Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3693 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3693 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a FIRENZE il 21/06/1952
COGNOME NOME COGNOME nato a PRATO il 04/05/1953
avverso la sentenza del 15/03/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME e COGNOME NOME Maurizio ricorrono avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze ha confermato la loro condanna per i reati di bancarotta impropria da operazioni dolose e quella del COGNOME anche per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Rilevato che il ricorso del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME è manifestamente infondato. È infatti irrilevante stabilire se il dissesto della fallita sia stato ori dall’accumulo dei debiti erariali piuttosto che di quelli verso creditori privati, attes consolidato orientamento di questa Corte per cui ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, legge fall., non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatt che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poichè la nozione di fallimento, collegata al fatto storico dell sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sè reversibile (ex multís Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189; Sez. 5, n. 11218 del 24/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284373). Ed in tal senso la sentenza impugnata ha ampiamente motivato sulle ragioni per cui ha ritenuto che la sistematica evasione degli obblighi previdenziali e tributari da parte dell’imputato ha quantomeno determinato un aggravamento del dissesto della fallita.
Rilevato che anche il secondo motivo proposto dall’imputato deve ritenersi manifestamente infondato. Contrariamente a quanto eccepito, infatti, nell’imputazione di cui al capo B) al COGNOME era stata contestata sia la fattispecie di bancarotta documentale cd. “specifica” in relazione alla “omessa tenuta” dei libri obbligatori, quanto quella cd. “generica” in ordine all’irregolare e incompleta tenuta dei registri IVA, talchè alcuna violazione del principio di correlazione vi è stata nella condanna dell’imputato in riferimento alla violazione dell’ipotesi prevista nella prima parte dell’art. 216 comma 1 n.2 legge fall.
Rilevato che è manifestamente infondato anche il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME. La Corte territoriale ha infatti correttamente applicato l’altrettanto consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (ex multis Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264073), per cui non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza,
la decisione con la quale l’imputato venga condannato quale concorrente esterno in un reato di bancarotta, anziché quale amministratore di fatto come originariamente contestatogli, qualora, come nel caso di specie avvenuto, rimanga immutato il fatto ascrittogli ed egli sia stato fin dall’inizio del procedimento posto in grado di difendersi i merito alla condotta imputatagli.
Rilevato che generiche e versate in fatto risultano invece le censure proposte dal ricorrente con il secondo motivo, che non si confronta compiutamente con il ragionamento articolato dai giudici del merito al fine di dimostrare il dolo dell’imputato. In particolare la sentenza impugnata, nel rispondere ad analoga obiezione sollevata con il gravame di merito, già aveva spiegato come la pronunzia di primo grado non avesse inteso affermare quanto sostenuto dalla difesa, ma, più semplicemente, che i fatti contestati erano riconducibili ad uno schema delittuoso non inedito. La Corte territoriale ha invece logicamente evidenziato come la prova del dolo concorsuale dell’imputato riposi sul fatto che gli accordi dallo stesso conclusi con la fallita riproducono uno schema cui lo stesso è ricorso in numerose altre occasioni con esiti del tutto analoghi. Argomentazione avversata dal ricorrente in maniera meramente contestativa e dunque e per l’appunto generica. Non solo, va ricordato che per la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi del fallimento causato da operazioni dolose, il concorso dell’extraneus è configurabile quando questi risulti consapevole anche solo del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo, invece, necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi (Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, COGNOME, Rv. 260932) né la coscienza e volontà delle singole operazioni essendo sufficiente la mera prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286349; Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 265510). Non è quindi necessario che il concorrente estraneo sia consapevole dell’eventuale dissesto in cui la società già versava al momento dell’esecuzione dell’operazione dolosa, bensì è sufficiente che egli sia nelle condizioni di prevedere che dalla stessa possa derivare il dissesto od un suo aggravamento. Ed in tal senso la sentenza, come detto, ha ampiamente argomentato, con motivazione non compiutamente confutata con il ricorso, rilevando che la sistematicità dell’evasione del debito erariale era ben nota all’imputato, costituendo la ragione stessa per la quale egli aveva collaborato con la fallita, così come con altre società. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarato inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.