Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30504 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30504 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GISSI il 21/06/1945
avverso la sentenza del 20/06/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA edito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; 1:f:Qà ha concluso chiedendo GLYPH eet GLYPH Az 9-
udito il difetisore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di L’Aquila riformava parzialmente in senso favorevole all’imputato la sentenza con cui il tribunale di Vasto, in data 10.5.2022, aveva condannato COGNOME NOME, alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in rubrica ascrittigli, in qualità di concorrente esterno nella condotta illecita posta in essere da NOME Andrew, amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal tribunale di Vasto in data 18.5.2016, e da COGNOME NOME, amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando un unico motivo di ricorso, con cui lamenta l’illogicità della motivazione della sentenza di appello.
Con requisitoria scritta del 10.4.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché sorretto da motivi manifestamente infondati e generici.
Va preliminarmente osservato che tra i vizi deducibili ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. e), cod. proc. pen., rientra quello della illogicità della motivazione, che, tuttavia, deve essere “manifesta”, avendo il legislatore con tale espressione fatto riferimento ai casi in cui appare evidente l’esistenza di una frattura logica tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (cfr. Sez. I, 12.5.1999, n. 9539, Rv. 215132; Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Rv. 281105).
Orbene tale “frattura” non è in alcun modo ravvisabile nella motivazione della sentenza oggetto di ricorso.
La corte territoriale, con motivazione invero dotata di intrinseca coerenza logica, ha evidenziato come il COGNOME, autorizzato a operare sui conti correnti intestati alla società fallita e, al tempo stesso,
consulente della “RAGIONE_SOCIALE“, abbia svolto un ruolo determinante nel meccanismo distrattivo posto in essere con il suo concorso dal coimputato COGNOME COGNOME
Quest’ultimo, come puntualmente ricostruito dalla corte territoriale, senza che al riguardo il ricorrente abbia articolato alcuna doglianza, amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, sin dalla sua costituzione, aveva ceduto, in data 2.4.2008, unitamente a COGNOME NOME, le quote sociali in suo possesso a tale COGNOME NOME, che, di conseguenza, era divenuto il titolare dell’intero capitale sociale e amministratore unico della società.
Nella stessa occasione l’RAGIONE_SOCIALE, di cui successivamente si sono perse le tracce, essendosi reso irreperibile, concluse la vendita in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, di cui il COGNOME NOME era amministratore e titolare, insieme con la moglie COGNOME NOME, dell’intero capitale sociale, dell’opificio industriale della società fallita, sito alla INDIRIZZO San Salvo, che costituiva il principale bene della “RAGIONE_SOCIALE“, per un corrispettivo di euro 1.200.000,00.
Tale prezzo, tuttavia, non solo non venne integralmente corrisposto dalla società acquirente, ma anche quella parte di esso che venne effettivamente versata attraverso ventuno assegni circolari, per un importo complessivo di euro 673.000,00, entrati a far parte, dunque, del patrimonio della società fallita, fu distratto, in quanto “ad ogni incasso il COGNOME“, in virtù dei suoi poteri, “disponeva contestualmente un ordinativo di bonifico dal medesimo conto su quello dei coniugi COGNOME“, soci della società acquirente, senza una legittima causale, i quali, a loro volta, provvedevano ” a riversare le somme in tal modo recuperate nelle casse della “RAGIONE_SOCIALE“.
L’operazione appena descritta, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, ha un’evidente natura distrattiva.
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, infatti, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di cui si
discute, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893).
Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, pertanto, qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655; Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106), come nel caso di conferimento senza corrispettivo a terzi del compendio immobiliare della società fallita (cfr. Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Rv. 278983).
Come è stato evidenziato in un recente arresto, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve valutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori (cfr. Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Rv. 287059)
Ciò è quanto si è verificato nel caso in esame, essendo non revocabile in dubbio che, per effetto del contratto di compravendita dell’immobile stipulato dal sedicente Akins e della conseguente immediata restituzione, ad opera del ricorrente, alla coppia COGNOME e, per essi, alla società acquirente, del prezzo (parziale) confluito nella disponibilità della società fallita, il patrimonio di quest’ultima abbia subìto un evidente depauperamento, anche a voler considerare solo il
valore attribuito all’immobile in sede di compravendita, con pregiudizio delle ragioni che il ceto creditorio avrebbe potuto far valere nell’ambito della procedura fallimentare.
Tanto premesso le doglianze del ricorrente sono concentrate su di un unico profilo, volto a contestare l’esistenza di un’effettiva esposizione debitoria della società fallita nei confronti dell’Erario, all’atto della stipula del contratto di compravendita, tale da giustificare la finalità dell’operazione distrattiva, individuata dalla corte territoriale nella volontà di intaccare la garanzia patrimoniale della “RAGIONE_SOCIALE“, in pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, rappresentato in primis dall’Erario, posto che, rilevava il giudice di appello, all’epoca la società fallita era “destinataria di numerose cartelle esattoriali ed altrettante iscrizioni a ruolo per imposte inevase”.
Si tratta di un rilievo del tutto fuori fuoco, in quanto, come ammesso dallo stesso ricorrente, il fallimento della “RAGIONE_SOCIALE” venne dichiarato su iniziativa del pubblico ministero proprio in ragione dell’esposizione debitoria nei confronti del fisco, sia pure accertata a distanza di oltre otto anni dal perfezionarsi della compravendita (cfr. p. 5 del ricorso).
Risulta, pertanto, dimostrata per tabulas l’esistenza delle ragioni dell’Erario, in qualità di creditore della società fallita, messe concretamente in pericolo dall’evidenziata condotta distrattiva, essendo del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità del reato di cui si discute, l’ammontare del credito erariale vantato dal Fisco all’atto della stipula del contratto di compravendita (pari, secondo il ricorrente, a soli euro 192.854,55, garantito da iscrizione ipotecaria su altri beni immobili della società fallita) o la denunciata inerzia del creditore erariale.
D’altra parte, proprio la natura di reato di pericolo del delitto di cui si discute rende del tutto irrilevante ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’assenza di un danno per i creditori (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
Inoltre, non va dimenticato che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è reato caratterizzato dal dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (cfr. Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv. 260407).
Tale tipo di dolo, non comprende la previsione ed accettazione del fallimento, ma solo la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. (cfr. Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446) – 01
In questo alveo interpretativo si collocano una serie di condivisibili arresti in cui si è evidenziato che in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data, come nel caso in esame, una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550), potendo assumere rilevanza l’epoca del depauperamento ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell’agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua, come nella fattispecie che ci occupa, ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un’alternativa ipotesi qualificatoria (cfr. Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, Rv. 282284), che il ricorrente nemmeno prospetta.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14.5.2025.