Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15812 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15812 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Vercelli il 09/04/1975 avverso la sentenza del 20/09/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del 22 giugno 2023 del Tribunale di Busto Arsizio che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME, amministratore dal 12 ottobre 2012 al 15 febbraio 2018 della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 7 maggio 2018, per più condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 1) – tra le quali anche quella contestata alla lettera d) del più ampio capo 1) originariamente qualificata
come bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose – e per più condotte di bancarotta fallimentare semplice (capo 2) e, applicate le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare, la Corte di appello ha prosciolto NOME COGNOME dalle imputazioni di bancarotta semplice e ha conseguentemente ridotto la pena principale e la durata delle pene accessorie, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 216, primo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942 e la carenza della motivazione.
Sostiene che il reato non sussiste, mancando lo stato di insolvenza e i requisiti di fallibilità della società e che non sono state spiegate le ragioni per quali le condotte oggetto di contestazione sarebbero state idonee a cagionare pregiudizio alla società, sebbene effettuate in un periodo di normale operatività e regolare funzionamento dell’impresa.
Aveva errato la Corte di merito nel ritenere che, in caso di fallimento, qualsiasi destinazione di risorse ad impieghi estranei all’attività di impresa costituisse condotta distrattiva integrante una bancarotta fraudolenta patrimoniale indipendentemente dal periodo in cui era stata attuata e dalle condizioni economiche della società; non potevano considerarsi bancarotte fraudolente patrimoniali quelle condotte che, pur determinando un impoverimento della società, erano state attuate in un momento in cui questa aveva comunque a disposizione risorse rilevanti ed in grado di garantire il pieno soddisfacimento delle ragioni creditorie.
Nella sentenza non vi è alcuna analisi del rapporto cronologico tra le condotte distrattive e la successiva dichiarazione di fallimento o degli eventuali indici di fraudolenza o dell’elemento soggettivo, mentre dall’istruttoria era emerso che il passivo fallimentare non aveva neppure raggiunto l’importo di euro 12.000,00 e tutti i creditori erano stati integralmente soddisfatti.
Per la sussistenza del reato era necessario che la condotta fosse idonea a generare un concreto pericolo per le ragioni creditorie e che il dolo generico fosse riconoscibile sulla base di una serie di «indici di fraudolenza» necessari a dar corpo a quella prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione alla condotta contestata alla lettera d) del capo 1), la violazione del principio di correlazion
tra accusa e sentenza fissato dall’art. 521 cod. proc. pen., sostenendo che il Tribunale non si sarebbe limitato a riqualificare giuridicamente il fatto, ma avrebbe condannato l’imputato per un fatto diverso da quello contestato, omettendo di restituire gli atti al Pubblico ministero.
La Corte di appello ha in proposito replicato che il fatto storico era rimasto lo stesso ed era mutata solo la sua qualificazione giuridica, mentre il ricorrente sostiene che i due reati, la bancarotta fraudolenta impropria per effetto di operazioni dolose e la bancarotta fraudolenta patrimoniale, presentano elementi costitutivi diversi.
Secondo il ricorrente non vi è corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi e co riguardo alle circostanze di tempo e di luogo.
In particolare, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria per effetto dell operazioni dolose richiede il nesso causale tra queste e la dichiarazione di fallimento, trattandosi di reato di evento.
La operata riqualificazione integra in realtà una modificazione della contestazione che determina diversità del fatto, con violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 219, terzo comma, r.d. n. 267 del 1942 e la carenza ed illogicità della motivazione laddove la Corte di appello non ha applicato l’attenuante prevista dalla citata disposizione.
Evidenzia che la Corte di merito ha escluso la possibilità di applicare detta attenuante con una motivazione errata, carente ed illogica, avendo affermato che l’entità dei debiti risultanti dall’ultimo bilancio escluderebbe il danno di li entità.
La Corte territoriale avrebbe fatto riferimento ad un accordo con le società collegate che non aveva sortito effetti benefici, tanto che anche le altre società erano state dichiarate fallite. Il ricorrente sostiene allora che il giudizio sull’en del danno deve essere operato con esclusivo riferimento alla società fallita, non potendo farsi riferimento a situazioni esterne come il fallimento di altre società le cui cause erano rimaste sconosciute. Peraltro, nessuna società collegata alla Linea Finanza RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita.
La valutazione dell’entità del danno andava, invece, operata facendo riferimento al valore dei beni sottratti all’attivo fallimentare, in termin riduzione dell’attivo disponibile per la soddisfazione delle ragioni creditorie per come emerse nella formazione della massa passiva fallimentare.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 62, 6, cod. pen. e della carenza ed illogicità della motivazione laddove la Corte di
appello non ha applicato l’attenuante prevista dalla citata disposizione.
La Corte di appello ha ritenuto che l’attenuante potesse trovare applicazione solo in caso di effettivo ed integrale risarcimento del danno, ritenendo che l’ammontare di quest’ultimo andasse determinato in misura pari all’ammontare del passivo, mentre semmai il danno andava quantificato nella differenza tra attivo e passivo fallimentare.
Poiché i creditori erano stati integralmente soddisfatti in sede di riparto, l’ammontare corrisposto a titolo di risarcimento era stato ritenuto congruo dalla procedura ed il suo versamento era avvenuto prima del giudizio e, pertanto, la Corte di merito avrebbe dovuto motivare in ordine alle ragioni della ritenuta inidoneità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve preliminarmente ribadirsi in questa sede che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, ma è sufficiente aver cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683).
La giurisprudenza di questa Corte si è da tempo orientata nell’affermare che nel reato di bancarotta fraudolenta «… i fatti di distrazione, una volta intervenut la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori: per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, sicché né la previsione dell’insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell’atto dispositivo, né la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell’atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell’antigiuridicità penal della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l’esistenza di un tal nesso lo ha previsto espressamente nell’ambito della legge fallimentare, all’art. 223, distinguendo le condotte previste dall’art. 216 (legge fall., art. 223, comma 1) da quelle specificamente volte a cagionare il dissesto economico della società (legge fall., art. 223, comma 2), per modo che solo in tali ultime fattispecie delittuose è previsto un nesso causale o psichico tra
condotta ed evento» (Cass., Sez. 5, n. 39546 del 15/07/2008, COGNOME).
È ben vero che, come osservato dal ricorrente, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562).
Questa Corte di cassazione ha pure da tempo affermato che «il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo, ed è pertanto irrilevante che al momento della consumazione l’agente non avesse consapevolezza dello stato d’insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato» (Cass., Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, COGNOME, Rv 251214).
L’imprenditore deve considerarsi sempre tenuto ad evitare l’assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel senso di doversi astenere da comportamenti che abbiano in sé margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica gestione dell’impresa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
Le Sezioni Unite con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805) hanno affermato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualsiasi momento siano stati commessi e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.
In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario, da un lato, che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e sulla base dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specific condizioni dell’impresa e, dall’altro, che tale effettivo pericolo non sia sta neutralizzato da una successiva attività “riparatoria” di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento.
Quanto all’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori e questo anche nel caso in cui l’agente, pur non
perseguendo direttamente il risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante, agisca, consentendo, in tal modo, il suo realizzarsi, così integrando il dolo eventuale (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016 Rv. 266805; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014 Rv. 261348; Sez. 5 n. 12897 del 6.10.99 Rv. 214863 sul tema specifico del dolo eventuale) e presuppone la rappresentazione, da parte dell’agente, del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla no incriminatrice; per integrare l’elemento psicologico del delitto in questione non è, invece, necessario che l’impresa sia in stato di dissesto e che di tale stato sia consapevole l’agente (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, COGNOME, Rv. 222388; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879)
L’accertamento dell’elemento oggettivo del reato di pericolo concreto e del dolo generico deve basarsi sugli ordinari criteri, valorizzando, in particolare, l ricerca di “indici di fraudolenza” necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e alla relativa proiezione soggettiva, ossia all’accertamento, in capo all’agente, della consapevolezza e della volontà della condotta in concreto pericolosa, il giudice penale – fuori dei casi di immediata evidenza dell’estraneità o, viceversa, della riconducibilità del fatto al paradigma della fraudolenza – deve dar conto della valenza dimostrativa di tali indici con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha chiarito le ragioni per le quali le condotte oggetto di contestazione hanno palese natura distrattiva, senza necessità di ricorrere ai cosiddetti indici di fraudolenza: quanto alla condotta contestata alla lettera a) del capo 1), il pagamento di euro 486.000,00 è stato effettuato senza che si fosse verificata la condizione cui era subordinata l’insorgenza del credito in capo alla controparte; quanto alla condotta contestata alla lettera b) del capo 1), trattasi del versamento della somma di euro 629.000,00 in favore della controllante RAGIONE_SOCIALE, contabilizzato come finanziamento ed avvenuto per finalità estranee all’oggetto sociale ed in assenza di prevedibili vantaggi compensativi; peraltro, la Corte territoriale ha cura di evidenziare che parte della somma versata alla RAGIONE_SOCIALE per euro 500.000,00, è stata da questa girata ad una società uruguaiana in regione di un contratto di prestito sottoscritto nello stesso giorno del bonifico effettuato dal fallita, mentre la restante parte, al pari della somma oggetto della condotta di cui alla lettera c) del capo 1), è stata versata in favore dell’imputato in proprio anche la condotta di cui alla lettera d) del capo 1 ha natura palesemente distrattiva, trattandosi di cessione di crediti avvenuta a prezzo vile.
Il ricorrente mostra di non volersi confrontare con le ragioni poste dalla Corte di merito a fondamento della sua decisione, cosicché il motivo di ricorso risulta inammissibile perché generico.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza posto che l’immutazione si verifica solo laddove ricorra tra i due episodi un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa (Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427).
La condotta storico-naturalistica contestata alla lettera d) del più ampio capo 1) è la stessa per la quale l’odierno ricorrente ha riportato condanna, sebbene diversamente qualificata; in particolare, la condotta era stata originariamente contestata quale bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose, mentre del tutto correttamente il Tribunale, con decisione poi confermata dalla Corte di appello, ha ritenuto che il fatto fosse sussumibile quale bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Deve, a tale proposito, osservarsi che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, legge fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicant un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, primo comma, e 216, primo comma, n. 1), legge fall. – in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in t di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione ex ante, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Mora, Rv. 279071).
Nel caso di specie, in cui la condotta è consistita nella cessione a prezzo vile di crediti della società, in applicazione del principio sopra esposto, l riqualificazione giuridica è avvenuta correttamente.
Peraltro, la mera riqualificazione giuridica, senza immutazione del fatto storico-naturalistico contestato, è operazione consentita in qualunque stato e
grado del processo.
Né il ricorrente ha dedotto con ratto di appello che detta riqualificazione fosse avvenuta senza previo avvertimento da parte del Tribunale della sua
possibilità.
3. Sono, invece, fondati il terzo ed il quarto motivo.
In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, comma 3, legge
fall. 16 marzo 1942, n. 267, deve essere posto in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che
sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti (S
5, n. 19981 del 01/04/2019, COGNOME, Rv. 277243 – 01, che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza della corte di appello che non aveva
riconosciuto l’attenuante facendo solo riferimento all’ammontare del passivo fallimentare).
Analoghe considerazioni valgono per la quantificazione del danno al fine di accertare se questo sia stato poi risarcito dall’imputato prima dell’inizio de
dibattimento.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al diniego dell’applicazione delle attenuanti di cui all’art. 219, terz comma, I. fall. ed all’art. 62, n. 6, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio su ta punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego delle attenuanti di cui all’art. 219, terzo comma, I. fall. ed all’art. 62, n. 6, cod. pen., con rinvio per nuovo esame su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Così deciso il 20/03/2025.