Bancarotta Fraudolenta: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
Il reato di bancarotta fraudolenta rappresenta uno degli illeciti più gravi nel contesto del diritto fallimentare, sanzionando chi sottrae o nasconde i beni o le scritture contabili di un’impresa per danneggiare i creditori. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha ribadito i principi cardine per la valutazione di tale reato, dichiarando inammissibile il ricorso di un imprenditore e confermando la sua condanna. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti di Causa
La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale che riteneva un imprenditore colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale. In particolare, gli veniva contestata la violazione degli articoli 216, 219 e 223 della Legge Fallimentare (r.d. 267/1942). La Corte d’Appello, successivamente, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, limitandosi a ridurre la durata delle pene accessorie fallimentari ma confermando la responsabilità penale dell’imputato.
Contro questa decisione, l’imprenditore proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a due specifici motivi di contestazione.
I Motivi del Ricorso per bancarotta fraudolenta
Il ricorrente lamentava principalmente due aspetti della sentenza d’appello:
1. Falsa applicazione della legge penale: Secondo la difesa, mancava la prova del cosiddetto ‘dolo specifico’. L’imprenditore sosteneva che non vi fosse l’intenzione specifica di recare pregiudizio ai creditori, elemento necessario per configurare il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
2. Insufficienza e contraddittorietà della motivazione: Il secondo motivo criticava la sentenza per una motivazione ritenuta carente, specialmente riguardo alla ricostruzione della situazione patrimoniale della società fallita.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto integralmente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione ha reso definitiva la condanna dell’imputato, condannandolo inoltre al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha ritenuto entrambi i motivi di ricorso ‘manifestamente infondati’, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurazione del reato di bancarotta fraudolenta.
Sul Dolo Specifico nella Bancarotta Fraudolenta
Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno sottolineato come il dolo specifico fosse palese e indubbio. L’imputato, infatti, aveva reso false dichiarazioni al curatore fallimentare. Aveva affermato di non aver trovato i libri e le scritture contabili e che la società non presentava alcuna attività o passività. Questo comportamento, secondo la Corte, era chiaramente finalizzato a occultare l’effettivo volume d’affari dell’impresa, integrando pienamente l’intento fraudolento richiesto dalla norma.
Sulla Ricostruzione Patrimoniale
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha evidenziato che la ricostruzione della reale situazione patrimoniale della società era stata resa possibile solo grazie al ‘particolare impegno del curatore’. Questo dimostra che, senza l’accurato lavoro del professionista incaricato dal tribunale, l’occultamento messo in atto dall’imprenditore avrebbe avuto successo. La motivazione della Corte d’Appello, che valorizzava l’operato del curatore, è stata quindi ritenuta logica e sufficiente.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza della Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, conferma che le dichiarazioni mendaci rese al curatore fallimentare costituiscono una prova schiacciante del dolo specifico nel reato di bancarotta fraudolenta documentale. In secondo luogo, ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso per Cassazione basato su motivi generici o manifestamente infondati non solo non ha possibilità di successo, ma comporta anche conseguenze economiche negative per il ricorrente. La decisione sottolinea, infine, il ruolo cruciale e l’impegno del curatore fallimentare nel far emergere la verità e tutelare gli interessi dei creditori.
Quando si configura il dolo specifico nel reato di bancarotta fraudolenta documentale?
Secondo l’ordinanza, il dolo specifico sussiste quando l’imputato compie azioni, come rendere false dichiarazioni al curatore, con la finalità specifica di occultare l’effettivo volume d’affari dell’impresa per recare pregiudizio ai creditori.
Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se i motivi sono ritenuti ‘manifestamente infondati’?
Sì, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile quando i motivi proposti sono palesemente privi di fondamento giuridico, come avvenuto nel caso di specie per entrambi i motivi presentati dalla difesa.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso esaminato è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47145 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a STRIANO il 23/11/1972
avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha riformato parzialmente, riducendo la durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 4 luglio 2017, che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del reato di cui agli artt. 216, primo comma, n.2, 219, secondo comma, n.1 e 223, primo e secondo comma, r.d. 267/1942 e lo aveva condannato alla pena di giustizia;
che il primo motivo del ricorso dell’imputato, che si duole della falsa applicazione dell’art. 216 r.d. 267/1942, è manifestamente infondato poiché è indubbia la sussistenza del dolo specifico, per come motivato dalla Corte di Appello, atteso che l’imputato aveva reso delle false dichiarazioni al curatore con la finalità di occultare l’effettivo volume d’affari, dichiarando di non aver rinvenuto i libri e le scritture contabili e che la società non aveva nessuna attività o passività;
che il secondo motivo di ricorso dell’imputato, che lamenta l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione della sentenza, è manifestamente infondato poiché la ricostruzione della situazione patrimoniale della società è stata resa possibile soltanto grazie al particolare impegno del curatore (vedi Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279346);
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/11/2024.