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Bancarotta fraudolenta: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta documentale. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di quelli già respinti in appello e rappresentavano un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo esame dei fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte. Anche la censura sulla determinazione della pena è stata rigettata.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale rappresenta una delle fattispecie più gravi a tutela del ceto creditorio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 39439/2024) offre spunti cruciali sui limiti del ricorso per un’imputazione di questo tipo, ribadendo principi fondamentali del processo penale e del ruolo della Suprema Corte.

Il caso analizzato riguarda un imprenditore condannato sia in primo grado che in appello per aver tenuto le scritture contabili in modo da arrecare pregiudizio ai creditori. La sua difesa ha tentato di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, ma con esito negativo. Vediamo perché.

I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte

Il ricorrente basava la sua difesa principalmente su due argomenti:

1. Errata qualificazione del reato: Si chiedeva di derubricare l’accusa dalla più grave bancarotta fraudolenta alla meno grave bancarotta semplice, sostenendo l’assenza della volontà di danneggiare i creditori.
2. Mancata motivazione sulla pena: Si lamentava che i giudici di merito non avessero adeguatamente spiegato perché la pena inflitta fosse superiore al minimo previsto dalla legge.

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i punti, dichiarando il ricorso integralmente inammissibile.

La Reiterazione dei Motivi d’Appello

Per quanto riguarda il primo punto, i giudici hanno sottolineato che le argomentazioni presentate erano una mera e semplice ripetizione di quelle già discusse e respinte dalla Corte d’Appello. Questo approccio è proceduralmente errato. Il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti o riproporre le stesse tesi. Il suo scopo è il sindacato di legittimità, cioè controllare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e coerente. Prospettare una ‘rilettura alternativa delle prove’ è un’attività preclusa alla Suprema Corte.

La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena

Anche la seconda censura è stata ritenuta infondata. La Corte ha ricordato che, secondo un principio consolidato, il giudice non è tenuto a esaminare analiticamente ogni singolo elemento previsto dall’articolo 133 del codice penale per determinare la pena. È sufficiente che indichi gli elementi ritenuti più importanti e che hanno guidato il suo giudizio complessivo, purché la sua motivazione sia conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata, rendendo la doglianza del ricorrente inammissibile.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su due pilastri del nostro sistema processuale. In primo luogo, il ricorso in Cassazione deve sollevare questioni di puro diritto o vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata. Non può trasformarsi in un pretesto per richiedere una nuova valutazione delle prove. I motivi devono essere specifici e nuovi, non la mera riproposizione di argomentazioni già vagliate.

In secondo luogo, viene confermata la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena. L’obbligo di motivazione è soddisfatto quando il giudice fornisce una spiegazione logica delle ragioni che lo hanno portato a una determinata scelta sanzionatoria, evidenziando gli elementi di cui all’art. 133 c.p. ritenuti prevalenti.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame è un monito importante: per accedere al giudizio di legittimità, non basta essere insoddisfatti dell’esito dei gradi precedenti. È necessario formulare censure precise, che colpiscano la sentenza su vizi di legge o di logica manifesta, evitando di riproporre questioni di fatto. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la redazione di un ricorso in Cassazione richiede un’analisi tecnica approfondita e la capacità di individuare profili di illegittimità specifici, pena una declaratoria di inammissibilità con conseguente condanna alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione svolge un sindacato di legittimità, ovvero controlla la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Non può riesaminare i fatti o le prove come un giudice di merito.

Un ricorso in Cassazione può contenere gli stessi motivi già presentati in appello?
No, se il ricorso si limita a essere una mera ripetizione dei motivi già dedotti e respinti in appello, senza sollevare nuove questioni di diritto o vizi specifici della sentenza impugnata, viene dichiarato inammissibile.

Il giudice deve giustificare in dettaglio perché non ha applicato la pena minima?
Non è necessario che il giudice analizzi singolarmente tutti gli elementi dell’art. 133 del codice penale. È sufficiente che indichi gli elementi che hanno assunto un rilievo preminente nel suo giudizio complessivo, a patto che la motivazione sia logica e conforme alla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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