Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31706 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31706 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Milano in funzione di giudice del riesame ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma di 436.800 euro, ritenuti costituire il profitto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso da COGNOME NOME nella sua qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto inglese dichiarat fallita nel 2017 con effetti limitati ai beni della medesima presenti nel territor italiano. In particolare al COGNOME, formalmente dipendente della società con qualifica dirigenziale, è contestato di aver effettuato, nella sua qualità occulta di amministratore di fatto, pagamenti non dovuti in favore di dipendenti licenziati – tra i quali lo stess indagato – simulatamente fatti figurare come accordi transattivi con incentivi all’esodo dei medesimi.
2. Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce violazione di legge, lamentando la natura meramente apparente della motivazione posta a sostegno della decisione impugnata in merito alla sussistenza del fumus del reato contestato. In tal senso osserva come in realtà il Tribunale abbia concentrato la propria attenzione sull’altra vicenda processuale per il quale il COGNOME è stato condanNOME in via definitiva per il concorso nel reato di bancarotta impropria da operazioni dolose relativo ad altra società, del tutto irrilevante ai fini della dimostrazione della sussistenza del reato per cui si procede, sostanzialmente inesistente. Non di meno il giudice del riesame avrebbe solo formalmente ritenuto il sequestro funzionale alla confisca diretta del profitto del reato, trasformando di fatto quest’ultima in una confisca di valore, non prevista in materia fallimentare. Il Tribunale avrebbe omesso di confutare i rilievi svolti dalla difesa nell memoria deposita nel giudizio di riesame in merito all’effettivo diritto dell’indagato al percepimento della somma di cui si assume la distrazione, nonché alla sua congruità. In particolare la difesa aveva confutato che l’accordo transattivo fosse intervenuto dopo la scadenza del termine previsto per l’impugnazione giudiziale del licenziamento, atteso che tale termine non si applica ai dirigenti e, comunque, che in mancanza di accordo la fallita sarebbe rimasta esposta a richieste risarcitorie da parte del COGNOME. Ancora era stato eccepito come alcuna risultanza comprovasse la non debenza della somma o la sua eccessività, tenuto conto che, al contrario della società coinvolta nell’altra vicenda processuale evocata dal giudice del riesame, la fallita era effettivamente operativa e capiente al momento del licenziamento dell’indagato.
2.2 Sotto altro profilo il ricorrente contesta il difetto del periculum in mora in grado di giustificare l’adozione del vincolo cautelare e la cui sussistenza ritiene necessaria anche nell’ipotesi di sequestro funzionale all’ablazione del bene. Ed in proposito evidenzia come, trattandosi di confisca non obbligatoria, la somma in sequestro non potrà essere acquisita dallo Stato, la cui pretesa sarebbe subvalente rispetto al diritto di reintegrazione patrimoniale che il fallimento può far valere. In tal senso il ricorren osserva altresì come di fatto il giudice del riesame abbia avvallato una sorta di sequestro conservativo illegittimamente disposto prima dell’avvio della fase processuale.
2.3 Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce erronea applicazione della legge penale. In proposito eccepisce come a tutto concedere quello configurabile sarebbe il diverso reato di bancarotta preferenziale, posto che il COGNOME ha effettivamente svolto le funzioni dirigenziali, non incompatibili con l’assunzione di fatto della gestione dell società, con conseguente diritto a percepire le somme oggetto dell’accordo transattivo, la cui congruità non sarebbe in discussione. Non di meno ancora una volta il Tribunale avrebbe omesso di confutare i rilievi difensivi svolti sul punto.
AVV_NOTAIO dell’indagato ha depositato motivi nuovi con i quali ha ulteriormente argomentato le censure articolate con il primo motivo del ricorso principale. L’AVV_NOTAIO ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.g.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Manifestamente infondata è invero la prima censura del ricorrente per cui la motivazione del provvedimento impugNOME sarebbe incentrata sulla condanna definitiva subita dall’indagato nell’ambito di altra vicenda processuale. Il Tribunale infatti, si è limitato ad evocare la condanna per bancarotta da operazioni dolose riportata dal COGNOME per chiarire il contesto in cui è maturato il reato per cui si proce e porre in evidenza le connessioni tra le due vicende in grado di corroborare l’attribuzione allo stesso della qualifica di amministratore di fatto della fallita ragioni della contestata distrazione.
Nel resto le doglianze proposte con il primo motivo di ricorso sono, come detto, nel loro complesso infondate, ancorché per alcuni aspetti inammissibili. Va anzitutto ricordato che il giudice del riesame, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il fumus commissi delicti in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella
prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori de fatto. Inoltre va ribadito che in materia di misure cautelari reali il ricorso cassazione è ammesso solo per violazione di legge e che pertanto è consentito dedurre censure attinenti la motivazione del provvedimento impugNOME solo nei limiti in cui oggetto di doglianza sia l’assoluta mancanza di un apparato giustificativo della decisione o, quanto meno il difetto dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza del medesimo, tanto da evidenziarne l’inidoneità a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, COGNOME, Rv. 226710).
Alla luce delle coordinate esegetiche illustrate deve ritenersi che il Tribunale abbia compiutamente assolto il proprio onere motivazionale, evidenziando come la stipulazione delle transazioni con i dipendenti licenziati – tra cui lo stesso COGNOME – s stata promossa dall’indagato proprio nella sua qualità di gestore di fatto della società e nella consapevolezza dell’incipiente dissesto della stessa. In tal senso i giudici del merito hanno ritenuto implicitamente di poter superare le obiezioni difensive in merito alla legittimità del pagamento dell’indennizzo all’indagato, ritenendo sussistere il fumus della contestata distrazione in ragione del fatto che gli stessi licenziamenti sarebbero stati sostanzialmente strumentali alla successiva stipulazione delle transazioni al fine di preservare alcuni dipendenti – ossia lo stesso COGNOME e le sue più strette collaboratrici – dai rischi del successivo fallimento.
La motivazione dell’ordinanza non si rivela dunque come meramente apparente, risultando tutt’altro che radicalmente irragionevole o incoerente rispetto alle risultanze esposte, nonché, come detto, idonea a confutare le deduzioni svolte nel giudizio di riesame. Peraltro generica risulta quella relativa alla irrilevanza del momento in cui è intervenuta la transazione con l’indagato, non essendo stato precisato se si sia trattato di licenziamento ritenuto invalido piuttosto che di recesso ingiustificato.
Correttamente, pertanto, il Tribunale ha ritenuto legittimo il sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato. Né la conclusione potrebbe essere diversa qualora volesse accedersi alla diversa qualificazione giuridica del fatto prospettata dalla difesa, posto che in ogni caso il vincolo potrebbe essere legittimamente apposto anche sul profitto del reato di bancarotta preferenziale. Peraltro che la somma percepita dal COGNOME corrisponda effettivamente all’eventuale credito maturato dall’indagato nei confronti della fallita è una mera asserzione difensiva.
Generiche sono infine le doglianze formulate dal ricorrente in merito alla sussistenza del periculum in mora, che non si confrontano con la motivazione articolata sul punto
dal giudice del riesame. Né ha qualche pregio l’obiezione sulla retrocedibilità al fallimento della somma distratta, posto che in proposito legittimato a far valere il relativo diritto è esclusivamente il curatore fallimentare (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019, Mantova Petroli, Rv. 277257).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/5/2024