Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2503 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2503 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Vico nel Lazio il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 27/03/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta presentata ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Frosinone in data 23 aprile 2019, NOME COGNOME e NOME COGNOME furono condannati, rispettivamente, alla pena di 5 anni di reclusione e di 3 anni di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, entrambi dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (capo A) e, solo COGNOME, di violazione di sigilli (capo B), con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni per la COGNOME e in perpetuo per COGNOME e condanna di entrambi al risarcimento del danno in favore della curatela del
fallimento, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separata sede, con provvisionale di 20.000 euro.
Con sentenza in data 27 marzo 2023, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME in ordine al delitto indicato sub B) perché estinto per prescrizione e ha, per l’effetto, rideterminato la pena, per la residua imputazione, in 4 anni e 6 mesi di reclusione, riducendo nei confronti di COGNOME le pene accessorie ex art. 216, ult comma, legge fall. in pari misura e la provvisionale in favore della parte civile in 10.000 euro, con conferma, nel resto, delle precedenti statuizioni.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto un unico ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del comune difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 595bis, comma 3-bis, cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla decisione sulla richiesta di concordato sulla pena formulata ex art. 599-bis cod. proc. pen. con rinuncia ai motivi. La Corte, ritiratasi in camera di consiglio, avrebbe all’esito pronunciato sentenza, implicitamente rigettando la proposta di concordato per i motivi resi noti solo al momento del deposito della sentenza, senza precedentemente ordinare la prosecuzione del dibattimento, in violazione degli artt. 599-bis, comma 3 e 602, comma 1-bis, cod. proc. pen., a mente dei quali il giudice di appello, ove ritenga di non accogliere la richiesta di concordato, dispone la prosecuzione del dibattimento. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sotto la vigenza dell’art. 602 cod. proc. pen., l’inosservanza della disposizione sarebbe causa di nullità della sentenza; e tale conclusione, ribadita anche recentemente sempre in relazione all’art. 602, comma 1-bis, cod. proc. pen., dovrebbe essere confermata, dopo l’abrogazione della disposizione in parola ad opera del d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. Riforma Cartabia), anche con riferimento all’art. 599-bis, comma 3-bis, cod. proc. pen. per violazione dei diritti della difesa, la quale non abbia formulato le conclusioni nel merito. Ciò in quanto, secondo l’art. 599-bis, comma 3-bis, cod. proc. pen., quando procede con udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone la prosecuzione del giudizio.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 192, commi 1 e 2, 546 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione e il travisamento probatorio per omissione in relazione alle circostanze comprovanti la disponibilità delle scritture contabili in capo al curatore fallimentare e il rinvenimento dei beni della fallita al momento della dichiarazione di fallimento nel luogo in cui NOME COGNOME li aveva trasferiti, diverso dall’immobile condotto in locazione per il quale, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, la RAGIONE_SOCIALE aveva subito una procedura di sfratto.
Quanto all’ipotesi di bancarotta documentale, la documentazione contabile sarebbe stata messa a disposizione del curatore, dopo essere stata rinvenuta, in parte, in luogo diverso dalla sede della fallita a seguito dello sfratto subito. La sentenza impugnata non offrirebbe idonea motivazione sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 219, r.d. n. 267 del 1942 in relazione all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Premesso che l’aggravante in parola si configura in presenza di una rilevante gravità del valore dei beni sottratti all’esecuzione e del danno patrimoniale per i creditori complessivamente considerato, nel caso di specie i beni della fallita sarebbero stati tutti acquisiti all’attivo fallimentare, né sarebbe sta indicato un danno effettivo alla massa creditizia, non essendo sufficiente il generico richiamo al valore in bilancio dei beni della società acquisiti al fallimento.
2.4. Con il quarto motivo, per il solo COGNOME il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non avendo la Corte territoriale valutato, se non apparentemente e in modo contraddittorio e illogico, gli elementi indicati nell’appello a sostegno della richiesta, essendo il riferimento alla “gravità del fatto” privo di connotazione concreta e quello alla mancanza di resipiscenza anch’esso generico, incentrato su condotte che esulerebbero dal reato contestato.
2.5. Con il quinto motivo, per la sola COGNOME il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in relazione alla mancata correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza. L’imputata, rinviata a giudizio per avere posto in essere, nella qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita e della RAGIONE_SOCIALE, una pluralità di condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, sarebbe stata condannata quale concorrente extraneus nel reato fallimentare del socio accomandatario. In questo modo, la Corte territoriale avrebbe operato una vera e propria modifica della imputazione nei suoi elementi essenziali in assenza di contestazione. Né la Corte di appello avrebbe specificato in cosa si sarebbe concretizzata la condotta di agevolazione,
limitandosi a richiamare il rapporto di coniugio tra COGNOME e COGNOME e la circostanza che parte dei documenti contabili furono rinvenuti presso la sua abitazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere respinti.
Muovendo dal primo motivo di censura, va premesso che nel giudizio di appello, le parti possono rinunciare ad ogni motivo diverso da quelli relativi alla pena e indicare concordemente al giudice la misura di quest’ultima.
Secondo quanto stabilito dall’art. 599-bis cod. proc. pen., ai commi 3 e 3-bis, rispettivamente sostituito e introdotto dall’art. 34, comma 1, lett. f), nn. 2-3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, «quando procede nelle forme di cui all’articolo 598-bis, la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione di queste e indica se l’appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall’articolo 127. Il provvedimento è comunicato al procuratore generale e notificato alle altre parti. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte in udienza. Quando procede con udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone la prosecuzione del giudizio». Dunque, sul piano testuale non è revocabile in dubbio che al rigetto della proposta di concordato sulla pena, debba seguire la discussione nel merito ovvero, eventualmente, la riproposizione di una nuova e diversa richiesta ex art. 599-bis cod. proc. pen., avuto riguardo alla chiara ratio legis di incentivare la definizione anticipata del giudizio di appello, rafforzando gli spazi di negozialità (così Sez. n. 45287 del 17/10/2023, COGNOME, non massimata).
Tuttavia, nel caso di specie, in disparte la circostanza che, secondo quanto si ricava da pag. 5 della sentenza, le parti, congiuntamente alla richiesta di concordato sulla pena, avevano concluso in subordine anche nel merito, va osservato che il presente motivo non ha indicato, in maniera specifica, quale richiesta la parte avrebbe inteso formulare ove, a seguito del rigetto della richiesta di applicazione del concordato, la Corte territoriale avesse disposto la prosecuzione del giudizio; e, dunque, quale specifico interesse sia stato, nella specie, vulnerato dalla mancata prosecuzione della discussione subito dopo tale rigetto.
Il motivo è, pertanto, inammissibile in quanto articolato in maniera generica.
Il secondo motivo di doglianza è del tutto aspecifico, sicché anch’esso deve essere ritenuto inammissibile.
Invero, la sentenza impugnata ha evidenziato, in primo luogo, che COGNOME si era sottratto al confronto con il curatore, dapprima non ritirando la raccomandata notificatagli, quindi affermando di non avere intenzione di “perdere tempo” nel corrispondere alle sue richieste (v. pag. 11 relazione ex art. 33 legge fall.). In sostanza, l’imputato non aveva indicato al curatore dove reperire i beni sottratti; circostanza che la sentenza di appello ha ragionevolmente ritenuto indicativa dell’intento distrattivo. Inoltre, priva di pregio è stata ritenuta la tesi difens secondo cui COGNOME sarebbe stato costretto a trasferire i beni presso il capannone della RAGIONE_SOCIALE a causa dello sfratto dalla sede di Alatri, avvenuto, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Come rilevato dalla Corte territoriale, tale evento non poteva giustificare in alcun modo il silenzio serbato dall’imputato con il curatore in relazione al luogo in cui i beni erano stati trasferiti un anno prima del fallimento; tanto più ove si consideri che, come riferito sempre dal curatore, la società fallita aveva continuato a operare, anche dopo il fallimento, nel magazzino della RAGIONE_SOCIALE, ove aveva trasferito la strumentazione, come dimostrato dalla emissione di tre fatture nei primi mesi del 2012 e dall’acquisto dei materiali in legno dalla RAGIONE_SOCIALE (cfr. fattura del 13 luglio 2013). Quanto, poi, all’ulteriore precisazione difensiva secondo cui la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avrebbero stipulato un contratto di locazione nel capannone, le sentenze hanno rilevato come tale versione non sia stata supportata da alcun riscontro documentale o testimoniale. Priva di smagliature logiche è, dunque, la conclusione alla quale i Giudici di merito sono pervenuti in ordine al fatto che la RAGIONE_SOCIALE avesse proseguito l’attività della fallita, incassando gli importi ricavati dalla vendita imputando alla RAGIONE_SOCIALE i costi delle materie prime e per la locazione degli immobili; tanto è vero che, come riferito dal curatore, taluni dei contratti della RAGIONE_SOCIALE erano stati firmati congiuntamente dagli imputati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.1. Quanto alla bancarotta documentale, benché COGNOME avesse riferito al curatore di avere gettato i libri contabili e di non averne più la disponibilità, l sentenze hanno posto in luce come le scritture fossero state rinvenute in parte presso lo studio del commercialista, in parte presso l’abitazione dei genitori degli imputati e in parte presso la sede della nuova società.
Tale circostanza è stata non illogicamente valorizzata dalla sentenza impugnata al fine di affermare la volontà di COGNOME di occultare la contabilità al fine di coprire le ingenti distrazioni e di recare danno al ceto creditorio. Viceversa, il concorso della COGNOME nell’occultamento della contabilità, finalizzato a recare danno ai creditori, è stato logicamente argomentato a partire dall’occultamento di parte di essa presso l’abitazione dei suoi genitori e presso la sede della società di cui era procuratrice, nonché dal contributo da costei prestato alla distrazione del patrimonio della società (si veda, sul punto, quanto argomentato con riferimento
all’ultimo motivo) e, dunque, con la correlata esigenza di celare le operazioni distrattive compiute.
4. Il terzo motivo è infondato.
4.2. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado, individuato il danno con riferimento alla diminuzione patrimoniale della massa attiva disponibile per il riparto, lo aveva quantificato in circa 2.000.000,00 euro, equivalenti ai beni in possesso della società al 2010, secondo la relazione ex art. 33, legge fall.
La difesa lamenta che il valore dei beni in possesso della società era stato calcolato al 2010 e che non era stato attualizzato al fallimento; e, inoltre, che avrebbe dovuto essere considerato il decennale ammortamento.
Tale doglianza, già prospettata con il terzo motivo dell’atto di appello e ribadita con il presente motivo di ricorso, ha trovato puntuale risposta nella sentenza
impugnata, la quale ha osservato come la natura non deperibile dei beni (seghe, pressatrici, piallatrici, levigatrici, compressori ecc.), rendesse improbabile che il loro valore fosse diminuito sensibilmente nel breve periodo fino al fallimento, avvenuto nel luglio 2013.
Quanto, poi, alla circostanza che talune auto sottratte fossero in leasing, essa è stata correttamente ritenuta irrilevante rispetto al danno prodotto dal mancato rinvenimento dei beni nell’attivo fallimentare, coerentemente con l’indirizzo giurisprudenziale che rinviene, in ipotesi siffatte, il delitto di bancarott fraudolenta patrimoniale in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina, comunque, un pregiudizio per la massa fallimentare (Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279212 – 01; Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 272992 – 01; Sez. 5, n. 44350 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268469 – 01).
Tanto osservato rispetto alle censure mosse con l’appello in ordine alla quantificazione del valore dei beni, la Corte territoriale ha condivisibilmente concluso evidenziando come i beni che non erano stati messi a disposizione della curatela dal fallito avessero un valore di 2 milione di euro e come essi fossero stati in parte rinvenuti a seguito di indagini di polizia giudiziaria e, in parte, oggetto di revocatoria da parte del curatore, con corrispondente elevato danno per i creditori da valutarsi alla data del fallimento, ovvero alla data della consumazione del delitto. In proposito, va infatti ribadito che il delitto di bancarotta fraudolent patrimoniale si consuma al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento, sicché il danno provocato ai creditori va valutato in rapporto a tale momento, costituendo gli eventuali recuperi dei beni solo un post factum privo di rilievo a tal fine (Sez. 5, n. 7999 del 13/01/2021, COGNOME, in motivazione).
Ne consegue, anche sotto tale aspetto, la infondatezza delle censure difensive.
5. Il quarto motivo, con cui COGNOME lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è inammissibile.
Va premesso che la valutazione circa il riconoscimento o meno delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis cod. pen. si configura come un apprezzamento rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale è tenuto a motivare la propria scelta nei soli limiti atti a far emergere l’avvenuto scrutinio circa l’adeguatezza della pena in concreto inflitta alla reale gravità del reato e alla personalità dell’imputato (v. tra le tante Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737-01; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, COGNOME, Rv. 23059101). In questa prospettiva, il giudice, se si determina per il mancato riconoscimento delle attenuanti in parola, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che
egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01), senza che, peraltro, sia necessario che li esamini tutti, potendo limitarsi a specificare a quali, tra essi, egli abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899-01).
Orbene, nel caso in esame, i Giudici di merito hanno ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in considerazione, da un lato, della gravità dei fatti e, dall’altro lato, dell’atteggiamento scarsamente collaborativo tenuto da COGNOME, il quale aveva reso dichiarazioni soltanto dopo la perquisizione e il sequestro della Guardia di Finanza e avendo egli, nell’occasione, tentato di escludere ogni responsabilità propria e della moglie. Inoltre, sempre COGNOME si era reso responsabile, dopo le condotte distrattive, della violazione, il 31 gennaio 2014, dei sigilli apposti dai militari presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, dove era stata rinvenuta la strumentazione della società fallita. Tali riferimenti, dunque, adempiono pienamente, alla luce dei principi enunciati, all’obbligo di motivare in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
6. Il quinto motivo, relativo alla sola COGNOME, è del pari infondato.
6.1. Muovendo dal condiviso indirizzo di legittimità secondo cui la responsabilità per reati fallimentari del socio accomandante di una società in accomandita semplice può prospettarsi non soltanto ai sensi dell’art. 222, legge fall., ma anche ex artt. 110 cod. pen. e 216-222 legge fall., quale concorrente extraneus nel reato fallimentare del socio accomandatario, per aver il soggetto commesso una condotta agevolatrice atipica (Sez. 5, n. 14531 del 14/12/2016, dep. 2017, Palumbo, Rv. 269594 – 01), le sentenze di merito hanno motivatamente ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE dovesse rispondere quale socia della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE per avere concorso con il marito, socio accomandatario, nei fatti loro ascritti, consentendogli di occultare presso la residenza e presso la sede della RAGIONE_SOCIALE sia i documenti contabili, sia i beni del patrimonio sociale, essendo ella a conoscenza delle condizioni della RAGIONE_SOCIALE, delle progressive difficoltà e delle condotte distrattive agite, essendo costei, oltre che coniuge di COGNOME, l’unico altro socio della fallita sin dall’epoca della costituzione.
Inoltre, il marito aveva aperto insieme a lei i conti correnti cointestati in un momento di difficoltà aziendale legata ai debiti verso il fisco, verso i dipendenti e verso l’immobiliare Kenobi; ed essendo stata costei socia della RAGIONE_SOCIALE dal 7 marzo 2012, non poteva essere estranea alla gestione della società, all’attività e alle sorti della RAGIONE_SOCIALE, come confermato dalle dichiarazioni del
teste COGNOME, secondo cui la RAGIONE_SOCIALE partecipava direttamente all’attività sociale. Ancora: i beni trasferiti dopo lo sfratto della RAGIONE_SOCIALE, erano rimasti occultati alla curatela presso l’abitazione della RAGIONE_SOCIALE e la sede sociale di RAGIONE_SOCIALE dopo la dichiarazione di fallimento del 15 luglio 2013.
Alla stregua di tali specifici elementi di fatto, la sentenza ha, dunque, concluso, in maniera logicamente inappuntabile, come l’imputata avesse volontariamente e attivamente concorso con il marito intraneus al depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156 – 02; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 271123 – 01; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267059 – 01).
Ne consegue, pertanto, la infondatezza delle censure difensive sul punto.
6.2. Quanto alla prospettata violazione del principio della correlazione tra imputazione contestata e sentenza ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen., le sentenze di merito hanno motivatamente escluso il mutamento del fatto, non ravvisando una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, con un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 – 01). All’uopo, esse hanno correttamente richiamato la giurisprudenza secondo cui non integra la violazione del principio in parola la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264073 – 01; Sez. 5, n. 4117 del 9/12/2009, dep. 2010, Prosperi, Rv. 246100 – 01), atteso che il soggetto che non risulti essere amministratore di fatto può certamente aver concorso come extraneus nel delitto di bancarotta (Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, COGNOME, Rv. 224842 – 01).
Pertanto, anche sotto tale aspetto, la doglianza difensiva appare infondata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 27 novembre 2023
Il Consigliere estensore