Bancarotta fraudolenta: quando il ricorso in Cassazione è troppo generico
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: i motivi di ricorso devono essere specifici e confrontarsi puntualmente con la sentenza impugnata. In caso contrario, il ricorso è destinato all’inammissibilità. Il caso in esame riguarda una condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, confermata in appello e ora resa definitiva dalla Suprema Corte.
I Fatti di Causa
Un soggetto veniva condannato in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta. Secondo l’accusa, confermata dai giudici di merito, l’imputato, in qualità di amministratore di fatto, aveva contribuito a dissipare il patrimonio di una società fallita. L’imputato decideva quindi di presentare ricorso per Cassazione, lamentando una valutazione errata delle prove testimoniali e l’illegittima utilizzazione delle dichiarazioni di un coimputato nel frattempo deceduto.
I Motivi del Ricorso e la questione della Bancarotta Fraudolenta
Il ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali:
1. Genericità delle accuse e prove testimoniali: Sosteneva che la Corte d’Appello non avesse considerato adeguatamente alcune testimonianze che, a suo dire, lo scagionavano. In particolare, evidenziava come alcuni testimoni avessero interagito esclusivamente con un altro coimputato, dimostrando la sua estraneità alla gestione della società fallita.
2. Inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato: Contestava l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da un altro coimputato, poi deceduto, ritenendole acquisite in modo illegittimo e quindi non utilizzabili per fondare la sua condanna.
L’imputato ometteva però di confrontarsi con le prove a carico citate nella sentenza, che delineavano un quadro di gestione condivisa della società fallita, dove lui e un socio si erano divisi i compiti, giustificando così i contatti solo parziali di alcuni testimoni.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive.
In primo luogo, i giudici hanno qualificato i primi due motivi di ricorso come generici. Il ricorrente, infatti, si era limitato a riproporre le stesse eccezioni già respinte in appello, senza però contestare in modo specifico la logica e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata. La Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello aveva già spiegato come la divisione dei compiti gestionali tra l’imputato e il coimputato rendesse naturale che alcuni soggetti interloquissero solo con uno dei due. Il ricorso, quindi, non confutava la ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, ma si limitava a ignorarla.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del coimputato deceduto. Richiamando l’articolo 513, comma 2, del codice di procedura penale, la Cassazione ha chiarito che le dichiarazioni rese durante l’interrogatorio da un coimputato successivamente deceduto sono recuperabili e pienamente utilizzabili in dibattimento tramite lettura. La posizione del coimputato, infatti, è equiparabile a quella di un imputato per cui si procede separatamente (art. 210, comma 1, c.p.p.). Ad ogni modo, la Corte ha precisato che la condanna non si basava unicamente su tali dichiarazioni, ma su un complesso di prove convergenti che radicavano la prova della qualifica dell’imputato come amministratore di fatto.
Le Conclusioni della Corte
In conclusione, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso. Questa decisione comporta non solo la condanna definitiva per il reato di bancarotta fraudolenta, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende. La pronuncia ribadisce l’importanza di redigere ricorsi specifici, che non si limitino a una critica astratta della sentenza, ma che ne attacchino le fondamenta logico-giuridiche in modo puntuale e pertinente.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile se i motivi presentati sono generici, ossia non si confrontano in modo specifico e completo con la motivazione della sentenza che si sta impugnando, limitandosi a riproporre critiche già esaminate e respinte nei gradi di giudizio precedenti.
Le dichiarazioni di un coimputato deceduto possono essere usate in un processo?
Sì, le dichiarazioni rese da un coimputato poi deceduto durante un interrogatorio sono considerate utilizzabili. Possono essere recuperate in dibattimento tramite lettura, ai sensi dell’art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, poiché la sua posizione è equiparata a quella di un imputato giudicato in un procedimento separato.
Cosa ha stabilito la Corte riguardo al ruolo dell’imputato nella società fallita?
La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui l’imputato era uno dei soggetti effettivamente coinvolti nella gestione della società fallita. La sua condanna si basa su un insieme di prove convergenti che ne hanno dimostrato il ruolo di amministratore di fatto, nonostante alcuni testimoni avessero interagito solo con un altro coimputato a causa di una divisione interna dei compiti gestionali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31525 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31525 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ASCOLI PICENO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/11/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Ancona ne ha confermato la condanna per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
Considerato che i primi due motivi di ricorso sono generici nella misura in cui non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza che, contrariamente a quanto eccepito, ha considerato le testimonianze evocate con i motivi d’appello, ma ha escluso la loro decisività, evidenziando che l’COGNOME ed il coimputato COGNOME, come dimostrato dalle prove invece valorizzate, si erano divisi i compiti di gestione, risultand così del tutto naturale che alcuni dei soggetti a vario titolo in rapporto con la fall interloquissero esclusivamente con il secondo e non anche con il primo. Per contro il ricorrente omette di confutare o anche solo di considerare le fonti dichiarative citate dal giudice del merito a sostegno della propria ricostruzione dei fatti, che sulla base delle risultanze esposte appare logica e coerente con le stesse, tutte convergenti nell’indicare nell’imputato uno dei soggetti effettivamente coinvolti nella gestione della fallita.
Quanto alla sentenza civile citata dalla Corte, la stessa è stata evocata ad colorandum e comunque il ricorrente non ne evidenzia la decisività ai fini della tenuta della motivazione della sentenza impugnata. Per quanto riguarda invece le dichiarazioni del coimputato COGNOME, manifestamente infondata è l’eccezione di inutilizzabilità, posto che le dichiarazioni rese durante l’interrogatorio dal coimputato successivamente deceduto sono recuperabili in dibattimento tramite lettura, ai sensi dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., essendo la posizione di quest’ultimo equiparabile a quella dell’imputato per il quale si procede separatamente, ai sensi dell’art. 210, comma 1, cod. proc. pen. (ex multis Sez. 1, n. 21534 del 10/07/2020, Hamada, Rv. 279339). Non di meno la sentenza si fonda soprattutto su quanto riferito dall’COGNOME al curatore, dichiarazioni che comunque non hanno costituito l’unico elemento su cui è stata radicata la prova della qualifica dell’imputato come amministratore di fatto della fallita.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
A()
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 16/5/