Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13601 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13601 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CASTELLI CUSIANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/02/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 27 febbraio 2023 dalla Corte di appello di Torino, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Novara, che aveva condanNOME COGNOME NOME per il reato di bancarotta impropria da falso in bilancio (art. 223, comma 2, n. 1, legge fall.), in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 26 maggio 2011.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – nella qualità di amministratore unico e, poi, di liquidatore – avrebbe cagioNOME o comunque concorso a cagionare il dissesto della società, esponendo nel bilancio dell’anno 2008 e nei bilanci precedenti, a partire almeno da quello relativo al 2005, fatti materiali non rispondenti al vero, omettendo le informazioni – la cui comunicazione era imposta dalla legge – sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, così alterando in modo sensibile la rappresentazione della predetta situazione, nella misura di una variazione del risultato economico di esercizio superiore al 5% e comunque di una variazione del patrimonio netto superiore all’1%. In particolare: a) nel bilancio dell’anno 2008 e nei due esercizi precedenti, riportava, tra le attività, valori di magazzino eccessivi, mai svalutati secondo quanto previsto dal codice civile, e non procedeva alla svalutazione dei crediti vantati nei confronti di terzi; b) nel bilancio dell’anno 2008, procedeva all rivalutazione dell’intero compendio immobiliare di proprietà della società, iscrivendo nell’attivo patrimoniale un valore dei fabbricati pari ad euro 5.400.530,00, eccedente il reale valore commerciale del bene, eseguendo l’operazione anche in violazione delle disposizioni dettate dall’art. 5 del decreto ministeriale n. 162 del 2001 (attuativo della legge n. 342 del 2000); c) nei bilanci relativi agli anni 2005, 2006, 2007 e 2008, stanziava poste dirette a coprire i costi di interessi e sanzioni maturate in relazione agli omessi versamenti erariali e previdenziali per importi ampiamente inferiori ai dati reali. La falsa rappresentazione permetteva alla fallita di proseguire l’attività, ottenendo e mantenendo il credito bancario e l’affidamento dei creditori, in tal modo causando un ingente incremento del dissesto.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 111 Cost. e 191, 498, 511 e 525 cod. proc. pen.
Rappresenta che: nel corso del giudizio di primo grado, a seguito del mutamento della composizione del collegio giudicante, era stai:a disposta la nuova escussione del curatore fallimentare (AVV_NOTAIO); all’udienza del 12 ottobre 2018, il presidente del collegio aveva chiesto al teste se confermasse le dichiarazioni rese davanti al precedente collegio; il teste aveva affermativamente risposto alla domanda; la difesa aveva tempestivamente eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste; la difesa, con il gravame, aveva nuovamente contestato l’utilizzabilità delle dichiarazioni in questione.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la decisione della Corte di appello che ha ritenuto infondato il motivo di gravame, ritenendo utilizzabili le dichiarazioni rese dal teste COGNOME.
Il ricorrente sostiene che le dichiarazioni sarebbero inutilizzabili poiché il presidente del collegio – con la sua domanda – avrebbe di fatto impedito alla difesa di effettuare un effettivo «esame incrociato del teste».
La giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte di appello sarebbe inconferente nel caso in esame, poiché si riferirebbe all’ipotesi in cui, a seguito della conferma da parte di un testimone delle dichiarazioni da lui precedentemente rese, le parti assumano un atteggiamento di «acquiescenza»; non sarebbe, invece, applicabile al caso di specie, in cui le parti si erano specificamente opposte alla mera conferma delle dichiarazioni e avevano chiesto un nuovo esame incrociato del teste.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 2621 cod. civ.
Sostiene che la fattispecie astratta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, non sarebbe posta a tutela dell’affidamento di «un indefinito novero di terzi», ma solo di determinati destinatari, che, nel caso concreto, andrebbero individuati negli istituti di credito e negli enti previdenziali assistenziali.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che il contenuto delle comunicazioni sociali in questione non sarebbe stato idoneo a trarre in inganno gli istituti di credito, che erano a conoscenza della situazione economica della società ed erano ampiamente garantiti dalla dazione di ipoteche sugli immobili, né gli enti previdenziali e assistenziali, i cui crediti erano determinati in modo del tutt indipendente dal contenuto del bilancio della società.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la fattispecie astratta sarebbe posta a tutela dei terzi in linea generale e non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del dolo.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Sostiene che la contestata rivalutazione del cespite immobiliare sarebbe irrilevante sotto il profilo penale, atteso che, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 69 del 2015, non avrebbero più rilievo, al fine dell’integrazione del reato di falso in bilancio, le attività di mera valutazione.
Nel caso specifico, gli organi preposti alla redazione del bilancio si sarebbero limitati a prendere atto delle rivalutazioni, effettuate da periti e consulenti.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che le apposizioni in bilancio relative ai crediti vantati dalla società, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, non sarebbero false, atteso che, da un lato, nessuno avrebbe mai affermato che fossero inesistenti e, dall’altro, la loro presunta inesigibilità, si baserebbe sule valutazioni de consulente tecnico COGNOME, che, peraltro, non avrebbe fornito adeguata motivazione a sostegno della propria tesi. Si tratterebbe’ in ogni caso, di una questione di carattere valutativo, che, per le ragioni esposte nell’ambito del precedente motivo, non potrebbe rilevare sotto il profilo penale.
2.5. Con un quinto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo, sostenendo che la volontà dell’imputato di arrecare danno ai creditori sarebbe incompatibile con la circostanza che l’imputato aveva posto a garanzia delle obbligazioni della società il proprio patrimonio personale, quando, invece, avrebbe potuto opporre alle pretese di creditori lo schermo societario. L’imputato, in ogni caso, non sarebbe stato consapevole delle presunte falsità, atteso che il collegio s indacale non aveva formulato alcuna osservazione.
2.6. Con un sesto motivo, contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero errato nel dare rilevanza alla condotta processuale dell’imputato, in quanto manifestazione del più generale diritto al silenzio riconosciuto dall’ordinamento giuridico, e ai precedenti penali dell’imputato, che sarebbero di scarsa rilevanza e comunque non collegabili a quello oggetto del presente processo. Avrebbero, inoltre, omesso di valutare la circostanza che l’imputato aveva posto i propri beni personali e garanzia di debiti contratti dalla società fallita.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha presentato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Va premesso che, dal verbale d’udienza, risulta che: il presidente del collegio aveva chiesto al teste se confermasse le dichiarazioni rese davanti al precedente collegio, precisando che le parti avrebbero avuto, in ogni caso, il diritto di porre tutte le ulteriori domande da loro ritenute opportune; la difesa aveva immediatamente eccepito la presunta erronea assunzione della prova dichiarativa; dopo la conferma, il collegio aveva consentito alle parti di porre le relative domande; il pubblico ministero e la difesa avevano poi posto alcune domande al teste.
Tanto premesso, va rilevato che la circostanza che il teste abbia confermato le precedenti dichiarazioni dibattimentali non determina alcuna inutilizzabilità della testimonianza.
Va chiarito che, nel caso specifico, le dichiarazioni contenute nel verbale che documenta la testimonianza del COGNOME davanti al precedente collegio sono utilizzabili, prima ancora che per la lettura ex art. 511 cod. proc. pen., per richiamo per relationem che il teste ne ha fatto.
Quando si richiama per relationem il contenuto di un precedente verbale, si viene a incorporare la portata dichiarativa di detto verbale nell’atto richiamante e ciò anche a prescindere dalla regolarità, nullità, inutilizzabilità formale del dichiarazioni richiamate. Il richiamo, infatti, non determina una convalida o una ratifica di un atto nullo, ma una mera ricezione del suo contenuto, che entra così a far parte dell’atto incorporante (Sez. 1, n. 46566 del 21./02/2017, M., Rv. 271230; Sez. 1, n. 8401 del 10/12/2008, COGNOME, Rv. 242969).
A maggior ragione si deve ritenere pienamente legittimo il richiamo per relationem di dichiarazioni contenute in atti pienamente legittimi, come i verbali che documentano l’assunzione della testimonianza resa nel contraddittorio tra le parti, davanti a un collegio in diversa composizione (Sez. 5, Sentenza n. 10127 del 22/01/2018, COGNOME, Rv. 27267). Tali verbali «fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento, dove non confluiscono, bensì permangono» (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276754).
Si tratta, in ogni caso, di dichiarazioni che, a prescindere dalla loro conferma, sarebbero state comunque utilizzabili per la decisione, ex art. 511 cod. proc. pen., dopo il nuovo esame della persona che le aveva rese (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276754).
La conferma delle dichiarazioni, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha determiNOME alcuna compromissione dei diritti della difesa e alcuna lesione del principio del contraddittorio, sia perché la prima testimonianza era stata assunta nel contraddittorio tra parti, sia perché il presidente del collegio ha ampiamente garantito alle parti la possibilità di fare nuove domande nel corso dell’udienza del 12 ottobre 2010.
Sotto altro profilo, il motivo si presenta del tutto generico, non avendo il ricorrente indicato quali dichiarazioni rese dal COGNOME, nel corso della sua prima escussione dibattimentale, sarebbero state poste dai giudici di merito a fondamento della propria decisione e non avendo, tantomeno, dedotto la decisività di tali dichiarazioni, per l’insufficienza delle restanti risultanze a fondare il giud di responsabilità (Sez. II, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269218; Sez. IV, n. 18764 del 05/02/2014, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 259452; Sez. IL n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagine 10 e 11 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, invero, ha correttamente rilevato che era del tutto priva di fondamento la tesi secondo la quale la fattispecie sarebbe posta a tutela solo di specifici destinatari, dovendosi invece verificare se i fatti non corrispondenti al vero, rappresentati nel bilancio, fossero concretamente idonei ad indurre i terzi in errore. Si è poi ampiamente soffermata sull’elemento soggettivo del reato, evidenziando che: nel caso di specie si trattava di appostazioni non rispondenti al vero che afferivano a voci di bilancio di immediata e «laica» percezione; le false appostazioni riguardavano plurime voci di bilancio per impoiti considerevoli; la condotta era stata reiterata nel tempo. Elementi dai quali era facilmente desumibile la sussistenza del dolo necessario a integrare la fattispecie contestata.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Va, infatti, ribadito che «il reato di bancarotta fraudolenta impropria, di cui all’art. 223, secondo comma, n. 1, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, da reato societario di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazio normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni» (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268672).
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr.
pagina 9 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, invero, ha ritenuto corretta la svalutazione dei crediti effettuata dal consulente tecnico COGNOME, atteso che si trattava di crediti scaduti da oltre 350 giorni e non svalutati nel bilancio al 31 dicembre 2007 e neppure in quello del 2008, per poi – nel bilancio 2010 – essere, quelli esteri, completamente azzerati e, quelli nazionali, ritenuti recuperabili nella misura del 20%. Ha evidenziato che sarebbe stato necessario rappresentare nel bilancio i crediti in relazione all’effettiva probabilità di incasso degli stessi, che, con il passare de tempo, si riducevano sempre di più.
Priva di fondamento, come già detto nel rispondere al precedente motivo di ricorso, è la tesi secondo la quale, a seguito della riforma del 2015, l’esposizione in bilancio di enunciati valutativi sarebbe, in ogni caso, divenuta irrilevante al fin dell’integrazione della fattispecie contestata.
1.5. Il quinto motivo è inammissibile.
Anche esso è privo di specificità estrinseca, atteso che il ricorrente non si è confrontato con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che la sussistenza dell’elemento soggettivo era chiaramente desumibile dai seguenti elementi: si trattava di appostazioni che afferivano a voci di bilancio di immediata e «laica» percezione; le false appostazioni riguardavano plurime voci di bilancio per importi considerevoli; la condotta era stata reiterata nel tempo.
Si tratta di una valutazione conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, «in tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, dove l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il predetto dolo generico non può ritenersi provato – in quanto “in re ipsa” – nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, nè può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino, nel redattore del bilancio, la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili» (Sez. 5, Sentenza n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673).
Quanto all’affermazione secondo la quale l’imputato avrebbe prestato garanzie personali a favore di uno o più determinati creditori, va rilevato che essa si presenta generica, atteso che il ricorrente non specifica neppure quando sarebbero state concesse tali garanzie e, in particolare, se fossero coeve alle apposizioni contestate. Va posto in rilievo, in ogni caso, che la circostanza che l’imputato avrebbe prestato garanzie personali a favore di uno o più determinati
creditori non si pone neppure in termini di incompatibilità con l’intenzione di volere trarre in inganno la generalità dei destinatari a cui si rivolge il bilancio.
1.6. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Invero, per la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, come parimenti avvenuto nel caso in esame (cfr. pagina 11 della sentenza impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore! della cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 novembre 2023.