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Bancarotta impropria: bilancio falso e condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta impropria. La sentenza conferma che la condotta, consistita nell’esporre dati falsi in bilancio per anni, integra il reato anche quando riguarda attività di valutazione, se queste sono idonee a trarre in inganno i terzi. La Corte ha inoltre ribadito la legittimità della testimonianza confermata ‘per relationem’ e ha sottolineato come la bancarotta impropria tuteli la fiducia del pubblico in generale, non solo specifici creditori.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Impropria: La Cassazione sulla Rilevanza delle Valutazioni nel Falso in Bilancio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui confini del reato di bancarotta impropria da falso in bilancio. Il caso analizzato riguarda la condanna di un amministratore per aver sistematicamente alterato i bilanci societari, causando il dissesto dell’impresa. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha consolidato principi fondamentali sia in materia di diritto penale societario che di procedura penale.

I Fatti: Una Rappresentazione Falsa della Realtà Aziendale

Il caso ha origine dal fallimento di una società, dichiarato nel 2011. Secondo l’accusa, l’amministratore unico e poi liquidatore della società aveva, per anni (almeno dal 2005 al 2008), redatto bilanci che non rispecchiavano la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa. Le falsità contestate erano molteplici e significative:

* Sovrastima del magazzino: I valori delle rimanenze erano eccessivi e mai svalutati.
* Mancata svalutazione dei crediti: I crediti verso terzi, pur essendo di difficile esigibilità, non venivano svalutati come previsto dal codice civile.
* Rivalutazione illegittima di immobili: L’intero compendio immobiliare era stato rivalutato per un valore eccedente quello di mercato e in violazione delle norme ministeriali.
* Sottostima dei debiti: Le poste per coprire debiti erariali e previdenziali erano ampiamente inferiori agli importi reali.

Questa falsa rappresentazione contabile, secondo i giudici di merito, aveva permesso alla società di continuare ad operare, ottenendo e mantenendo il credito bancario e l’affidamento dei fornitori, aggravando così il dissesto fino al fallimento.

L’Iter Processuale e i Motivi del Ricorso

L’amministratore, condannato sia in primo grado che in appello, ha proposto ricorso per cassazione basandosi su diverse argomentazioni. Tra le principali, ha contestato:

1. L’utilizzabilità di una testimonianza: La difesa riteneva inutilizzabili le dichiarazioni del curatore fallimentare, poiché quest’ultimo, davanti a un collegio giudicante mutato, aveva semplicemente confermato le dichiarazioni rese in precedenza, limitando di fatto il diritto a un pieno esame incrociato.
2. La natura delle attività valutative: Sosteneva che le operazioni contestate, come la rivalutazione di immobili e la valutazione dei crediti, fossero mere attività valutative, penalmente irrilevanti dopo la riforma del 2015.
3. L’assenza di dolo: L’imputato affermava di non aver agito con l’intento di danneggiare i creditori, provandolo con il fatto di aver prestato garanzie personali per i debiti della società.

Le Motivazioni: La Risposta della Cassazione alla bancarotta impropria

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati o generici. Le argomentazioni della Corte offrono spunti di riflessione cruciali.

La Legittimità della Testimonianza Confermata

Sul punto procedurale, la Cassazione ha chiarito che la conferma da parte di un teste delle dichiarazioni già rese non le rende inutilizzabili. Il richiamo per relationem a un precedente verbale è legittimo, soprattutto quando, come nel caso di specie, il giudice aveva espressamente garantito alle parti il diritto di porre ulteriori e nuove domande. Il contraddittorio è stato, quindi, pienamente rispettato.

La Rilevanza Penale delle Valutazioni nella bancarotta impropria

La Corte ha ribadito un principio consolidato: anche gli enunciati valutativi in bilancio possono integrare il reato di falso in bilancio e, di conseguenza, la bancarotta impropria. Ciò avviene quando l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o tecnicamente accettati, se ne discosta consapevolmente senza fornire adeguata giustificazione, con l’obiettivo di indurre in errore i destinatari delle comunicazioni. La riforma del 2015 non ha creato una zona di impunità per le valutazioni palesemente arbitrarie e ingannevoli.

La Prova dell’Elemento Soggettivo (Dolo)

L’argomento difensivo sull’assenza di dolo è stato respinto. I giudici hanno sottolineato che l’intento fraudolento era facilmente desumibile da elementi oggettivi: le falsità erano palesi, ripetute nel tempo e riguardavano voci di bilancio di immediata percezione per un importo considerevole. La Corte ha inoltre precisato che la prestazione di garanzie personali a favore di alcuni creditori non è incompatibile con l’intenzione di trarre in inganno la generalità dei terzi (il mercato, altri fornitori, il fisco), a cui il bilancio si rivolge.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza diversi principi cardine del diritto penale d’impresa. In primo luogo, conferma che la trasparenza e la veridicità del bilancio sono un bene giuridico tutelato in senso ampio, a protezione della fiducia di tutti gli stakeholder e del mercato, non solo di creditori specifici. In secondo luogo, ribadisce che gli amministratori non possono nascondersi dietro la natura ‘valutativa’ di alcune poste di bilancio per giustificare alterazioni significative e consapevoli della realtà aziendale. Infine, la sentenza serve da monito sulla serietà dell’elemento soggettivo nel reato di bancarotta impropria: la volontà di ingannare può essere provata attraverso la gravità e la sistematicità delle condotte, rendendo irrilevanti gesti apparentemente contrari, come la prestazione di garanzie personali.

Un testimone può validamente confermare in aula le dichiarazioni rese in una precedente udienza davanti a un collegio di giudici diverso?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che questa pratica è pienamente legittima. L’importante è che venga garantito il diritto delle parti a porre nuove e ulteriori domande al testimone, assicurando così il rispetto del principio del contraddittorio.

Una valutazione di un bene in bilancio, anche se errata, può costituire il reato di falso in bilancio e quindi di bancarotta impropria?
Sì. Secondo la sentenza, anche le attività di valutazione possono integrare il reato se chi redige il bilancio si discosta consapevolmente e senza giustificazione dai criteri normativi o tecnici, con l’obiettivo di ingannare i destinatari delle comunicazioni sociali.

Se un amministratore presta garanzie personali per i debiti della società, questo esclude la sua intenzione di commettere il reato di falso in bilancio?
No. La Corte ha chiarito che la prestazione di garanzie personali non è incompatibile con l’intenzione di trarre in inganno la generalità dei destinatari a cui si rivolge il bilancio (come il mercato, altri creditori, fornitori). Il dolo del reato viene valutato sulla base dell’intenzione di presentare una situazione societaria non veritiera.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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