Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2351 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2351 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 20/08/1948
avverso la sentenza del 16/01/2024 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sost Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata emessa 16 gennaio 2024 dalla Corte di appello di Catanzaro, che ha confermato la decisione del Tribunale di Paola che aveva condannato NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE” dichiarato con sentenza del Tribunale di Paola del 21 marzo 2012, società di cui COGNOME era amministratore unico.
L’imputato ha presentato ricorso a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso è suddiviso in due sezioni.
Nella prima, il ricorrente lamenta la nullità del decreto di citazione a giudizi per l’appello, siccome quest’ultimo non conteneva la specificazione di cui all’art. 601, comma 2 cod. proc. pen. – cioè l’avvertenza che si sarebbe proceduto in camera di consiglio o in pubblica udienza – né l’avviso ex art. 601, comma 3, cod. proc. pen. – vale a dire che si sarebbe eventualmente proceduto in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, con facoltà dell’appellante di formulare istanza di partecipazione. Il decreto notificato all’imputato conteneva, infatti, solo l’indicazione che questi era citato «”per comparire all’udienza di questa seconda sezione”, fissata per il giorno 16/01/2024 ore 9.30».
Il medesimo motivo prosegue – pur non articolando alcuna espressa censura tra quelle di cui all’art. 606 cod. proc. pen. – con un’illustrazione, densa di elementi di fatto, delle ragioni difensive, in particolare quanto alla vetust degli automezzi che costituivano il compendio aziendale della fallita reputato distratto, alla destinazione delle somme incassate a soddisfare i creditori sociali ed al pareggio tra crediti e debiti.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al giudizio di colpevolezza in ordine alla bancarotta fraudolenta distrattiva.
La Corte distrettuale – sostiene il ricorrente – avrebbe travisato il dato probatorio, omettendo di dimostrare che i beni erano stati venduti a un prezzo inferiore al loro valore reale e trascurando tutta la documentazione prodotta, comprovante la circostanza che la contropartita era servita ad appianare situazioni debitorie della società. La Corte di appello – prosegue la parte avrebbe confuso l’elemento oggettivo del reato con quello soggettivo, mentre NOME aveva tentato di porre rimedio alla situazione debitoria e di recuperare i crediti, in particolare quello verso BNL. Al più a Reda poteva addebitarsi di aver preferito alcuni creditori ad altri, donde sarebbe stata possibile una derubricazione in bancarotta preferenziale.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al dolo della bancarotta fraudolenta documentale.
Nell’appello – sostiene il ricorrente – era stato precisato che parte della documentazione era andata smarrita e che quella successiva al 2009 non era stata tenuta per mancanza di fondi per pagare il consulente. La Corte di appello ha svalutato il dato dello smarrimento delle scritture contabili degli anni 2006 e 2007, ritenendolo falso e funzionale ad occultare l’inesistenza del corrispettivo della cessione. Al più – si legge nel ricorso – era emersa una condotta
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negligente, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 217, comma 2, legge fall tema sviluppato in un motivo di appello tuttavia negletto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso – che lamenta la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’appello, per assenza delle indicazioni di cui agli artt. 601, comma 2 e comma 3, cod. proc. pen. – è infondato per varie, concorrenti ragioni.
1.1. Innanzitutto la censura patisce un primo, grave limite, ossia quello di fare riferimento ad un testo normativo che non era ancora applicabile al tempo in cui il decreto di citazione per il giudizio di appello e stato efilebSO (3 agosto 2023). Il ricorrente, infatti, pone evidentemente a base della doglianza il testo dei commi 2 e 3 dell’art. 601 cod. proc. pen. come modificati dal d.lgs 150 del 2022, sostenendo che il decreto avrebbe dovuto contenere la «menzione» delle «modalità decisorie dell’appello stesso ovvero pubblica udienza o con le forme previste dall’art. 127 cpp come sancito dal comma 2 dell’art. 601 cpp» e l’«avviso che si sarebbe eventualmente proceduto con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti ex art. 601, co.3 cpp, con facoltà per l’appellante o in ogni caso per l’imputato di formulare istanza di partecipazione».
Ebbene, tale disciplina, ai sensi dell’art. 94, comma 2, del d.lgs 150 cit. e delle sue successive modifiche, si applica solo alle impugnazioni presentate a far data dal primo luglio 2024; tale comma recita, infatti, che «2. Per le impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».
Conforto indiretto alla conclusione circa l’ambito temporale della nuova disciplina sembra possa essere ricavato anche dall’informazione provvisoria della decisione delle Sezioni Unite del 27 giugno 2024, secondo cui la previsione dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile agli atti d’impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024.
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Al decreto di citazione emesso nella fase di appello si applicava, dunque, la normativa emergenziale, nella specie quella prevista dall’art. 23-bis del decretolegge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che al suo interno – come meglio si dirà nel prosieguo – non prevede alcuno degli avvisi oggi inseriti dal legislatore della novella nell’art. 601 cod. proc. pen.
1.2. Fatta questa precisazione e nonostante la doglianza del ricorrente sia fuori fuoco per le ragioni anzidette, occorre comunque porsi il problema dell’eventuale incidenza, pur nel quadro della normativa ennergenziale applicabile, della mancata indicazione, nel decreto di citazione in appello, della trattazione cartolare e dell’eventualità, alle condizioni di legge, della trattazio orale.
Ebbene a questo riguardo vale la pena di ricordare e ribadire la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, sviluppatasi sulla disposizione del rito emergenziale, secondo cui la mancata indicazione delle disposizioni speciali e delle prerogative partecipative a queste ultime collegate all’interno del decreto di citazione non è causa di nullità (Sez. 2, n. 23587 del 01/03/2023, COGNOME, Rv. 284658 – 01; Sez. 6, n. 14728 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283179 – 01; Sez. 2, n. 45188 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282438-01).
L’esegesi in parola muove dalla constatazione che, per i procedimenti a cui si applica la normativa dell’era Covid, la disciplina della vocatio in iudicium per il giudizio di appello è regolata dal combinato disposto degli artt. 23-bis cit. e 601, cod. proc. pen. (naturalmente nel dettato ante Cartabia). Il percorso tracciato dalla combinazione della legislazione speciale e di quella codicistica prevede – in forza dell’art. 23-bis cit. che, al di fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado, la Corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire; la normativa emergenziale non ha, invece, inciso sulle modalità della vocatio in iudicium che, nel rito ordinario dinanzi alla Corte di appello, continua ad essere regolata dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., alla cui stregua il decreto di citazione per il giudizio d’appello deve contenere i requisiti di cui all’art. 429, comma 1 lett. a) (generalità dell’imputato); (l’indicazione del giorno, del luogo e dell’ora della comparizione) e g) (la data e la sottoscrizione del giudice e dell’ausiliario che l’assiste) nonché l’indicazione del giudice competente; nulla è previsto in termini di avvisi circa la trattazione cartolare e le modalità di transizione alla trattazione orale.
Ebbene, va condivisa la considerazione dei precedenti evocati, secondo cui nel quadro sopra tracciato, la formulazione del decreto di citazione secondo il modello classico, mantenuto in vita dal legislatore dell’epidemia, non determina alcuna nullità, sia perché risponde ad un modello legale predefinito ed ancora applicabile nell’ambito del quale, in definitiva, il luogo e la data di udienza riferiscono al luogo e al giorno in cui il Collegio si riunirà ed avverrà deliberazione, data a cui collegare l’esercizio della prerogative della parte; sia perché la nullità oggi lamentata dall’imputato non è contemplata dall’art. 601, comma 6, cod. proc. pen., che disciplina le cause di nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello. A quest’ultimo riguardo, si osserva che tale disposizione non connette alcuna patologia processuale all’omesso avvertimento all’imputato della celebrazione del giudizio con rito camerale non partecipato ai sensi dell’art. 23-bis cit., ma collega la nullità del decreto solo alla mancata individuazione certa dell’imputato ovvero alla mancata o insufficiente indicazione di uno dei requisiti previsti dall’art. 429, comma 1, lett. f), cioè il luogo, il g e l’ora della comparizione. Il principio della tassatività delle nullità di cui al 177 cod. proc. pen., infatti, impedirebbe di attribuire rilevanza invalidante ad un difetto del decreto non testualmente previsto come nullità speciale e – si aggiunge – non riconducibile neanche ad una nullità generale ex art. 178 cod. proc. pen. dal momento che l’anomalia lamentata non concerne l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato, che, nella fase di cui si discute, è obbligatoriamente assistito da un difensore, professionista che conosce la disciplina processuale applicabile e, quindi, sa che il paradigma procedurale è quello camerale, con la facoltà per la parte di richiedere la trattazione classica in presenza, facoltà che, a riprova della centralità del ruolo della difesa tecnica, i difensore è il solo legittimato ad esercitare (oltre al pubblico ministero). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3. Si aggiunge – solo per completezza – che tale ragionamento varrebbe anche laddove fosse applicabile la nuova disciplina invocata dal ricorrente, dal momento che il legislatore, pur avendo previsto l’inserimento degli avvisi di cui sopra nel decreto, ha lasciato inalterata la previsione delle nullità special collegate al decreto di citazione (cfr. art. 601, comma 6, cod. proc. pen. nel testo post d.lgs. 150 del 2022).
1.4. Per il resto la censura contenuta nel motivo in esame è inammissibile giacché, senza peraltro accennare ad uno dei vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., si diffonde in considerazioni di fatto che non possono trovare sede nel giudizio di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile siccome integralmente reiterativo di doglianze sviluppate nell’atto di appello e esaurientemente
affrontate dalla Corte di appello, che ha dato atto di come la vendita oggetto dell’imputazione avesse compromesso radicalmente il patrimonio sociale e le possibilità operative della società e fosse stata realizzata in frode ai creditori conclusione che ha tratto da numerosi indicatori di fraudolenza. La cessione di azienda, infatti, era avvenuta a beneficio di una società creata ad hoc tra i figli dell’imputato ed avente sede nello stesso sito della fallita e, soprattutto, essa non solo era stata pattuita ad un prezzo vile, ma non aveva proprio visto contropartita, in quanto non vi era traccia dei pagamenti, la documentazione contabile della fallita dove essi avrebbero dovuto comparire era stata denunziata smarrita e la contabile della cessionaria prodotta a riprova del pagamento riportava dati anomali – si pensi alla sequenza delle registrazioni – e in contrasto con le modalità del pagamento risultanti dalla scrittura privata che attestava la cessione. Quest’ultima, inoltre, aveva riguardato solo le immobilizzazioni materiali e immateriali, ad esclusione dei debiti e dei contratti in essere e, nei fatti, aveva privato del tutto la fallita di ogni strumento p proseguire l’attività imprenditoriale.
Quanto alla documentazione prodotta, la Corte distrettuale ha avuto cura di smentirne analiticamente la valenza difensiva, evidenziando come essa dimostrasse, anzi, che la fallita soffrisse da tempo di un cospicuo indebitamento che non riusciva a fronteggiare, epilogo positivo del tutto escluso dalla cessione dell’azienda e, quindi, dalla conseguente impossibilità di proseguire l’attività tipica.
Ebbene, di fronte a questo assetto argonnentativo, il ricorrente non fa altro che ribadire integralmente le doglianze che già aveva prospettato nell’atto di appello, formulando così censure prive del necessario requisito della specificità oltre che versate in fatto; si tratta, in definitiva, di doglianze soltanto apparen in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608 ; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838).
Analoga sorte deve avere il ricorso quanto alle doglianze concernenti la bancarotta fraudolenta documentale, giacché l’impugnativa è marcatamente aspecifica siccome priva del benché minimo confronto con la sentenza impugnata, che ha razionalmente tratto dalla precisa coincidenza delle scritture contabili mancanti con quelle necessarie per la ricostruzione dell’operazione distrattiva la dimostrazione logica che si trattasse di una sottrazione voluta e che la denunzia di smarrimento fosse falsa; peraltro segnalando un dato estremamente significativo in questo senso, vale a dire che la denunzia era stata
sporta proprio quando la procedura fallimentare era stata avviata dal ric degli eredi NOME
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamen delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua Così è deciso, 16/10/2024
Il Presidente
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
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NOME COGNOME
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