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Bancarotta fraudolenta: sequestro del profitto del reato

La Corte di Cassazione ha confermato un sequestro preventivo di oltre 400.000 euro nei confronti di un amministratore di fatto per bancarotta fraudolenta. La somma, mascherata da accordo transattivo, è stata ritenuta profitto del reato, distratta dal patrimonio sociale in vista del fallimento. La sentenza chiarisce i limiti della valutazione del ‘fumus commissi delicti’ in sede di riesame e la legittimità della misura cautelare reale anche sul profitto del reato fallimentare.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: Sequestro Legittimo per l’Amministratore di Fatto

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 31706/2024, offre importanti chiarimenti sul sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei casi di bancarotta fraudolenta. Il caso esaminato riguarda un amministratore di fatto di una società, il quale aveva ricevuto una cospicua somma a titolo di accordo transattivo poco prima del fallimento. La Suprema Corte ha confermato la legittimità del sequestro, qualificando tale somma come profitto del reato, e ha ribadito i principi che governano la valutazione del giudice del riesame in materia di misure cautelari reali.

I Fatti del Caso: L’Operazione Finanziaria Sospetta

Il Tribunale del Riesame di Milano aveva confermato un provvedimento di sequestro preventivo per quasi 437.000 euro. La somma era considerata il profitto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso da un soggetto che, pur essendo formalmente solo un dirigente, agiva come amministratore di fatto di una società di diritto inglese, poi dichiarata fallita in Italia.

L’accusa contestava all’indagato di aver orchestrato pagamenti non dovuti a favore di alcuni dipendenti licenziati, tra cui lui stesso, mascherandoli da accordi transattivi con incentivi all’esodo. Secondo l’accusa, queste operazioni erano finalizzate a sottrarre risorse patrimoniali alla società, in vista dell’imminente e prevedibile dissesto finanziario.

L’indagato ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, una motivazione apparente, la mancanza del periculum in mora e un’erronea qualificazione giuridica del fatto, che a suo dire doveva essere considerato al più come bancarotta preferenziale.

La Decisione e il Perimetro del Giudizio di Riesame

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. Uno dei punti centrali della decisione riguarda il ruolo del giudice del riesame. La Corte ha ribadito un principio consolidato: in sede cautelare, il giudice non deve accertare la fondatezza dell’accusa come in un giudizio di merito, ma deve limitarsi a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato (fumus commissi delicti).

Questo significa che il Tribunale del Riesame deve valutare se gli elementi presentati dall’accusa sono idonei a rendere utile la prosecuzione delle indagini, senza dover raggiungere una prova certa della colpevolezza. La motivazione del provvedimento impugnato, secondo la Cassazione, non era né mancante né apparente, ma sufficientemente logica e coerente nel delineare il quadro indiziario a carico dell’indagato.

Le Motivazioni: Fumus Delicti e Sequestro nella Bancarotta Fraudolenta

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente individuato il fumus del reato. La stipula degli accordi transattivi, promossa dall’indagato nella sua qualità di gestore di fatto, era stata letta come un’operazione strumentale. L’obiettivo era quello di tutelare se stesso e i suoi più stretti collaboratori dai rischi del fallimento imminente, di cui era pienamente consapevole.

Di fronte a questo quadro, le obiezioni difensive sulla legittimità e congruità del pagamento sono state implicitamente superate. La natura distrattiva dell’operazione, secondo i giudici, risiedeva proprio nella sua finalità: sottrarre beni alla garanzia dei creditori in un momento di crisi aziendale conclamata. Pertanto, la somma percepita costituiva il profitto diretto del reato di bancarotta fraudolenta e, come tale, era legittimamente sottoponibile a sequestro finalizzato alla confisca. La Corte ha inoltre specificato che, anche se il fatto fosse stato riqualificato come bancarotta preferenziale, il sequestro del profitto sarebbe stato comunque ammissibile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La pronuncia consolida alcuni punti fermi di grande rilevanza pratica. In primo luogo, conferma che la qualifica di amministratore di fatto espone il soggetto alle medesime responsabilità penali dell’amministratore di diritto, specialmente nei reati fallimentari. In secondo luogo, ribadisce che le operazioni apparentemente lecite, come un accordo transattivo, possono essere qualificate come distrattive se realizzate con lo scopo di depauperare il patrimonio sociale a danno dei creditori. Infine, la sentenza delimita con chiarezza l’ambito del controllo di legittimità della Cassazione sui provvedimenti cautelari reali, che è circoscritto alla violazione di legge e ai vizi macroscopici della motivazione, senza potersi estendere a una rivalutazione del merito degli elementi indiziari.

Quando è legittimo un sequestro preventivo in un caso di bancarotta fraudolenta?
È legittimo quando esistono sufficienti indizi della commissione del reato (fumus commissi delicti) e il sequestro è finalizzato a vincolare il profitto o le cose pertinenti al reato per impedirne la dispersione in vista di una futura confisca. La somma distratta dal patrimonio sociale costituisce il profitto diretto del reato.

Che differenza c’è tra la valutazione del giudice del riesame e quella del giudice di merito?
Il giudice del riesame, in materia di misure cautelari reali, deve verificare solo l’astratta configurabilità del reato sulla base degli elementi disponibili, senza dover accertare la concreta fondatezza dell’accusa. La valutazione di merito sulla colpevolezza è invece riservata al successivo giudizio.

Può un pagamento formalmente giustificato, come un accordo transattivo, essere considerato profitto del reato di bancarotta?
Sì. Secondo la sentenza, anche un’operazione formalmente lecita come una transazione può essere considerata un atto distrattivo se si dimostra che la sua finalità era quella di sottrarre risorse patrimoniali alla società in un contesto di dissesto imminente, a danno dei creditori. In tal caso, la somma pagata costituisce il profitto del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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