Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15891 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15891 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Capriano del Colle (BS) il 14/03/1944 avverso la sentenza del 10/06/2024 della Corte d’appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le note difensive trasmesse, per l’imputato, dai suoi difensori, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente ex amministratori di fatto e di diritto della RAGIONE_SOCIALE, fallita il 26/06/2012, per i delitti di bancarotta fraudole distrattiva e documentale, ritenendo la pluralità di fatti di bancarotta e il danno d rilevante gravità. La Corte territoriale ha, tuttavia, rideterminato in 3 anni e 4 me la pena della reclusione e quelle accessorie ex art. 216 r.d. 267/1942, concesse agli imputati le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.
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Ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME Carlo.
2.1. Col primo motivo lamenta la violazione di legge e la nullità della sentenza impugnata. La difesa sostiene che la redazione delle motivazioni della sentenza da parte di un giudice onorario costituisca violazione degli artt. 9, 10, 11 e 12 del d.lgs. 116/2017 e comporti la nullità assoluta della sentenza ai sensi degli artt. 178 lett. a), 179 e 33, comma 1, cod. proc. pen.
In particolare, si sostiene che le menzionate disposizioni del d.lgs. 116/2017 consentano ai giudici onorari la trattazione di procedimenti di competenza del Tribunale ordinario, nei limiti e con le modalità di cui all’articolo 11 stesso d.lg escludendo, tra l’altro, i procedimenti diversi da quelli “a citazione diretta” di all’art. 550 cod. proc. pen. e stabiliscano i compiti che gli stessi possono svolgere all’interno dell’ufficio del processo, inclusa l’assistenza alla camera di consiglio ancora, la composizione dei collegi penali, ma non la possibilità di redigere le motivazioni delle sentenze emesse dagli stessi.
Sicché erroneamente la sentenza d’appello, non rientrando il presente processo tra quelli vietati ai giudici onorari dall’art. 12 d.lgs. 116/20 (precisamente in materia di riesame delle misure cautelari o di reati ex articolo 407, comma 2, lettera a, cod. proc. pen.), aveva rigettato l’eccezione del ricorrente.
Nessuna norma, per parte ricorrente, conferirebbe al giudice onorario il potere di redigere la sentenza di un collegio, essendogli solo consentita la mera partecipazione ad esso.
Tanto avrebbe comportato la violazione dell’art. 33 cod. proc. pen., secondo cui le condizioni di capacità del giudice sono stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario, con conseguente nullità della sentenza, atteso che le regole che limitano la competenza cognitiva del giudice onorario attengono alla sua capacità, non all’organizzazione giudiziaria, secondo pacifica giurisprudenza.
2.2. Col secondo motivo, la difesa di COGNOME contesta l’errata applicazione della legge penale in riferimento alla bancarotta patrimoniale fraudolenta per distrazione, per le seguenti ragioni.
La mancanza di documentazione contabile, commerciale e bancaria, come evidenziato dalla curatrice fallimentare nella sua relazione, impediva di comprendere la reale natura dei movimenti in uscita dai conti correnti della RAGIONE_SOCIALE sia sotto forma di prelievi che di bonifici.
Tuttavia, la sola prova dei movimenti in uscita non sarebbe sufficiente a qualificare un’operazione come distrattiva o con causale inesistente, senza prova circa la destinazione delle relative somme. A tal fine, insufficiente sarebbe
l’annotazione della polizia giudiziaria e quanto riferito dall’operante, che aveva ammesso di aver analizzato solo i movimenti in uscita (senza svolgere ulteriori accertamenti presso le società destinatarie dei fondi).
Tale incertezza avrebbe dovuto comportare l’assoluzione dell’imputato, a cui, in violazione del principio di presunzione di innocenza, la sentenza d’appello aveva invece imposto un onere probatorio improprio, circa la destinazione delle somme.
2.3. Col terzo motivo di ricorso, si contestano vizi di motivazione sempre in merito alla condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva, illogica e contraddittoria rispetto all’assoluzione per i pagamenti a favore della RAGIONE_SOCIALE la cui situazione era analoga agli altri per cui v’era stata condanna.
In particolare, mancava, anche per tali pagamenti, la documentazione contabile, le causali dei bonifici erano identiche alle altre e COGNOME NOME, olt ad essere stato amministratore della RAGIONE_SOCIALE, lo era stato anche della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello non avrebbe fornito alcuna motivazione per giustificare la disparità di valutazione.
2.4. Col quarto motivo di ricorso si contesta la sentenza – d’appello per vizi di motivazione in relazione alla condanna per la condotta distrattiva a favore della RAGIONE_SOCIALE beneficiaria di un pagamento di 25.000 euro da parte della fallita, con un vaglia del 31/12/2010.
La Corte d’Appello, con un ragionamento incomprensibile, avrebbe ritenuto che le sei fatture prodotte attestanti le sottese operazioni commerciali (la cui genuinità non era stata messa in dubbio) fossero inattendibili, sol perché v’era stato un unico vaglia postale, a fronte di sei distinte forniture.
2.5. Col quinto motivo di ricorso si contesta la sentenza d’appello per vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale relativo alla vicenda RAGIONE_SOCIALE
La difesa sottolinea che le operazioni con tale società riguardavano soggetti terzi non collegati a COGNOME e che i bonifici in questione erano stati effettuati 31/12/2010 al 27/1/2011 per un totale di 86.500 euro) allorché COGNOME NOME, figlio dell’imputato, al contrario di quanto ritenuto con la sentenza d’appello, non era ancora stato nominato amministratore della beneficiaria, essendolo divenuto successivamente (dall’1/6/2011 al 2/11/2011). Per tale ragione, in modo illogico era stata valorizzata la mancata produzione di documentazione inerente il rapporto, da parte di COGNOME rispetto ad una società a lui estranea e neppure gestita dal figlio, al momento in cui i bonifici erano stati effettuati.
2.6. Col sesto motivo si contestano vizi di motivazione essendo state
ingiustamente attribuite a COGNOME le condotte di COGNOME, sulla base della presunzione per cui, in quanto informato (senza che ciò fosse provato) di esse, le avrebbe volute pure lui.
Si assume fosse pacifico che COGNOME fosse stato l’unico a poter operare sui conti della fallita e ad aver disposto delle relative risorse. La circostanza che l gestione contabile fosse affidata a uno studio a cui COGNOME (forse) si rivolgeva, non significava nulla, in assenza di prova che detto studio lo informasse delle singole operazioni disposte da COGNOME.
2.7. Col settimo motivo, la difesa dell’imputato contesta specificamente il ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE attribuito a COGNOME NOME con un ragionamento contraddittorio, illogico e travisando le prove.
La Corte d’Appello non avrebbe creduto al ruolo di mero finanziatore della fallita (tramite la RAGIONE_SOCIALE, privo di poteri gestori, allegato da COGNOME circostanze valorizzate dalla Corte per confutare la versione di COGNOME sarebbero, però, per parte ricorrente, insufficienti e, in alcuni casi, illogiche, in quanto:
-egli aveva ben chiarito il rapporto tra le due società nei detti termini;
-lo spostamento della sede sociale della RAGIONE_SOCIALE dove avevano sede altre società a lui ritenute riferibili era privo di significa concreto e non provava la sua ingerenza nella gestione della fallita;
-la partecipazione di COGNOME alla riunione in cui si era discusso della scissione societaria era risalente nel tempo (essendo avvenuta nel 2006) e non era stata seguita da alcuna continuità gestoria, da parte dell’imputato, tale da giustificare l’attribuzione a questi del ruolo di amministratore di fatto;
-erano state travisate le dichiarazioni rese da COGNOME NOME al curatore fallimentare, essendosi lo stesso limitato a dire di non esser stato l’amministratore di fatto della fallita, che la RAGIONE_SOCIALE avess finanziato la medesima e che l’imputato venisse in azienda settimanalmente, impartendo ordini in merito alle registrazioni contabili.
Per contro, la difesa lamenta che la Corte d’appello non abbia adeguatamente considerato elementi a favore di COGNOME, quali:
-la relazione ex art. 33 r.d. 267/1942, che individuava COGNOME come il dominus della fallita e la RAGIONE_SOCIALE come sua mera finanziatrice;
-le dichiarazioni del personale di RAGIONE_SOCIALE che avevano indicato COGNOME come il reale titolare della società.
2.8. Con tre ulteriori motivi, parte ricorrente contesta vizi di motivazione i relazione alla condanna per bancarotta fraudolenta documentale e la carente motivazione in relazione alla dedotta, in appello, sovrapposizione delle due ipotesi di bancarotta documentale, per omessa tenuta e irregolare tenuta.
La difesa assume di aver dedotto che, per aversi bancarotta documentale per tenuta irregolare, sarebbe stato necessario che vi fosse stata effettivamente una tenuta, seppur irregolare, dei libri contabili e che, sulla loro base, la curatel non fosse stata in grado di ricostruire il patrimonio e i movimenti di affari. E si dic pure che, invece, per l’ipotesi di mancanza ed omessa tenuta delle scritture contabili, sarebbe stata necessaria la dimostrazione anche del dolo specifico.
La Corte distrettuale, tuttavia, non si sarebbe confrontata con tali argomenti.
Lamenta, poi, la contraddittorietà e illogicità della motivazione, laddove la Corte d’Appello aveva ribaltato il quadro probatorio delineato dal Tribunale, il quale aveva affermato l’omessa tenuta della contabilità. Al contrario, la Corte d’Appello avrebbe sostenuto che la contabilità fosse “fino ad un certo punto certamente esistente”. Tale cambio di scenario fattuale sarebbe avvenuto senza alcuna considerazione dei motivi d’appello sugli elementi oggettivo e soggettivo del reato.
Si contesta, inoltre, che la Corte abbia fondato la responsabilità di COGNOME sul presupposto, non provato, che egli avesse il controllo della contabilità e che non l’avesse messa a disposizione degli organi del fallimento: laddove il curatore non aveva mai nemmeno convocato COGNOME.
La difesa argomenta che entrambe le sentenze di merito, pur nella diversità delle ricostruzioni, abbiano errato nell’applicazione della legge penale.
Il Tribunale avrebbe sbagliato nel ritenere che l’omessa tenuta configuri una delle ipotesi di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, r.d. 267/1942 contestate.
La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che la mancata consegna configuri un’ipotesi di bancarotta documentale fraudolenta, potenzialmente riconducibile alla sottrazione della contabilità. E, in ogni caso, sarebbe stato necessario dimostrare sia la sottrazione che il dolo specifico, ciò che non era accaduto.
2.9. Con due ultime censure, parte ricorrente si duole dell’omessa motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della dedotta “aggravante” dei più fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e dell’aggravante del danno di rilevante gravità. La Corte d’appello avrebbe ridotto la pena irrogata, omettendo qualsiasi motivazione rispetto alle doglianze in merito formulate con l’appello.
Infine, senza motivazione sarebbe anche il giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti generiche ed aggravanti, apodittico essendo il riferimento alla pesante fedina penale, senza ulteriori specificazioni.
Sono pervenute due note difensive, da parte ricorrente, mentre il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per diversi profili inammissibile, è nel complesso fondato limitatamente alle censure mosse alla circostanza aggravante ex art. 219 comma 1 r.d. 267/1942, su cui va disposto l’annullamento con rinvio per una nuova valutazione.
La prima censura (nullità della sentenza impugnata per essere le sue motivazioni state redatte da un giudice onorario) è infondata.
È stato più volte affermato il principio, qui condiviso, secondo cui: «Il divieto non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen introdotto dall’art. 12 d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, determina una limitazione alla capacità del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado procedimento» (Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, Rv. 285112-01; in materia similare – il divieto di comporre i collegi del Tribunale del riesame – si vedano Sez. 4, n. 26805 del 29/05/2024, Rv. 286678-01 e Sez. 3, n. 9076 del 21/01/2020, Rv. 279942-01; si confronti pure, in relazione alla nullità determinata dall’assegnazione della trattazione di un processo ad un giudice onorario, in violazione del divieto ex art. 11, comma 6, lett. b, n. 1, d.lgs.116/2017, Sez. 3, n. 44962 del 17/10/2024, Rv. 287295-01).
Tuttavia, come correttamente già rilevato dalla Corte territoriale, l’art. 12 116/2017 – che è la disposizione che disciplina specificamente «la destinazione dei giudici onorari di pace nei collegi civili e penali» (come recita la rubrica laddove le altre si occupano delle ulteriori attribuzioni (quale giudice monocratico o componente l’ufficio del processo) – si limita a prevedere che tali giudici non possano essere destinati, per il settore penale, a comporre i collegi del Tribunale del riesame e quelli destinati a decidere i reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen.: casi non ricorrenti, nella specie.
Tale disposizione, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, non pone, però, limiti di compiti o funzioni per chi venga a comporre il collegio penale del Tribunale al di fuori delle dette ipotesi in cui ciò è vietato: e sarebbe davver singolare che un giudice che, a pieno titolo, decida le sorti di un processo (facendo parte del relativo collegio e contribuendo a formarne la volontà), non abbia, poi, il potere di redigere le motivazioni della relativa sentenza, senza un espresso divieto in tal senso.
Del resto, tanto si evince dal tenore del menzionato art. 12, che, una volta che si verifichino le condizioni (di scopertura di organico o durata dei processi o arretrato) indicate dall’art. 11, comma 1, stesso d.lgs., stabilisce che: «Ai giudic onorari di pace destinati a comporre i collegi possono essere assegnati esclusivamente procedimenti pendenti a tale scadenza» (ovvero dodici mesi dal verificarsi delle condizioni abilitanti il loro utilizzo). La norma, nel distingue «comporre» il collegio dalla «assegnazione» dei procedimenti, per tabulas rende palese ciò che già risulta implicito, come detto, nella mancanza di qualsivoglia divieto in merito: ovvero che il giudice onorario non deve limitarsi (come sostiene il ricorrente) a comporre il collegio, ma può essere anche “assegnatario” (evidentemente, per la relazione al collegio e la redazione delle ragioni della decisione) dei fascicoli.
I motivi dal secondo al decimo, tutti volti a contestare le responsabilità per le due ipotesi di bancarotta contestate, distrattiva e documentale, sono inammissibili.
3.1. È noto che sia radicalmente tale ogni censura che si risolva in doglianze in fatto che sottopongano al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove raccolte. Tanto esula dal novero dei vizi deducibili ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.: salvo non emergano omissioni, contraddizioni o illogicità manifeste.
Queste ultime, in quanto «manifeste», devono essere tali da apparire di lapalissiana evidenza per esser la motivazione fondata su congetture implausibili o per avere la stessa trascurato dati di superiore valenza (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01): tanto più nel caso di decisioni di merito conformi, che, come noto, si saldano tra loro in un unicum motivazionale da valutare nel suo complesso (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01).
In estrema ed efficace sintesi, «la manifesta illogicità della motivazione, prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza» (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02), essendo, per contro, «inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta,
così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spes della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747-01; così pure Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965-01).
3.2. Nella specie, fuori dai detti limiti, si contrappongono una diversa e parcellizzata lettura delle prove, nonché l’esasperazione di ipotetiche (perché neppure sorrette dall’integrale trascrizione o allegazione o indicazione di specifica allocazione di tutti i dati asseritamente travisati, come avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità: Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, Rv. 280384-01 e Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071-01) e, comunque, poco significative incongruenze.
Trattasi di una non consentita, in questa sede, istanza di rivalutazione del materiale probatorio finalizzata a una rivisitazione del giudizio di merito con cui, in modo razionale ed esaustivo, e, comunque, non manifestamente illogico e non contraddittorio, s’è ritenuto che non fosse credibile che l’imputato non si fosse ingerito nelle scelte di gestione della fallita, limitandosi a finanziarla.
Ciò in quanto, come rammenta il provvedimento impugnato:
a detta dell’imputato medesimo l’attività di finanziamento avrebbe avuto inizio addirittura 6-7 anni prima del fallimento, epoca precedente alla gestione societaria coinvolta nelle contestazioni;
lo stesso imputato aveva affermato la sua (teorica) prudenza e notevole ingerenza, prima di concedere finanziamenti ad altre società, verificando la loro solvibilità, chi le amministrasse realmente, controllandone attività e contabilità;
non era stato chiarito come mai, per parlare di vicende inerenti la fallita, l’imputato si fosse rapportato col COGNOME (come riferito dall’impiegata amministrativa, COGNOME NOMECOGNOME, che non era il suo amministratore;
la contabilità della fallita era stata trasferita presso lo stes commercialista che seguiva altre società riferibili al ricorrente, mentre la sua sede sociale era stata trasferita (nel corso dell’amministrazione di COGNOME) a Milano, INDIRIZZO ove avevano sede anche tutte le altre società riferibili alla famiglia COGNOME;
l’imputato risultava assai più assiduamente presente, presso la sede della fallita, a detta degli stessi impiegati, rispetto all’amministratore COGNOME;
COGNOME era stato presente alla riunione in cui egli stesso e COGNOME (in assenza di COGNOME) avevano illustrato alle maestranze il piano e gli effetti della scissione della società, operazione che aveva determinato “la materiale spoliazione della fallita di tutti gli asset attivi ed il suo
affossamento, essendole stati lasciati la maggior parte delle passività (ben 6 milioni di debiti emersi pur in assenza totale delle scritture sociali) oltr che i pagamenti degli emolumenti, contabilizzati da RAGIONE_SOCIALE, dei 17 dipendenti che in realtà erano stati comandati ad operare presso la newco RAGIONE_SOCIALE debiti poi entrati a far parte della massa passiva” (pagina 15 sentenza d’appello).
In modo per nulla carente o affetto da illogicità manifeste, la Corte d’appello ha confermato l’ingerenza nelle vicende della fallita da parte dell’imputato, che aveva, al riguardo, collaborato con COGNOME e COGNOME nella sua co-gestione.
Quanto al concorso nelle distrazioni, la sentenza d’appello rimarca due ulteriori elementi:
da un lato, solo a seguito di indagini della Guardia di Finanza era emerso che da uno dei tre conti correnti sociali “occulti” della fallita (la esistenza era stata accuratamente taciuta alla curatela), quello acceso presso Poste Italiane, v’era stata una serie di bonifici in favore di società riferibili all’imputato e, per giunta, aventi la stesse sede legale e seguit dal medesimo studio di contabilità di altre società (quali la RAGIONE_SOCIALE, definita la “finanziaria di famiglia”) gestite direttamente dall’imputato;
dall’altro lato, questi – aveva il controllo (come da lui stesso affermato) della contabilità della fallita, la cui gestione, come detto, era stat trasferita presso il medesimo commercialista che seguiva le società certamente a lui riferibili, e, ciononostante, o non aveva allegato documenti contabili giustificativi dei bonifici effettuati dalla medesima fallita (come accaduto per gli 86.000,00 euro versati a RAGIONE_SOCIALE) o ne aveva prodotto alcuni incongrui (come ritenuto dalla Corte d’appello per le 6 fatture ad asserita giustificazione di operazioni atte a coprire l’esborso di C 25.000,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE posto che, nonostante si fosse trattato di molteplici forniture in tempi diversi, l stesse erano state pagate con un unico vaglia in data 31/12/2010).
Correttamente la Corte d’appello ha valorizzato, altresì, l’omessa spiegazione, da parte dell’imputato, dei trasferimenti di denaro.
Infatti, la sua dettagliata conoscenza (al fine di sapere – a suo dire – qual fossero le condizioni economiche della società da lui finanziata) della contabilità societaria e lo spostamento della sua gestione presso gli stessi professionisti che già si occupavano delle altre società della famiglia COGNOME, rendevano ancor più significativo il fatto che egli non potesse produrre alcuna documentazione in relazione ai pagamenti contestati: ciò che avvalorava la conclusione non solo circa la loro natura distrattiva, ma anche circa la sua piena consapevolezza dei
movimenti in uscita, ove pure effettuati a firma di COGNOME.
Del resto, sarebbe logicamente incongrua l’opposta valutazione: ovvero pensare che chi, senza farlo professionalmente, finanzi una data società, non si curi per nulla di accertare che questa non disperda le sue risorse illecitamente.
Tali dati hanno fatto concludere la Corte d’appello nel senso che non potesse trattarsi di mere “coincidenze” prive di rilievo, come definite nell’atto d’appello.
Tanto non comporta alcuna inversione dell’onere della prova, essendo noto che, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni o delle risorse della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione (Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, dep. 2022, Rv. 282643-01 e Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204-01).
Nella specie, l’assenza di qualsivoglia giustificazione dei menzionati passaggi e la costante sottrazione alla fallita delle sole utilità, trasferite ad altre soc ferme restando, in capo ad essa, le passività, sono stati ritenuti, in modo niente affatto illogico, elementi idonei a dimostrare la natura distrattiva delle operazioni poste in essere, volte a depauperare il patrimonio della detta fallita, sottraendolo allo scopo suo proprio (di garanzia delle pretese creditorie).
Non appare decisiva, in senso opposto, l’assoluzione per le operazioni in uscita a favore della RAGIONE_SOCIALE atteso che la stessa è stata disposta dal Tribunale sia per essere stati prodotti bonifici con causali esistenti e non smentite da altri dati istruttori, sia per la non riconducibilità della de beneficiaria all’imputato: dati su cui non risultano lamentati travisamenti di prova.
E, in ogni caso, la (eventuale) “ingiustificata” assoluzione per tali pagamenti, non implicherebbe la necessità di procedere allo stesso modo per gli altri contestati, a fronte del compendio probatorio su cui la motivazione della condanna si fonda.
Né manifestamente illogico appare l’aver confermato – sulla base della singolarità di un unico pagamento a fronte di sei distinte ipotetiche commesse, in un quadro di sostanziale inesistenza della quasi integralità della contabilità degli ultimi anni, e, soprattutto, nell’ambito del più vasto programma di spoliazione ai danni della fallita, di cui COGNOME era amministratore di fatto, essendolo di dir pure della beneficiaria dei pagamenti – la condanna per la contestazione inerente la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEr.RAGIONE_SOCIALE: della cui natura e causale, peraltro, nulla viene addotto.
A fronte dei menzionati dati, poi, privo di rilievo, circa le distrazioni di cu stata ritenuta beneficiaria la RAGIONE_SOCIALE è che detta società sia stata amministrata dal figlio dell’imputato, COGNOME NOME, circa quattro mesi dopo (dall’1/6/2011) l’ultimo dei bonifici di cui si tratta (in data 27/1/2011):
essendo venuti meno gli ulteriori suddetti logici argomenti per i quali è stata ritenuta raggiunta la prova delle dette distrazioni e, confermando, a ben vedere, l’assunzione di detta carica a esigua distanza temporale dai detti bonifici, l’ingerenza dello COGNOME nelle sorti anche di detta RAGIONE_SOCIALE
E, sempre in base ai detti dati, appare del tutto ininfluente che vi fosse un unico soggetto formalmente abilitato a operare sui conti della fallita (il COGNOME) laddove, per contro, è, per quanto detto, emerso chiaramente che a decidere le sorti della società (sin dalla scissione “spoliativa” sopra ricordata) era stat (anche) l’odierno ricorrente.
Ed ancora, che anche il COGNOME fosse coinvolto nella gestione della detta fallita, non si vede come potrebbe far ritenere viziata la motivazione dei giudici del merito laddove attribuiscono analogo ruolo anche a COGNOME: laddove le parole del COGNOME (sui finanziamenti di COGNOME alla fallita e sulla sua presenza settimanale per impartire ordini in merito alle registrazioni contabili: che solo chi ben addentro alla vita di una compagine societaria potrebbe dare) sono state ritenute, sempre in modo per nulla privo di logica, conferme del complessivo quadro accusatorio a carico del ricorrente.
3.3. Proprio quanto detto sulle sue ingerenze nella gestione contabile della fallita, l’imputato è stato correttamente ritenuto corresponsabile pure della bancarotta fraudolenta documentale.
Infatti, come rimarcato dalla sentenza d’appello, nonostante avesse il controllo della contabilità sociale (certamente esistente, fino a un certo punto, “in quanto utilizzata per la compilazione dei vivi bilanci depositati”: pagina 16 sentenza d’appello), egli non si è mai peritato di porla a disposizione degli organi del fallimento o di produrla in giudizio, se non limitatamente alle 6 fatture gi citate.
Da ciò correttamente essendosi desunto il suo coinvolgimento anche nella bancarotta fraudolenta documentale.
Ancora una volta, la motivazione non appare in alcun modo illogica, carente o contraddittoria, correlando la mancata consegna della documentazione contabile ed il suo controllo, da parte del ricorrente, alla circostanza che lo stesso fosse certamente responsabile anche delle distrazioni poste in essere ai danni della medesima fallita.
Con tali affermazioni, peraltro, la Corte d’appello sì è conformata ai pacifici principi di diritto di seguito specificati.
Quanto alla circostanza che la documentazione contabile, fino a un certo punto, fosse stata tenuta, ciò non toglie il suo quasi integrale occultamento agli organi del fallimento e la corretta qualificazione in termini di sua “mancanza”.
Al riguardo, come si desume dalla norma (che parla di sottrazione, distruzione o falsificazione, “in tutto o in parte” dei libri o delle altre scritture contabili), anche la parziale carenza di documentazione integra la fattispecie di cui alla prima parte dell’articolo 216, comma 1, n. 2, r.d. 267/1942.
Tanto, peraltro, è stato di recente ribadito da questa Corte: «… non è necessario che detta omissione annotativa sia perdurata per tutta la vita dell’impresa, né che essa riguardi tutte le scritture contabili, ben potendo essere parziale, sia in riferimento all’oggetto che in riferimento allo sviluppo, potendo essa manifestarsi sia in senso diacronico che sincronico. Ciò, peraltro, emerge inequivocabilmente dal testo della disposizione normativa, che chiarisce come la condotta riguarda “…in tutto o in parte …” le scritture contabili, potendo, qui manifestarsi attraverso la radicale carenza di tutte o di parte delle scritture e de libri contabili e non in una loro tenuta lacunosa, connotata da omissioni annotative, come già detto in precedenza. Si è, inoltre, spiegato, ad ulteriore individuazione del discrimine tra le due fattispecie delineate dalla disposizione di cui all’art. 21 comma 1, n. 2, legge fallimentare, che la t * /{10L« ‘Venuta delle scritture, a dolo generico, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Rv. 284677-02, in motivazione).
Nella specie, tuttavia, come detto, la Corte d’appello ha correttamente (e conformemente all’accusa) rilevato (non la fraudolenta tenuta delle scritture consegnate, bensì) la quasi totale inesistenza della documentazione contabile pervenuta al fallimento.
È pacifico che la fattispecie di occultamento, omessa tenuta o distruzione delle scritture contabili richieda il «fine di recare pregiudizio ai creditori procurare a sé o altri un ingiusto profitto» (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304-01, in motivazione; Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Rv. 274630-01). Tale fine può essere desunto anche dalle provate condotte distrattive ai danni della fallita, la cui destinazione resti incerta proprio per la mancat consegna della contabilità, specie se protrattasi nel tempo e comportante un’ingente esposizione debitoria finale (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304-01; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Rv. 279179-01; Sez. 5, n. 47762 del 16/12/2022, non nnassimata).
Nella specie è stato rilevato che sia rimasta oscura la ragione dei passaggi di denaro ad altre società, che, per quanto accertato in modo logico (e qui non sindacabile) dai giudici di merito, erano comunque riconducibili all’imputato.
3.4. Dunque, la coordinata lettura delle condotte poste in essere – volte, da un lato, alla mancata consegna agli organi fallimentari della quasi integralità delle
scritture contabili della fallita e alla conseguente impossibilità di ricostrui tramite esse, le (eventuali) ragioni sottese ai trasferimenti disposti a detrimento del suo patrimonio, e, dall’altro lato, al trasferimento, senza alcuna plausibile e legittima giustificazione, di parte rilevante dell’attivo, come aliunde accertato, in mancanza di dette scritture – è stata, in modo del tutto logico, ritenuta dalla Corte territoriale conferma della sussistenza di tutti gli elementi, oggettivi e soggettiv delle fattispecie criminose contestate.
3.5. E neppure di travisamento della prova può, qui, parlarsi.
Tale vizio è insito nella mancata valutazione di una prova esistente (travisamento per omissione) o nell’utilizzazione di una prova inesistente (travisamento per invenzione) o esistente, ma con erronea percezione del suo oggettivo “significante” (travisamento delle risultanze probatorie): sempre che, per giunta, detto travisamento sia decisivo. «In questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini de decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Invero il vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verific dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605)» (così Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370-01, in motivazione).
Nella specie, non vi sono prove, inequivocabilmente decisive nel sovvertire la decisione impugnata, che, inesistenti, risultino utilizzate o, esistent pretermesse o valutate in modo difforme dal loro oggettivo “significante”.
Per contro, come anticipato, parte ricorrente, per lo più in base a prove riportate in modo parziale (e, dunque, ex se inammissibile: Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, Rv. 280384-01 e Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071-01), si limita ad allegare una diversa interpretazione del compendio probatorio, rispetto a quella operata in sede di merito: chiedendone, semplicemente, una difforme valutazione, inibita in questa sede.
Le ultime due doglianze, circa l’omessa motivazione in relazione alla cosiddetta continuazione fallimentare per la pluralità di fatti di bancarotta all’aggravante del danno di rilevante gravità, ed ancora circa l’immotivata determinazione del trattamento sanzionatorio e del bilanciamento operato, sono fondate nei termini che seguono.
Sulla pluralità dei fatti di bancarotta, che configura una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665-01), non si vede cos’altro avrebbe potuto affermare il giudice d’appello: a fronte della lapalissiana oggettività del dato.
Diverso discorso merita, invece, la questione sollevata con riferimento all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, che va commisurata, anzitutto, al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale (in tal senso Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009, Rv. 245822-01 e Sez. 1, n. 28009 del 10/04/2024, Rv. 286675-01), anche se non rappresenti una frazione rilevante del passivo, ed inoltre al danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, deve essere di entità altrettanto grave (Sez. 5 n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274-01; Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, Rv. 217403-01): quindi, evidentemente, a quale sia il reale pregiudizio determinatosi in concreto per le ragioni creditorie. Diversamente, infatti, si «priverebbe la circostanza di cui all’art. 219, primo comma, I. fall. della sua connotazione di fattispecie di danno e non di pericolo» (così ancora Sez. 5 n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274-01, in motivazione).
Trattasi, peraltro, di circostanza che va verificata da parte del giudice del merito, non essendo desumibile, in modo, per così dire, “oggettivo” in ragione del valore dei beni sottratti e dei crediti rimasti insoddisfatti. Tanto che è sta rimarcato che la stessa non possa essere desunta dal capo d’imputazione, in assenza di una specifica indicazione da cui si comprenda che l’aggravante è stata contestata, non essendo a ciò sufficiente né la mera indicazione delle somme oggetto di distrazione, ancorché di importo elevato, né la generica menzione dell’art. 219 r.d. 267/1942, quando non sia precisato il riferimento al comma primo di tale articolo (Sez. 5, n. 34116 del 06/05/2019, Rv. 277300-02).
Nella specie, con esplicita censura formulata con l’appello (a pagina 24), la difesa dell’imputato lamentava che il Tribunale avesse ritenuto la detta aggravante identificandola nell’intero passivo fallimentare della società: riferimento, pe quanto detto, inidoneo allo scopo.
Ne consegue che, sul punto, va disposto l’annullamento con rinvio per una nuova valutazione.
Restano assorbite le ulteriori doglianze inerenti il trattamento sanzionatorio, nonché la questione dell’eventuale estinzione per prescrizione dei delitti, con declaratoria sollecitata a questa Corte dalla difesa in una delle due note depositate: questione che, naturalmente, resta subordinata alla valutazione che il giudice del rinvio dovrà operare in relazione alla sussistenza o meno dell’aggravante di cui
all’art. 219, comma 1, r.d. 267/1942.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante ex ar
219 comma 1 I. fall., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Cort appello di Milano. Rigetta nel resto.
Così è deciso, 12/02/2025
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
Il Presidente
NOME COGNOME
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