Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35773 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35773 Anno 2025
Presidente: SCORDAMAGLIA IRENE
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVELLINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/01/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputata NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli che ne ha confermato la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso il 21 dicembre 2012;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che si duole della mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, è manifestamente infondato, in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità. Infatti, ai sensi dell’art. 157 cod. pen., il tempo necessario a prescrivere si calcola avuto riguardo al massimo della pena edittale stabilita dalla legge, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e rilevando esclusivamente l’aumento di pena stabilito per le circostanze aggravanti, ove prevedano una pena di specie diversa da quella ordinaria o ad effetto speciale. Al periodo così calcolato, che in ogni caso non può essere inferiore a sei anni se il reato per cui si procede è un delitto, va aggiunto un periodo di interruzione che, in linea generale, non può essere superiore ad un quarto del tempo necessario a prescrivere. Così ricostruito il quadro normativo, risulta che, ad una pena stabilita per il reato per cui si procede nella misura massima di dieci anni e ad un tempo di interruzione calcolato nella misura massima di un quarto di detto periodo, corrisponde un tempo necessario a prescrivere pari a dodici anni e sei mesi (così giungendosi alla data del 21 giugno 2025, successiva alla pronuncia della sentenza impugnata) e che non ha rilievo alcuno, nel calcolo di detto tempo, il riconoscimento della circostanza attenuante della lievità del danno patrimoniale cagionato, come invece preteso dalla ricorrente;
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che si duole dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputata, non è consentito dalla legge in sede di legittimità, in quanto costituito da mere doglianze in punto di fatto, riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata (cfr. pag. 3 – 4 del provvedimento impugnato, in cui si dà atto della denuncia del curatore di non aver rinvenuto, all’esito dei sopralluoghi propedeutici alle operazioni di vendita, i beni inventariati, sia presso la sede operativa dell’impresa, sia presso la residenza dell’imputata), volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità e avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito;
Ritenuto che il terzo motivo, che si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è manifestamente infondato, in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la giurisprudenza di legittimità, in quanto, nonostante detta esclusione sia stata motivata dal giudice di appello con argomenti inerenti all’ammissibilità in concreto di detto istituto e, dunque, alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza e all’entità del danno o del pericolo che sono derivati, deve ritenersi che, nel caso di specie, esso sia inammissibile già in astratto. Infatti, nonostante esso possa applicarsi anche quando la legge preveda come circostanza attenuante la tenuità del danno, tuttavia essa non rileva nella determinazione della pena fissata dalla norma per l’applicazione della causa di non punibilità, ove circostanza comune. L’art. 131-bis cod. pen. – nella sua formulazione risultante dall’ultima modifica, retroattivamente applicabile, in quanto più favorevole – non può trovare applicazione ove il reato per cui si procede sia punito con una pena minima superiore a due anni di reclusione e, ai fini della determinazione di detta pena, non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. Ne deriva l’inammissibilità in astratto dell’applicazione di tale istituto con riferimento al reato per cui si procede, in quanto esso è punito con una pena detentiva di tre anni nel minimo e il riconoscimento della circostanza attenuante della lievità del danno patrimoniale non ha rilievo, posto che si tratta di circostanza attenuante comune;
Chiarito che l’inammissibilità del ricorso preclude la declaratoria d’ufficio della prescrizione del reato, atteso che dall’inammissibilità consegue il formarsi del giudicato sostanziale, non superabile dal decorso del termine necessario a prescrivere;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2025