Bancarotta Fraudolenta: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
Il reato di bancarotta fraudolenta documentale rappresenta una delle fattispecie più gravi a tutela del ceto creditorio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 39439/2024) offre spunti cruciali sui limiti del ricorso per un’imputazione di questo tipo, ribadendo principi fondamentali del processo penale e del ruolo della Suprema Corte.
Il caso analizzato riguarda un imprenditore condannato sia in primo grado che in appello per aver tenuto le scritture contabili in modo da arrecare pregiudizio ai creditori. La sua difesa ha tentato di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, ma con esito negativo. Vediamo perché.
I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte
Il ricorrente basava la sua difesa principalmente su due argomenti:
1. Errata qualificazione del reato: Si chiedeva di derubricare l’accusa dalla più grave bancarotta fraudolenta alla meno grave bancarotta semplice, sostenendo l’assenza della volontà di danneggiare i creditori.
2. Mancata motivazione sulla pena: Si lamentava che i giudici di merito non avessero adeguatamente spiegato perché la pena inflitta fosse superiore al minimo previsto dalla legge.
La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i punti, dichiarando il ricorso integralmente inammissibile.
La Reiterazione dei Motivi d’Appello
Per quanto riguarda il primo punto, i giudici hanno sottolineato che le argomentazioni presentate erano una mera e semplice ripetizione di quelle già discusse e respinte dalla Corte d’Appello. Questo approccio è proceduralmente errato. Il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti o riproporre le stesse tesi. Il suo scopo è il sindacato di legittimità, cioè controllare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e coerente. Prospettare una ‘rilettura alternativa delle prove’ è un’attività preclusa alla Suprema Corte.
La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena
Anche la seconda censura è stata ritenuta infondata. La Corte ha ricordato che, secondo un principio consolidato, il giudice non è tenuto a esaminare analiticamente ogni singolo elemento previsto dall’articolo 133 del codice penale per determinare la pena. È sufficiente che indichi gli elementi ritenuti più importanti e che hanno guidato il suo giudizio complessivo, purché la sua motivazione sia conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata, rendendo la doglianza del ricorrente inammissibile.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Corte si fonda su due pilastri del nostro sistema processuale. In primo luogo, il ricorso in Cassazione deve sollevare questioni di puro diritto o vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata. Non può trasformarsi in un pretesto per richiedere una nuova valutazione delle prove. I motivi devono essere specifici e nuovi, non la mera riproposizione di argomentazioni già vagliate.
In secondo luogo, viene confermata la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena. L’obbligo di motivazione è soddisfatto quando il giudice fornisce una spiegazione logica delle ragioni che lo hanno portato a una determinata scelta sanzionatoria, evidenziando gli elementi di cui all’art. 133 c.p. ritenuti prevalenti.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame è un monito importante: per accedere al giudizio di legittimità, non basta essere insoddisfatti dell’esito dei gradi precedenti. È necessario formulare censure precise, che colpiscano la sentenza su vizi di legge o di logica manifesta, evitando di riproporre questioni di fatto. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la redazione di un ricorso in Cassazione richiede un’analisi tecnica approfondita e la capacità di individuare profili di illegittimità specifici, pena una declaratoria di inammissibilità con conseguente condanna alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione svolge un sindacato di legittimità, ovvero controlla la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Non può riesaminare i fatti o le prove come un giudice di merito.
Un ricorso in Cassazione può contenere gli stessi motivi già presentati in appello?
No, se il ricorso si limita a essere una mera ripetizione dei motivi già dedotti e respinti in appello, senza sollevare nuove questioni di diritto o vizi specifici della sentenza impugnata, viene dichiarato inammissibile.
Il giudice deve giustificare in dettaglio perché non ha applicato la pena minima?
Non è necessario che il giudice analizzi singolarmente tutti gli elementi dell’art. 133 del codice penale. È sufficiente che indichi gli elementi che hanno assunto un rilievo preminente nel suo giudizio complessivo, a patto che la motivazione sia logica e conforme alla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39439 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATI -0 e CONSIDERATO IN DIRITTO
che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale il ricorrente era stato ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale;
che il primo ed il secondo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente denunzia violazione della legge penale in punto di responsabilità e per l’omessa riqualificazione del reato ascrittogli nel meno grave delitto di bancarotta semplice documentale nonostante l’assenza, in capo all’imputato, della volontà di danneggiare i creditori, sono indeducibili, in quanto meramente reiterativi di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) e integralmente versati in fatto, prospettando un’inammissibile rilettura alternativa delle fonti probatorie, estranea al sindacato di questa Corte che, com’è noto, non è chiamata a condividere o meno il contenuto argomentativo offerto nella sentenza impugnata, stabilendo se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ma solo a verificare l’esistenza, la logicità e coerenza delle argomentazioni offerte;
che il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura l’omessa motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio (nei limiti in cui si è discostato dal minimo della pena), è indeducibile ove si consideri che per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo, come in concreto avvenuto (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH Il Presidente