Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11962 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11962 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARTINA FRANCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/10/2022 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, la quale si è riportata alla requisitoria già depositata e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME NOME, il quale ha illustrato i motivi di gravame e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 21 ottobre 2022, la Corte d’appello di Lecce- sezione distaccata di Taranto, ha confermato la condanna inflitta in primo grado ad NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta documentale (in concorso con altri), bancarotta fraudolenta patrimoniale e per il delitto di cui all’art. 224, n.2, I. fall. riformando unicamente il profilo concernente le statuizioni civili, che sono state revocate per effetto della rinuncia del curatore alla costituzione di parte civile. Gli ascritti reati sono riferiti a condotte – analiticamente descritte nei capi d’imputazione- poste in essere dall’imputato -in qualità di amministratore delegato dal 18/12/2006 e di amministratore unico dal 31/05/2013 al 19/01/2015- della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 13/09/2016.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ai seguenti motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte d’appello motivato in ordine alle circostanze riportate dal curatore fallimentare nell’atto di revoca della costituzione di parte civile. La Corte territoriale avrebbe altresì errato nel considerare tali dichiarazioni irrituali, in quanto effettuate con un atto -appunto la revoca di costituzione di parte civile della curatela- estraneo alla dinamica processuale.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 603 cod. proc. pen., per non avere la Corte territoriale disposto l’audizione del curatore, malgrado la potenziale decisività delle sue dichiarazioni ai fini di una corretta decisione. A tal proposito, si osserva come la Corte abbia illogicamente trascurato il carattere di novità delle informazioni contenute nella revoca della costituzione di parte civile della curatela, pervenuta successivamente alla relazione fallimentare.
Il terzo motivo ha a oggetto violazione di legge processuale, in relazione all’art. 599 bis del codice di rito, nonché vizio di motivazione, per mancato esame da parte della Corte della richiesta di concordato sui motivi di appello, rispetto alla quale -afferma la difesa- era pacifico il consenso del Procuratore generale. Con l’ordinanza del 5 ottobre 2022, che il ricorrente impugna unitamente alla sentenza di condanna, la Corte d’appello dava però atto del mancato assenso del Procuratore generale, pur indicando la nota dell’ufficio della Procura generale, depositata in atti, che attestava, invece, il precedente consenso prestato da quest’ultima. La difesa allega comunicazione a lui pervenuta dalla cancelleria avente a oggetto il prestato consenso del P.G al concordato in appello.
Col quarto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’ascritto reato di bancarotta distrattiva e mancata riqualificazione dell’ascritto reato in quello di “bancarotta riparata in ambito documentale”, rilevando che: a) i prelievi operati tra il 2011 e il 2013 erano finalizzati al pagamento in contanti della retribuzione ai dipendenti, parte dei quali di nazionalità straniera e sprovvisti di conti correnti; b) la tematica dei versamenti effettuati in favore della società RAGIONE_SOCIALE, con sede negli Emirati Arabi, era stata affrontata senza tenere conto della disciplina dettata dal legislatore in tema di vantaggi compensativi e del saldo complessivo dell’attività di direzione e coordinamento e confondendo, inoltre, i principi contabili (inerenti la svalutazione del credito e la sua qualificazione in bilancio) con condotte distrattive; c) si era ignorata la collaborazione che il fallito aveva prestato agli organi fallimentari in vista della ricostruzione del patrimonio e dell’attività d’impresa, in tal modo provvedendo ad elidere l’offensività della condotta. Ciò avrebbe dovuto indurre i giudici del merito a escludere la responsabilità dell’imputato per bancarotta fraudolenta documentale e ad applicare, invece, la disciplina in tema di “bancarotta riparata in ambito documentale”, posta la condotta dell’imputato tesa a riparare gli ammanchi contabili, sia pure in epoca successiva al fallimento.
All’udienza si è svolta trattazione orale. il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente perché logicamente connessi, sono manifestamente infondati perché generici e aspecifici, come si procede a illustrare.
La Corte territoriale ha invero chiarito che 1) le dichiarazioni del curatore fallimentare nell’atto di revoca della costituzione di parte civile sono state rese in maniera irrituale, in un atto estraneo alla dinamica processuale; 2) malgrado l’invito rivolto al difensore dell’imputato affinché producesse una relazione integrativa del curatore a beneficio del Giudice delegato o, quantomeno, una nota esplicativa in ordine all’asserito accertamento compiuto dal curatore, alcuna documentazione ufficiale è stata resa dalla difesa, ciò che è stato ragionevolmente considerato dalla Corte d’appello quale indizio dell’inesistenza di un accertamento tecnico in tal senso; 3) non è stato prodotto alcun elaborato tecnico da parte di CTP attestante l’asserita circostanza del contributo fornito dall’imputato alla ricostruzione del patrimonio della fallita società, motivo per cui la Corte non ha disposto l’ascolto del non meglio precisato consulente di parte; 4) l’asserita
esistenza di dichiarazioni del curatore fallimentare -si torna a dire: impropriamente rese in sede di revoca della costituzione di parte civile, attestanti il contributo fornito dall’imputato alla ricostruzione del patrimonio della fallita società, senza ulteriori specificazioni- è stata valutata irrituale e, soprattutto, a ben vedere, generica dalla Corte d’appello, tenuto conto del fatto che non è stato indicato l’obiettivo fondamento di tali asserzioni.
Dalla motivazione emergono, dunque, con chiarezza le ragioni per cui la Corte territoriale ha ritenuto l’atto indicato dalla difesa non idoneo -né dal punto di vista della ritualità formale né da quello sostanziale- a comprovare le tesi difensive. La difesa espone, a tal proposito, l’esistenza di profili asseritamente decisivi, contenuti in quelle dichiarazioni del curatore, reiterando l’esposizione di dati (tra i quali: i prelievi effettuati dalle casse della società erano stati utilizzati per pagare i dipendenti; l’esistenza di un contratto di appalto riferibile alla società madre RAGIONE_SOCIALE di Genova verso la società controllata dalla fallita), di cui i Giudici di merito avevano già sottolineato la manifesta infondatezza.
In particolare, e con riguardo ai prelievi effettuati dall’imputato a mezzo di titoli bancari intestati a se stesso, i giudici di merito hanno adeguatamente illustrato come dette operazioni di prelievo bancario non potessero ricollegarsi al pagamento delle retribuzioni degli operai impegnati nelle diverse commesse, attesa l’inidoneità della documentazione (non ufficiale -ricorda la Corte- e “redatta non si comprende da chi in quanto non sottoscritta”, p. 12 parte motiva dell’impugnata sentenza) prodotta dal COGNOME a dimostrare il proprio assunto, per tacere della mancanza del libro matricola -mai consegnate al curatore- da cui poter ricavare l’elenco dei dipendenti, nonché dell’indicazione specifica della commessa per cui i lavoratori stranieri (secondo la difesa, privi di conti corrente) avrebbero prestato la propria opera.
Non avendo la difesa indicato, con argomenti nuovi e più efficaci, la decisività delle asserite dichiarazioni irritualmente rese dal curatore, la lamentata omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale resta priva di fondamento.
Pertanto, la decisione della Corte d’appello sul punto risulta correttamente adottata e congruamente motivata, oltre che conforme ai canoni interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ad es., Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 – 01: nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (in motivazione, la Corte ha precisato che l’acquisizione di una prova nuova in
appello, adottata in assenza del presupposto dell’assoluta necessità dell’integrazione, non determina l’inutilizzabilità della prova).
Il terzo motivo è, del pari, manifestamente infondato, dal momento che la giurisprudenza di legittimità evocata dalla difesa si appalesa decisamente inconferente rispetto al caso di specie.
L’ordinanza con cui Corte d’appello dava atto del mancato assenso del Procuratore generale alla richiesta di concordato sui motivi di appello è datata 5 ottobre 2022 e risulta notificata alla difesa, a mezzo di p.e.c., il 6 ottobre successivo; avendo avuto notizia del mancato assenso del Procuratore generale, la difesa, tra il 6 e il 21 ottobre 2022 (data dell’udienza d’appello), aveva l’onere di chiedere, presso la Procura, copia dell’accordo, per poi produrlo. A fronte della notizia del mancato consenso del Procuratore sull’istanza proposta dalla difesa, ciò di cui -si torna a dire- quest’ultima era stata tempestivamente edotta- non si vede per qual motivo la Corte territoriale sarebbe stata tenuta a esaminare l’istanza di concordato, come ritenuto invece dalla difesa.
Il tema, qui, non è affatto quello su cui insiste la difesa, vale a dire la ricorribilità (o meno) per cassazione del provvedimento di rigetto del concordato di pena ex art. 599 bis cod. proc. pen. (sulla cui ammissibilità, v., ad es., Sez. 6, Sentenza n. 31556 del 13/07/2022 Rv. 283610 – 01), unitamente alla sentenza resa all’esito del giudizio.
Il fuoco del problema, con cui il ricorrente evita di confrontarsi, è invece la mancata attivazione della difesa di fronte alla notizia -ricevuta con congruo anticipo rispetto alla decisione del giudice d’appello- dell’inesistenza di un atto di consenso del P.G. ritualmente espresso e certo non surrogabile da una mera nota di un funzionario amministrativo.
Il quarto motivo è manifestamente infondato, in quanto generico, assertivo e reiterativo di censure che, in entrambi i gradi di giudizio, sono state disattese con argomentazioni centrate sia dal punto di vista giuridico sia da quello della logicità e coerenza dell’iter motivazionale.
In primo luogo, non ha pregio alcuno la tesi difensiva secondo cui una singola omissione annotativa dovrebbe essere valutata differentemente a seconda del momento storico in cui è posta in essere, configurandosi l’ipotesi di bancarotta documentale semplice nel caso in cui l’omissione sia stata posta in essere in tempi “in cui alcuna procedura concorsuale si affacci all’orizzonte”. Gioverà ricordare, a tal proposito, che altri sono i criteri distintivi elaborati da questa Corte in materia di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta semplice (cfr., ex plurimís, Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi, Rv. 281875 – 01: l’oggetto del
reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l’oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867 – 01: In tema di irregolare tenuta dei libri contabili nei reati fallimentari, a differenza del reato di bancarotta semplice in cui l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori; in quest’ultima ipotesi, si richiede, inoltre, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico descritto nell’art. 217, comma secondo, I. fall.. Diverso è, infine, l’elemento soggettivo, costituito nell’ipotesi di bancarotta semplice indifferentemente dal dolo o dalla colpa, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, prima parte, I. fai!. dal dolo generico).
Tanto puntualizzato, deve convenirsi con la Corte territoriale, che ha definito l’invocata applicazione di quel che la difesa definisce “bancarotta riparata in ambito documentale” un fuor d’opera, dal momento che tale fattispecie presuppone l’attività di reintegrazione patrimoniale, per giunta prima della dichiarazione di fallimento (cfr., ad es., Sez. 5, n. 14932 del 28/02/2023, Mercuri, Rv. 284383 01; Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, COGNOME, Rv. 271922 – 01: «la bancarotta cosiddetta “riparata” si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, sicché è onere dell’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati»), ciò che non si è verificato nel caso di specie.
In disparte il dirimente rilievo legato alla mancata tempestività dell’attività del ricorrente, la Corte territoriale ha altresì evidenziato la sostanziale irrilevanza della condotta asseritamente riparatoria del COGNOME, posto che la ricostruzione della documentazione contabile della fallita si è resa possibile grazie all’ausilio fornito dalla società di gestione, non già dall’imputato. In seguito a tale ausilio, ha chiarito inoltre la Corte, è venuta a emersione una “doppia” contabilità, l’una ufficiale, ·l’altra effettiva (e disvelatrice, quest’ultima, della falsità dei bilanci dell’azzeramento di crediti per finanziamenti infruttiferi).
Si noti anche, per inciso, l’eloquente dato della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche alla luce di una condotta che i giudici di merito hanno valutato in termini di particolare gravità, con ciò escludendo, a fortiori, l’effettività di qualsivoglia ausilio prestato dall’imputato agli organi della curatela nella ricostruzione della documentazione contabile della fallita.
A tal proposito, le eccezioni difensive si connotano -come già anticipato- per assoluta genericità e assenza di specificità, non essendo altrimenti argomentato e dimostrato, in particolare, che i prelievi operati tra il 2011 e il 2013 siano stati utilizzati per il pagamento dei dipendenti (sulla necessità della preliminare dimostrazione non solo dei destinatari dei pagamenti, ma anche della loro causale, a proposito di pagamenti “in nero”, v. Sez. 5, n. 47561 del 11/10/2016, Morosi, Rv. 2687002). Medesima genericità connota l’asserzione relativa a un vantaggio compensativo a favore del gruppo. A tal riguardo, è appena il caso di ricordare che, per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, la difesa avrebbe dovuto indicare in termini specifici il saldo finale positivo delle operazioni ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata; elementi, questi ultimi, indispensabili per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società, non bastando, a tal scopo, né allegare la mera partecipazione al gruppo, né l’esistenza di un vantaggio, non meglio specificato, per la società controllante: cfr. ad es., Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, Zanoni, Rv. 277545 – 01). Assertive e generiche sono altresì le affermazioni relative alla “perfetta quadratura delle operazioni contabili” derivante dal confronto tra l’informativa della Guardia di finanza e la movimentazione di cassa.
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente