Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26868 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26868 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME NOME CIVITANOVA MARCHE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso riportandosi alla requisitoria scritta già depositata.
udito l’AVV_NOTAIO si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
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Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza con cui la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto NOME COGNOME, per non avere commesso il fatto, dai reati di bancarotta distrattiva e bancarotta fraudolenta documentale di cui ai capi a) e b) dell’imputazione, confermando la condanna per il concorso nel reato di bancarotta impropria (di cui al capo a), per aver cagioNOME il fallimento – dichiarato con sentenza del 16 dicembre 2011- della società RAGIONE_SOCIALE, con operazioni dolose. La Corte territoriale ha, di conseguenza, ridetermiNOME la pena in anni tre e mesi nove di reclusione e le pene accessorie fallimentari in anni tre e mesi sei.
Secondo il capo d’imputazione, nella stessa data in cui la società era posta in liquidazione l’amministratore unico NOME COGNOME e l’amministratore di fatto NOME COGNOME, concedevano in locazione il ramo d’azienda, costituito dall’esercizio commerciale di ristorazione svolto dalla RAGIONE_SOCIALE, a un’altra società “RAGIONE_SOCIALE“, appositamente costituita poche settimane prima della predetta locazione, con la quale proseguivano la medesima attività imprenditoriale. In tal modo, i tre imputati avrebbero reso non operativa la RAGIONE_SOCIALE, cedendo alla neocostituita società, senza alcuna contropartita, clienti, know -how e l’accredito presso banche e fornitori. Successivamente, nel luglio del 2010, risolvevano il contratto di locazione, contestualmente concedendo ad altra società, la RAGIONE_SOCIALE, il medesimo ramo d’azienda.
L’odierno ricorrente, in concorso con le persone sopra indicate, avrebbe ideato e realizzato la concatenazione di tali atti, procurando altresì una prestanome, NOME COGNOME, che veniva nomiNOME amministratore unico della fallita RAGIONE_SOCIALE una volta revocato lo stato di liquidazione della stessa e che aveva ceduto le quote sociali dell’ormai svuotata RAGIONE_SOCIALE a un’ulteriore società, la RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 223, secondo comma, I. fall., e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello travisato le risultanze processuali e, in particolare, per avere considerato alla stregua di operazioni dolose gli atti notarili di locazione, senza considerare sia la mancata partecipazione dell’COGNOME alla stipula del contratto di affitto del ramo aziendale alla nuova società sia il dato della preesistenza della situazione debitoria della fallita società rispetto al coinvolgimento dell’imputato.
In maniera contraddittoria, la Corte territoriale, pur convenendo sul fatto che il ricorrente non avesse mai avuto alcun ruolo, né di fatto né formale, in seno alla fallita RAGIONE_SOCIALE, e pur ammettendo che la sua partecipazione quale consulente risalisse al 2010, dunque a una data successiva di un anno rispetto all’affitto del ramo d’azienda deciso unicamente dai due concorrenti, ha poi concluso nel senso dell’affermazione di responsabilità dell’COGNOME per l’ascritto reato. Nel momento in cui il ricorrente ebbe i primi contatti con i due concorrenti, la RAGIONE_SOCIALE aveva già accumulato da tempo la sua enorme esposizione debitoria.
Al di là di un fugace cenno alle tre operazioni asseritannente dolose e causative di fallimento, la Corte territoriale non si sarebbe soffermata adeguatamente sulla natura delle stesse, sul contesto in cui furono decise, sulla sequenza temporale e, soprattutto, sulla loro concreta incidenza sul fallimento della RAGIONE_SOCIALE. Neppure considerato è il profilo del transito all’affittuario dei debiti d’imposta.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 223, secondo comma, I. fall., e vizio di motivazione in ordine alla mancata dimostrazione del nesso causale tra gli atti notarili successivi al 2010 e il successivo fallimento. La mancata motivazione del rapporto di causalità tra condotta ed evento involge sia il profilo oggettivo, relativo alle materiali condotte dell’imputato, sia quello soggettivo. La trasformazione dello stato di crisi in vero e proprio dissesto è asserito dalla Corte senza che sia emersa prova di un effettivo depauperamento della fallita società per effetto degli atti notarili successivi al 2011. La circostanza, valorizzata dalla Corte d’appello, della messa in liquidazione della società fallita depone, a tutto voler concedere, per un nesso causale da retrodatare al 2009. Inoltre, il capo d’accusa, nel riferirsi al secondo comma dell’art. 223 I fall., chiama in causa la sola causazione del fallimento, non anche l’aggravamento come ritenuto, invece, dalla Corte.
2.3 Col terzo motivo, si duole di violazione di legge, in relazione all’art. 223, secondo comma, I. fall., e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo dell’ascritto reato e al ruolo di concorrente extraneus di NOME, affermato in maniera assertiva e al di là di qualsivoglia dimostrazione di una volontà dello stesso protesa al dissesto da intendersi quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione delle garanzie del ceto creditorio.
2.4 Col quarto motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. Con motivazione del tutto inadeguata, la Corte d’appello non ha né giustificato il discostamento dal minimo edittale né valorizzato il buon
comportamento processuale del ricorrente e il diverso ruolo -quale, al limite, concorrente esterno- da lui svolto nella vicenda in esame rispetto ai coimputati
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso e b) motivi aggiunti da parte della difesa del ricorrente con cui si torna più diffusamente a contestare la ritenuta responsabilità dell’imputato per l’aggravamento delle passività a causa di debiti contratti dalle società RAGIONE_SOCIALE, posta anche l’insussistenza di solidarietà passiva della fallita società concedente.
Considerato in diritto
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, come si illustrerà di seguito.
1.1 I primi tre motivi – esaminabili congiuntamente, data la .stretta connessione logica che li avvince – muovono da un’inesatta ricostruzione della cornice normativa di riferimento e contestano, in termini inammissibili, la ricostruzione in fatto della vicenda oggetto del presente processo.
Va in primis ribadito che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684 – 01).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il delitto contestato sussiste anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262188).
D’altra parte, condivide il Collegio il chiarimento giurisprudenziale, in forza del quale, in tema di concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria per operazioni dolose, il parere reso dal legale della società in seguito fallita costituisce contributo causalmente rilevante rispetto alla condotta tipica di
bancarotta solo nel caso in cui sia risultato decisivo per l’assunzione della condotta da parte dell’intraneus (Sez. 5, n. 37101 del 15/06/2022, Cardarelli, Rv. 283597 – 01). Tale è proprio il caso di specie, nel quale, per quanto emerge dalle coerenti deposizioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME (ai quali il ricorso dedica cenni generici – poiché non si confrontano in termini specifici con il contenuto narrativo della prova – e assertivi . -n quanto privi di qualunque riferimento ad obiettive risultanze processuali), risulta il ruolo dell’COGNOME, non solo quale ideatore della strategia messa in atto a partire dal luglio 2010, ma di attivo realizzatore della stessa. Viene in ciò riscontrata la ricostruzione dell’amministratore COGNOME che ha ricordato di essersi affidato appunto all’COGNOME, quale esperto “di queste situazioni”, proprio a fronte dell’ingente indebitamento maturato.
Quest’ultima circostanza non rende l’attività dell’COGNOME né neutra né estranea alla fattispecie incriminatrice.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ciò che smentisce una delle contestazioni del secondo motivo), ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2,1. fati., non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagioNOME anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sè reversibile (v. già Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189 – 01; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051 – 0).
E l’aggravamento del dissesto, da apprezzare con riferimento alla società poi fallita, viene contestato in termini ancora una volta assertivi dal ricorso, se si tiene conto dell’ordinario accrescimento di sanzioni e interessi correlato all’esistenza delle obbligazioni erariali (il che dimostra l’infondatezza delle contestazioni sviluppate nel secondo motivo, quanto alla sussistenza del nesso eziologico).
Il ricorrente invoca, per i debiti fiscali, il profilo della responsabilità solidal del cessionario dell’azienda, quale sancito dall’art. 14 d.lgs. 472 del 1997. Ma, a tacere della dubbia applicabilità della previsione all’affitto d’azienda, che, a differenza della cessione, non comporta, per il Fisco, il venir meno della garanzia patrimoniale dell’azienda, che resta nella titolarità dell’affittante, il rilievo non coglie nel segno, poiché il tema centrale è che aumenta l’esposizione di quest’ultima che resta privata delle risorse imprenditoriali necessarie, attraverso la produzione del reddito, per far fronte alle sue obbligazioni.
Peraltro, il riferimento del COGNOME conforta, sul piano dell’elemento psicologico, pure contestato dal ricorso (v., in particolare, il terzo motivo), la piena consapevolezza dell’COGNOME di contribuire al disegno di spoliazione dell’originaria società, già iniziato in precedenza, accompagnata dalla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (su questo punto, v. Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 – 0).
Va, pertanto, esclusa la rilevanza del dato, sul quale il ricorso torna ad insistere, del momento dell’ingresso dell’imputato nella vita societaria, quando ormai, era già intervenuto, a fronte dell’esposizione debitoria della società, un primo atto di affitto d’azienda.
1.2. Il quarto motivo è inammissibile, perché la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità: i giudici di merito hanno infatti valorizzato i precedenti dell’imputato, le modalità professionali della condotta e, in generale, la gravità concreta del fatto; sicché la decisione impugnata si sottrae al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo bensì sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29/02/2024
Il Consigliere estensore