ai sensi dell’art. 217 legge fall., avendo l’imputato agito nella piena consapevolezza che la irregolare tenuta delle scritture non avrebbe consentito la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita.
1.1.3. Quanto alla bancarotta impropria, contestata sempre al COGNOME, era pacificamente emerso, secondo la Corte territoriale, come egli non avesse versato imposte e contributi nel periodo in cui era stato amministratore di diritto della fallita, dal 2009 al 2012, così contribuendo a determinare l’irreversibile insolvenza (imposte e contributi evasi che, come si è detto, ammontavano ad oltre 10 milioni di euro a fronte di una massa passiva complessiva pari ad euro 18 milioni).
Anche la RAGIONE_SOCIALE, affermava la Corte di merito, era fallita per le medesime ragioni e quindi a seguito delle stesse operazioni dolose.
1.1.4. Quanto alla distrazione del terreno di Peschiera Borromeo, addebitata ad entrambi gli imputati, e loro contestata al capo B, restava la insuperabile considerazione che il denaro che si sarebbe dovuto versare in corrispettivo non era stato corrisposto alla fallita, così determinando la consumazione del contestato reato (irrilevante essendo la questione inerente alla ipoteca accesa sul medesimo terreno).
Anche la RAGIONE_SOCIALE, oltre che il beneficiario COGNOME, doveva risponderne posto che aveva assunto la carica di amministratore di RAGIONE_SOCIALE, ben consapevole del modo di operare, del tutto illecito, del suo amministratore di fatto, il coimputato COGNOME.
Corretto era il complessivo trattamento sanzionatorio fissato dal Tribunale.
Hanno proposto distinti ricorsi entrambi gli imputati, a mezzo del medesimo difensore, AVV_NOTAIO.
2.1. Nell’interesse di NOME COGNOME, il difensore ha articolato sei motivi di ricorso.
2.1.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla reiezione dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Sul punto, la Corte non aveva affatto motivato. Si era chiesto di acquisire dei documenti sopravvenuti dopo il primo grado di giudizio e dopo la proposizione dell’atto di gravame, come dimostravano le date degli stessi.
Se ne sarebbe dovuto, pertanto, valutare l’ammissibilità ai sensi dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., in quanto documenti aventi sicuro rilievo probatorio.
Riguardavano, infatti, il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e ne attestavano l’anomalia posto che i documenti in questione attestavano che la fallita aveva mantenuto la proprietà di alcuni immobili (così da porne in dubbio il reale dissesto).
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione al nesso di causalità che sarebbe intercorso fra le contestate operazioni dolose e l’insolvenza della RAGIONE_SOCIALE (capo A della rubrica), anche in relazione al preteso ruolo di amministratore di fatto rivestito dall’imputato nella stessa (in epoca antecedente al 2009 quando ne era divenuto l’amministratore di diritto).
Si era, poi, ritenuto il prevenuto responsabile del delitto di bancarotta impropria sulla sola scorta delle affermazioni del curatore fallimentare e delle relazioni da questi redatte ai sensi dell’art. 33 legge fall.
Si era adottata una motivazione indistinta e cumulativa, riguardante entrambe le società fallite, mentre, invece, diverso era stato il loro corso economico.
Quanto alla RAGIONE_SOCIALE, il prevenuto ne era stato l’amministratore unico solo, appunto, a partire dal 26 novembre 2009 e non come indicato dal Tribunale nelle date di cui all’imputazione (dalla costituzione al 2007 e poi ancora dal 2009).
La Corte territoriale aveva sì riconosciuto l’errore, ed aveva aggiunto che il prevenuto doveva essere ritenuto responsabile dell’inadempimento degli obblighi di versamento, di tributi e contributi, per il periodo dal 2009 al 2013, dimenticando però che, nell’imputazione, gli si era ascritto il mancato versamento delle imposte per annualità in buona parte diverse, dal 2006 al 2010.
Si doveva poi considerare come la società, già dal 2008, e quindi prima che l’imputato ne divenisse l’amministratore unico, non fosse stata più in grado di operare e come, negli anni successivi, fosse intervenuta una profonda crisi del
settore immobiliare, nel quale la fallita operava, una circostanza quest’ultima che non era stata considerata dai giudici del merito.
Né si era provato che, dal 2007 al 2009 (quando non ne era stato l’amministratore di diritto), COGNOME avesse ricoperto il ruolo di amministratore di fatt della RAGIONE_SOCIALE. Sul punto, infatti, la Corte non aveva motivato in alcun modo limitandosi alla mera apodittica affermazione del ruolo.
Tale ruolo, poi, non poteva essere dedotto da quanto osservato dal Tribunale circa il fatto che questi fosse stato ritenuto il dominus di tutte le società implicate nelle vicende, che ne fosse il socio di riferimento, insieme ai familiari, e che fosse stato condannato per i relativi reati fiscali con una sentenza del 2014.
2.1.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della bancarotta documentale contestata al capo A (in relazione quindi alla RAGIONE_SOCIALE).
La condotta dell’amministratore della società fallita, per avere rilievo penale, deve avere costituito un serio ostacolo alla ricostruzione delle vicende patrimoniali della medesima, mentre, invece, nell’odierno caso concreto, il curatore aveva affermato di esserne riuscito a ricostruire con sufficiente precisione (consultando anche i bilanci dal 2009 al 2011 e le istanze di ammissione al passivo) lo stato patrimoniale.
Così che la condotta ascritta al prevenuto doveva considerarsi configurare il diverso delitto di cui all’art. 217 legge fall., mostrandosi, la tenuta della contabilit solo come irregolare o incompleta.
La Corte poi aveva del tutto omesso di considerare che il curatore, nella sua relazione al giudice fallimentare, aveva considerato che l’accesso al fascicolo della procedura gli aveva consentito di individuare anche l’epoca di insorgenza della crisi finanziaria ed il momento in cui la società avrebbe dovuto essere posta in liquidazione.
Né vi era prova alcuna che il prevenuto si fosse occupato della tenuta della contabilità, in epoca diversa rispetto a quelle in cui aveva assunto la carica di amministratore unico, il 2009.
COGNOME poi, stando all’accusa descritta in imputazione, erano state ascritte entrambe le ipotesi di bancarotta documentale previste dall’art. 216, comma 1 n. 2, legge fall..
Le due fattispecie però presuppongono un diverso atteggiarsi del dolo, la prima specifico, la seconda generico.
La Corte, invece, si era limitata ad affermare che l’imputato non aveva regolarmente tenuto le scritture contabili obbligatorie così da non potersi
desumere né quale delle due ipotesi avesse ritenuto, né quale tipo di dolo avesse ritenuto essersi configurato.
2.1.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e l’omessa motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità del prevenuto per le condotte distrattive contestategli al capo B della rubrica.
Quanto alla distrazione della somma di euro 53.775, prelevata dal conto cassa, non si era tenuto conto dei ricorsi tributari presentati nell’interesse della fallita e del fatto che, in relazione agli stessi, si erano dovuti sostenere quei costi per i quali era stato necessario effettuale prelievi per l’importo indicato.
A tutto ciò la Corte territoriale non aveva dato risposta a cuna.
Quanto, invece, alla distrazione del terreno di Peschiera Borromeo, non poteva dirsi integrato il dolo, seppur generico, richiesto dalla norma, la consapevolezza che la condotta agita incida sulla garanzia che il patrimonio della società costituisce per i suoi creditori, posto che l’immobile era gravato da un’ipoteca e che l’imputato aveva comunque prestato, a favore della società, fideiussioni personali e reali.
2.1.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale ed alla bancarotta impropria contestata ai capi B e C.
Quanto alla bancarotta impropria, non si era data risposta ai motivi di appello in cui si erano evidenziate la rispondenza delle poste di bilancio indicate come false al complessivo andamento economico della società, l’assenza del dolo necessario in capo all’imputato, la inconfigurabilità del nesso causale fra le condotte contestate e il dissesto.
Gli immobili di cui la società aveva mantenuto la proprietà erano, infatti, ben 16 ed avevano un valore ben maggiore della stima fattane nel 2014 dall’AVV_NOTAIO, pari a circa 10 milioni di euro, come avrebbe potuto dimostrare la documentazione che la Corte aveva deciso di non acquisire. Era stato tale patrimonio immobiliare (e non le poste in bilancio, peraltro non inveritiere) a determinare la fiducia e le erogazioni degli istituti bancari.
Erroneo era poi il riferimento al dissesto della RAGIONE_SOCIALE del debito fiscale, in realtà non contestato.
2.1.6. Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla misura della pena, al giudizio di bilanciamento ed alla applicata continuazione.
La pena era stata posta in continuazione con altra precedente condanna (pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 4 maggio 2016, definitiva il 22 settembre 2017), ma non si era giustificato il discostamento dalle pene in tale diversa sede irrogate, sempre in aumento ex art. 81 cpv. cos. Pen.: qui, infatti, mesi 6 di reclusione per il delitto associativo e complessivi anni 1 e mesi 3 di reclusione per gli addebiti fiscali, nella precedente condanna mesi 2 di reclusione per ciascuno dei reati posti in continuazione (in numero di cinque).
Come non si era giustificata la pena base per l’imputazione sub A e gli aumenti per i capi B e C dell’odierno processo.
Immotivato era il giudizio di mera equivalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti.
2.2. Nell’interesse di NOME COGNOME, il difensore ha articolato due motivi.
2.2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla condotta distrattiva contestata al capo B.
La cessione del terreno che la RAGIONE_SOCIALE, per conto ed in nome della fallita RAGIONE_SOCIALE, aveva venduto al COGNOME non aveva determinato un depauperamento della società posto che lo stesso era gravato da un’ipoteca e che COGNOME aveva prestato delle fideiussioni personali, circostanza quest’ultima che, comunque, ne escludeva il necessario dolo.
Si erano poi tratti elementi ed argomenti di prova dal precedente processo, piuttosto che valutare in concreto la condotta tenuta dalla prevenuta in rifermento alle imputazioni oggetto del presente procedimento.
Tanto più che si era affermato come la COGNOME fosse un’amministratrice di facciata senza, pertanto, che ella potesse avere consapevolezza alcuna di quanto COGNOME faceva nell’amministrare le società in qiuestione.
2.2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatone) ed all’applicazione concreta della continuazione.
Già il Tribunale aveva riconosciuto la continuazione con la condanna patita dalla prevenuta con sentenza n. 11451 del 2014 dello stesso Tribunale di Milano. Ritenuto più grave l’odierno addebito, il Tribunale aveva rideterminato le pene, per i reati del precedente processo, in mesi 4 di reclusione per l’unico addebito fiscale ed in mesi 3 di reclusione per il delitto associativo.
E ciOl’ I ìfronte dell’aumento per quest’ultimo – ritenuto nella precedente sentenza meno grave del delitto fiscale – di mesi 2 di reclusione. Senza motivare sullo scostamento operato.
Sulle conseguenti censure di appello, argomentate nel precedente gravame di merito, la Corte milanese aveva solo genericamente affermato la complessiva congruità del trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi presentati nell’interesse degli imputati meritano, entrambi, accoglimento.
 Nel ricostruire le condotte contestate in imputazione e le conseguenti responsabilità dei due odierni imputati, la Corte d’appello è incorsa in una serie di omissioni e discrasie motivazionali.
Si è, infatti, adottato un percorso argomentativo in cui non si sono adeguatamente distinte le particolarità delle due diverse vicende societarie, che, per ragioni proprie a ciascuna (come emergeva dalle stesse imputazioni), erano sfociate nel dissesto.
Si era, invece, sostanzialmente, discusso del solo fallimento della RAGIONE_SOCIALE – almeno in riferimento alle condotte di bancarotta documentale e di bancarotta impropria – limitandosi, poi, ad affermare la piena sovrapponibilità ad esso di quanto accaduto in relazione al dissesto della RAGIONE_SOCIALE
Così però, appunto, non era, visto che, come si osserverà più avanti, diverse erano le operazioni dolose che avevano condotto al dissesto della RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelle che avevano determinato quello della RAGIONE_SOCIALE e diverse dovevano ritenersi anche le concrete condotte sottostanti all’accusa di bancarotta fraudolenta documentale.
 Anche nel descrivere il ruolo rivestito da ciascuno degli imputati nell’amministrazione delle due società, non si era fornita adeguata motivazione.
Il mero richiamo ad una precedente condanna, seppure definitiva e riferibile a queste stesse società, oltre che ad altre, non poteva costituire l’unica giustificazione dell’assunzione del ruolo, del COGNOME, di amminisl:ratore di fatto delle stesse (ovviamente nei periodi di tempo in cui lo stesso non ne era stato l’amministratore di diritto), oltretutto in assenza di maggiori dettagli sui reat oggetto del diverso processo e sull’esatta epoca della loro consumazione.
Si ricorda poi come, ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., le sentenze irrevocabili possano essere acquisite nel processo come prova del fatto in esse accertato ma come le stesse debbano essere valutate a norma dell’art. 192, comma 3, del codice di rito; così che si è, da ultimo, precisato come, quando una
sentenza irrevocabile sia acquisita agli atti del processo, ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., per fornire la prova diretta del fatto oggetto del suo accertamento, necessita di una conferma esterna, che non è, tuttavia, richiesta laddove la medesima sentenza sia utilizzata come riscontro di altre prove già acquisite (Sez. 3, n. 33972 del 16/06/2023, D., Rv. 285063 – 02).
Tanto più stringente, poi, avrebbe dovuto essere la prova del ruolo del COGNOME nel caso della amministrazione della RAGIONE_SOCIALE in cui si era riconosciuto come ben diverso fosse stato, rispetto all’imputazione ed alla decisione del Tribunale, il periodo in cui questi ne era stato, invece, l’amministratore di diritto (solo a partire dal 2009, piuttosto che dal momento della sua costituzione).
E si ricorda a tal proposito come, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 legge fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta e ciò sulla base di indici sintomatici espressivi dell’inserimento organico, con funzioni direttive, nella sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale, in posizione preminente rispetto all’amministratore di diritto (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497).
 Una prova – quella di essere stato COGNOME l’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE anche in epoca precedente al 2009 – che aveva diretti riflessi quantomeno sulla condotta di bancarotta impropria contestatagli al capo A, posto che era contestato il mancato versamento di imposte e contributi relativi agli anni dal 2006 al 2010 e, quindi, solo parzialmente coincidenti con il periodo in cui lo stesso aveva ricoperto anche formalmente la carica di amministratore della società.
E, ancora, nulla la Corte d’appello aveva argomentato in ordine all’ulteriore operazione dolosa (così recita l’imputazione) – sempre contestata al COGNOME al capo A come prodromica al dissesto della RAGIONE_SOCIALE – relativa alle iscrizioni in bilancio delle poste “caparre” e “crediti verso clienti”.
Quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta documentale – contestate ancora e solo al COGNOME in riferimento ad entrambi i fallimenti, al capo A per la RAGIONE_SOCIALE, al capo B per la RAGIONE_SOCIALE – la scelta, da parte della Corte territoriale, di adottare una complessiva ed indistinta a , gomentazione non consente di comprendere quali delle circostanze evidenziate (in tema di scritture mancanti, di cronologia dell’avvenuto dissesto, del necessario dolo specifico,
essendo stata contestata, in entrambi i casi, la prima ipotesi fra quelle contemplate dall’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall.) riguardino l’una o l’altra società.
Così da determinare, anche su tali reati (oltre che sulla bancarotta impropria di cui al capo A di cui si è detto), un evidente difetto di motivazione.
Anche sulle condotte distrattive contestate al capo B, la motivazione della Corte d’appello è inadeguata.
Quanto alla prima – la distrazione della somma di euro 53.775 (il conto cassa) – si era anche commesso l’errore materiale di ritenere che il Tribunale avesse assolto anche l’imputato COGNOME (e non la sola COGNOME) sul punto, come, invece, non era avvenuto e si era pertanto omesso di considerare i motivi di appello, esposti dal medesimo, sulla illiceità di tale condotta.
Quanto alla seconda, ascritta ad entrambi gli odierni imputati (per la COGNOME è l’unica, residua, accusa) – la cessione al COGNOME, da parte della RAGIONE_SOCIALE, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, del terreno di proprietà della società – ancora la complessiva ed indistinta motivazione riguardante entrambe le società, ma focalizzata sulla diversa RAGIONE_SOCIALE, non consente di collocare tale operazione nel corretto e specifico contesto delle vicende economiche e finanziarie della srl in oggetto, la RAGIONE_SOCIALE appunto, per, eventualmente, dedurne quegli indici di fraudolenza che la giurisprudenza di questa Corte richiede perché si configuri la contestata ipotesi di bancarotta patrimoniale.(Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763)
Quanto, infine, al capo C della rubrica, la bancarotta impropria a danno della RAGIONE_SOCIALE, a riprova della incongrua sovrapposizione delle due diverse vicende fallimentari non si era motivato affatto sulle specifiche circostanze indicate in imputazione: non l’omesso versamento di 1:ributi e contributi previdenziali (come nel caso della RAGIONE_SOCIALE) ma la diversa falsificazione sistematica dei bilanci (contestata, appunto, e diversamente dal capo A, ai sensi dell’art. 223, comma 2 n. 1, legge fall.) volta ad occ:ultare la perdita del capitale, così da accedere a quel credito bancario che aveva generato lo squilibrio finanziario che aveva determinato il dissesto della società.
Tutto quanto sopra rilevato in relazione alla ricostruzione delle condotte ascritte ai ricorrenti, ed al difetto di motivazione che le ha riguardate tutte determina l’assorbimento delle ulteriori doglianze proposte dai ricorrenti, in tema di trattamento sanzionatorio.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso, in Roma il 13 dicembre 2023.