Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14394 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, che ha illustrato i avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso; motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Ancona, con la sentenza emessa il 7 marzo 2023, confermava, salvo che per le pene accessorie fallimentari che riduceva, la pronuncia del G.u.p. del Tribunale di Pesaro, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine alle condotte di bancarotta societaria fraudolenta distrattiva e di bancarotta semplice societaria per aggravamento del dissesto.
In particolare, quanto alla prima condotta, contestata al capo a) dell’imputazione, NOME rispondeva di avere, in qualità di amministratore della
RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Pesaro con sentenza n. 18 del 11 marzo 2014, distratto dal patrimonio della società la somma di euro 632.512,41, mediante trasferimenti di disponibilità finanziarie dai conti della società fallita in favore dello stesso NOME e della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa del 30/01/2012, a lui riconducibile.
I trasferimenti venivano solo formalmente giustificati ed imputati ad una obbligazione derivante da un contratto preliminare di cessione d’azienda, datato 1 settembre 2008, di fatto risolto: per i Giudici del merito il contratto era privo d data certa, non era registrato e sottoscritto dallo stesso COGNOME, quale promittente venditore e quale promissario acquirente. L’atto comportava un accollo immediato dei debiti da parte della società fallita, senza indicazione di garanzie per eventuale restituzione delle somme erogate in caso di inadempimento o di mancato perfezionamento dei contratto definitivo. Inoltre, anche risultavano distratti euro 10.000,00, mediante sottrazione del saldo evidenziato nella scheda contabile “Incassi c/comuni”.
Quanto ai fatti di bancarotta semplice, contestati al capo c) dell’imputazione, al AVV_NOTAIO, nella medesima qualità di amministratore della fallita RAGIONE_SOCIALE, veniva contestato di aver aggravato il dissesto della società astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento della società, in presenza di una situazione economica precaria e compromessa già dall’anno 2011, con perdite di esercizio maturate pari a euro 536.548,00 ed ulteriormente ampliate nei successivi esercizi, oltre che per l’annullamento del patrimonio societario, risultando nell’anno 2011 la perdita su indicata con patrimonio negativo pari ad euro 531.516,00, per l’anno 2012 la perdita di euro 428.113,00 con patrimonio negativo pari ad euro 959.628,00, nell’anno 2013 la perdita di euro 239.872,00 con patrimonio negativo pari ad euro 1.199.501,00.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione degli artt. 216 e 223 legge fall. e vizio di motivazione in relazione al capo a).
Lamenta il ricorrente, in primo luogo, che la Corte territoriale non abbia dato adeguata risposta ai rilievi mossi con l’atto di appello, limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado.
In particolare, il travisamento in cui sarebbe incorsa la Corte di appello riguarda la centralità attribuita al contratto di cessione di ramo di azienda, in vero
da intendersi come cessione di azienda che ha visto trasferita tutta l’azienda della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE.
In tal senso anche in assenza di un atto valido, l’intenzione dell’imputato, osserva il motivo di ricorso, è stata quella di «salvare l’attività in tutti i mod nello spirito della disciplina unionale come interpretata dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, per cui l’azienda trasferita richiede che il cessionario intenda proseguire nella gestione e non liquidarla immediatamente.
L’errore della Corte territoriale è stato quello di non ritenere sussistente una cessione tacita e di non considerare il difetto degli indici di fraudolenza, per i quali occorreva verificare l’integrità patrimoniale.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 217, comma 1, n. 4 legge fall. e vizio di motivazione.
Anche in questo caso la Corte territoriale è incorsa in un errore da travisamento dei dati, valutando i dati dal 2011 al 2013 come indicativi di una cospicua perdita, senza considerare per un verso che il pagamento di oltre 600mila euro era orientato al soddisfacimento delle esigenze di impresa, non considerandosi i miglioramenti anche intervenuti per la RAGIONE_SOCIALE e la volontà di assicurare gli stessi, il che confligge con il dolo da distrazione.
Il terzo motivo lamenta la pena illegale, avendo la Corte di appello confermato la pena di anni due e mesi sei di reclusione, in assenza di un aumento di mesi tre di reclusione per il capo c) in ragione della continuazione, che viene introdotta solo dalla sentenza ora impugnata.
Il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell’art. 2 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del dl. 30 dicembre 2023, n. 215.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è solo parzialmente fondato.
In relazione al primo motivo, la Corte di appello in modo puntuale replica a tutte le censure mosse con l’atto di impugnazione, senza alcuna lacuna, cosicché le doglianze mosse con il presente motivo appaiono solo reiterative di quelle già formulate e che hanno trovato adeguata risposta.
A ben vedere, la Corte territoriale non travisa alcunché, escludendo l’efficacia del contratto preliminare di cessione di azienda, che risultava nella prospettazione dei Giudici di merito la ‘copertura giuridica’ per una operazione di trasferimento di risorse dalla fallita all’altra società, sempre facente capo al ricorrente, senza alcuna utilità per la prima.
Difatti la Corte di appello, esclusa la efficacia del contratto preliminare, recante una data che sarebbe antecedente all’inizio dell’attività della cessionaria NOME, evidenzia come quest’ultima mai ebbe a ricevere i beni aziendali che doveva acquisire, sia che fossero oggetto del preliminare o di una «tacita» determinazione, come eccepisce il motivo di ricorso.
In sostanza, la natura distrattiva del trasferimento del denaro dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE emerge con chiarezza dagli indici di non convenienza economica e giuridica del contratto, valutati dalle sentenze di merito, quali il versamento dell’intero a fronte della omessa sottoscrizione del definitivo e dell’assenza di trasferimento effettivo dei beni aziendali, costituenti la contropartita della dazione in denaro.
La valutazione della Corte di appello si muove in linea con il costante insegnamento di questa Corte, per il quale il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene – nel caso di specie del denaro – attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali.
Esemplificando, è stato ritenuto che anche il contratto di affitto di azienda possa connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione: ciò tanto nel caso in cui l’affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto anche se la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico, in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01; Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272841 – 01; Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, COGNOME, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE, Rv. 196456).
Nel caso in esame, come per altro lo stesso ricorso ammette e come ha ritenuto la Corte territoriale, con motivazione corretta e priva di illogici manifeste, l’intenzione dell’imputato era quella di ‘salvare’ Meo RAGIONE_SOCIALE utilizzando le risorse di NOME, senza che quest’ultima ottenesse nulla in cambio, quindi con l’effettiva intenzione di condurla al fallimento.
Con tutto ciò il motivo in esame non si confronta e pertanto è aspecifico. Tanto più che la sentenza impugnata rende conto degli indici sintomatici della distrazione, riconducibili ai criteri fissati da questa Corte, che ha affermato che in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nell disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passiv rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 – dep. 01/08/2017, COGNOME e altro, Rv. 27076301)
Quanto al secondo motivo, anche in questo caso la Corte territoriale chiarisce che lo stato di decozione di NOME fosse percepibile per il valore negativo del patrimonio, che si cumulava anno dopo anno: da qui la natura non fondata dell’obiezione difensiva che sosteneva che il debito anno dopo anno andava a ridursi e che, quindi, vi era la possibilità di ‘salvare’ la società, poi falli Tale argomentare difensivo in modo non manifestamente illogico non è stato ritenuto decisivo, a fronte della situazione patrimoniale negativa in via crescente anno dopo anno.
E con tale argomento non si confronta il motivo impugNOME, né con la correttezza giuridica dello stesso.
E’ infatti vero che in tema di bancarotta semplice l’aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma primo, n. 4 e 224 legge fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l’aumento di alcune poste passive (Sez. 5, n. 27634 del 30/05/2019, Bernardi Rv. 276920 – 01 – nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l’attenzione
sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione).
Ma nel caso in esame il patrimonio negativo, accertato dalla Corte di appello, al 2013 risultava di 1.199.501,00 euro e la progressiva riduzione delle perdite, nel caso in esame, comunque ammontava per tale anno a circa 239mila euro.
Pertanto, il motivo è reiterativo di quello di appello e aspecifico, come il primo motivo, e comunque manifestamente infondato.
4. Il terzo motivo è fondato nei termini che seguono.
La doglianza contesta che la Corte di appello abbia posto in esseV un calcolo della pena in peius.
Va premesso che il primo giudice aveva già considerato la pena base per il delitto sub capo a) pari a anni tre e mesi sei di reclusione, aumentati per la continuazione per il capo c) di mesi tre di reclusione, quindi ad anni tre e mesi nove, pena ridotta per il rito abbreviato ad anni due e mesi sei di reclusione (il calcolo della pena si rinviene al fol. 6 della sentenza di primo grado).
Va da subito evidenziato che il primo giudice aveva però riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, senza considerare che in materia di bancarotta fallimentare sussiste la cd. continuazione fallimentare, ex art. 219, comma 2, n. 1 cod. pen.
Pertanto, la doglianza mossa con l’atto di appello, tesa al ridimensionamento della misura della pena, meritava una risposta, in quanto la pena come calcolata non teneva in conto che l’equivalenza delle circostanze attenuanti generiche doveva coinvolgere anche l’aggravante della cd. continuazione fallimentare.
Ne consegue che l’aumento di mesi tre di reclusione per la continuazione ordinaria, ridotto a due mesi per il rito abbreviato, va espunto dal trattamento sanzioNOMErio, cosicché la pena di anni due e mesi sei va ridimensionata ad anni due mesi e quattro di reclusione, il che incide anche sulla determinazione della pena accessoria definita per relationem.
Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza quanto al trattamento sanzioNOMErio e la declaratoria di inammissibilità nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzioNOMErio, rideterminando la pena in anni due e mesi quattro di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, 23/01/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente