Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35418 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a BELLINZAGO NOVARESE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BELLINZAGO NOVARESE il DATA_NASCITA inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 24/02/2025 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino ha integralmente riformato in senso assolutorio, perché il fatto non costituisce reato, la decisione del G.U.P. del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva riconosciuto la colpevolezza di NOME e NOME COGNOME, quali liquidatori della società RAGIONE_SOCIALE liquidazione, dichiarata fallita con sentenza del 23/11/2015, in relazione al delitto di bancarotta impropria da reato societario di cui al capo B) dell’imputazione, per avere cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società, mediante la trasmissione di false comunicazione sociali, ex art. 2621 c.c., relative all’anno di imposta 2012.
Ricorre il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, che svolge tre motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, denuncia la manifesta illogicità della sentenza nonché la sua contraddittorietà, intrinseca e rispetto agli atti processuali. In specie, deduce che la Corte di appello avrebbe male interpretato il significato del capo di imputazione che, pur potendo dare luogo ad ambiguità di significato, risulta, nondimeno, chiaro nel riferirsi alla circostanza che, appostando l’importo delle caparre versate dai clienti nel conto finanziamento soci, pur trattandosi, in ogni caso di voci di debito (verso soci, anziché verso terzi), la società creava una falsa apparenza di maggiore solidità economica dell’azienda. In tal senso, si sostiene, non può attribuirsi alcuna valenza dirimente alla illogicità della locuzione presente nel capo di imputazione, secondo cui l’operazione inseriva in bilancio un credito fittizio verso soci, del tutto incoerente rispetto alla descritta operazione.
2.2. Con il secondo motivo, deduce che la formula assolutoria, per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, non è coerente con la motivazione assunta, incentrata sulla insussistenza del fatto.
2.3. Con il terzo motivo, denuncia vizi della motivazione nello scrutinio dell’elemento soggettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso non è fondato.
Non coglie nel segno il primo motivo di ricorso.
2.1. Si discute della appostazione in bilancio di una voce di debito, costituita dalle caparre versate dagli acquirenti dei mobili prodotti dall’azienda fallita , che risulta essere stata inserita quale ‘ finanziamento verso soci ‘ anzichè, appunto, come caparra. Ne è risultato un debito della società verso soci anziché verso terzi, integrante una falsa comunicazione sociale ai sensi dell’art.2621 cod. civ. per essere stato esposto un fatto materiale non vero.
2.2. Nel giudizio di merito è accaduto che il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto che ‘ l’esposizione di giroconto di due poste del passivo Caparra c/clienti e Finanziamenti soci per il valore di Euro 172.852,38 (che invece avrebbero dovuto essere indicate nel conto economico) ha fornito una rappresentazione alterata delle condizioni in cui versava la società ‘ ( pg. 10).
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che l’iscrizione della somma quale finanziamento soci avesse generato un credito della società, da ripartire tra i soci, concorrendo ad aggravare la situazione dissestata della società. Il Tribunale ha, altresì, ravvisato l”elemento soggettivo del reato alla luce dell’evocato orientamento giurisprudenziale che richiede, dal punto di vista psicologico, la volontà protesa al dissesto, da intendersi quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.
2.3. La Corte di appello ha corretto la ricostruzione, ritenuta erronea, del primo giudice, osservando come, nel momento in cui la società assume di avere ricevuto un finanziamento dai soci, ‘ evidentemente ha un debito verso costoro, che a loro volta saranno creditori della società, dunque, acquisteranno il diritto a insinuarsi al passivo fallimentare, peraltro in via postergata rispetto agli altri creditori. Dunque, nessun ‘credito’ è stato fi ttiziamente iscritto a bilancio, bensì un debito ‘.
Conseguentemente, la Corte di appello ha ritenuto sconfessata l ‘ ipotesi accusatoria, riversata nel capo di imputazione, che contestava l’esposizione in bilancio di ‘ un credito fittizio nei confronti dei soci’, dal momento che , invece, trattasi, pur sempre, della esposizione di un debito. La Corte territoriale ha ritenuto, cioè, che, pur in presenza della traslazione da una voce all’altra, e, dunque, di una falsificazione effettiva del bilancio, di fatto ciò non sia servito a far apparire la situazione economica della società migliore di quella reale, anzi, al contrario e che, quindi, sia mancata la idoneità della condotta a indurre in errore i terzi.
Da qui, l ‘esclusione dell’elemento soggettivo del reato ‘ non potendosi desumere dalla concreta condotta tenuta dagli imputati un’apprezzabile volontà di cagionare o aggravare il dissesto della società ‘
2.4.Ora, certamente, la caparra è, come il finanziamento soci, una voce di debito della società, trattandosi di somme ricevute a titolo di anticipazione del prezzo da pagare, ma che, tuttavia, la società avrebbe dovuto restituire, avendo cessato la produzione del mobilio per il cui acquisto quelle caparre erano state versate dai clienti.
Nondimeno, mentre le caparre avrebbero dovuto essere immediatamente restituite ai terzi acquirenti, con conseguenti immediate ricadute sulla liquidità aziendale, il finanziamento soci è soggetto a postergazione, e incide sulla solidità della società.
2.5. Mutuando principi della giurisprudenza civilistica, si è, infatti, considerato che i versamenti operati dai soci in conto capitale, pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno, tuttavia, una causa che, di norma, è assimilabile a quella del capitale di rischio, sicché essi non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la società ed i soci può viceversa essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; conf., ex plurimis, Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810; Sez. civ. 1, n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560; Sez. civ. 1, n. 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073). Ne discende che l’erogazione di somme da parte dei soci alla società da loro partecipata, laddove si tratti di versamento a titolo di finanziamento (e non di mutuo), destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili
denominazioni), non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, e si connota per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant (Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).
2.5. Per quanto osservato, è condivisibile l’assunto del ricorrente, ovvero che l’appostamento dell’importo delle caparre nel conto finanziamento soci – e, quindi, come debito verso i soci, anziché come caparre, e quindi quale debito verso i terzi è idoneo a comunicare all’esterno una maggiore vitalità della società, pur trattandosi in ogni caso di voci di debito, stante la loro diversa incidenza sulla rappresentazione della situazione economico finanziaria della società.
Ciò detto, deve ancora osservarsi che il verdetto assolutorio (perché il fatto non costituisce reato) pronunciato dalla Corte di appello fonda sulla considerazione finale che la descritta situazione di fatto ‘ esclude quantomeno la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non potendosi desumere dalla concreta condotta tenuta dagli imputati un’apprezzabile volontà di cagionare o aggravare il dissesto della società ‘.
3.1. Dunque, dopo avere ragionato sul fatto e sull’imputazione formulata dall’Accusa e argomentato intorno alla insussistenza del fatto-reato, per le ragioni che si sono ricordate, la sentenza impugnata, con un salto logico, sembra presupporre che la condotta materiale abbia effettivamente creato una falsa apparenza di maggiore solidità economica dell’azienda , e quindi, la sussistenza del l’elemento oggettivo del reato (che la Corte territoriale aveva fino a quel momento escluso), pur senza avere argomentato in merito all’aggrav amento del dissesto, ovvero senza spiegare come abbia inciso, sul dissesto, la modifica dell’appostazione del debito . L’assoluzione è stata, infatti, come detto, pronunciata per mancanza di prova dell’elemento psicologico del reato
3.2. Nondimeno, di tale aporìa argomentativa il ricorrente non si duole, solo limitandosi a censurare, con il secondo motivo di ricorso, la formula assolutoria opzionata dal Collegio territoriale. Doglianza che, tuttavia, risulta inammissibile per difetto di interesse, non rivelandosi, l’eventuale accoglimento, come foriero di effetti favorevoli sulla domanda dell’accusa. Piuttosto, la formula assolutoria più ampia si configura come deteriore per gli interessi dei creditori.
Anche il terzo motivo non ha pregio, rivelandosi generico.
4.1.Invero, con tale censura, il ricorrente pone la questione dell’erronea premessa, da cui ha preso le mosse la Corte di appello, della parziale insussistenza della condotta oggettiva, avendo, appunto, affermato che la falsa appostazione si è tradotta in un nuovo debito per la società, e, cioè in un aggravamento della situazione debitoria e non certo in una sua riduzione, argomentazione -osserva il ricorrente dalla quale non poteva che discendere l’insussistenza dell’elemento soggettivo. E, in effetti, la Corte di appello esclude l’elemento soggettivo per
l’impossibilità di ‘ desumere dalla concreta condotta tenuta dagli imputati un’apprezzabile volontà di cagionare o aggravare il dissesto ‘.
4.2. Ma, in realtà, ciò che rende fragile la sentenza impugnata, è la contraddittorietà tra la premessa dell’insussistenza del fatto, e la conclusiva assoluzione per difetto del dolo, mentre, nel formulare un motivo che si rivela astratto e fine a se stesso il ricorrente nulla deduce su tale aporìa argomentativa, finendo per sviluppare un ragionamento astratto, che non individua la effettiva falla nel ragionamento giustificativo della decisione ricorsa.
4.3. In sintesi, può dirsi che il vizio motivazionale presente nella sentenza impugnata sia costituito dalla contraddittoria motivazione con la quale la Corte di appello, dopo avere argomentato sulla insussistenza dell’ elemento oggettivo del reato, ovvero sulla insussistenza della contestata falsa comunicazione sociale, finisce per assolvere l’imputato per mancanza dell’ elemento soggettivo. Ma, anche su tale punto della decisione non c’è motivo di ricorso.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2025
Rigetta il ricorso. Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME