Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29838 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29838 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GARDONE VAL TROMPIA il 17/05/1979
avverso la sentenza del 11/12/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
NOME
che ha -ustrendo
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio udito il difensore i motivi di gravame ed insiste
L’avvocato NOME COGNOME espone nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza dell’Il dicembre 2024, in riforma della sentenza di assoluzione resa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città e in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha dichiarato non doversi procedere per il reato ascritto sotto la lettera C) in quanto estinto per prescrizione e ha condannato NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
Il difensore dell’imputato affida il proprio ricorso a due motivi, qui riportati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc.
2.1. Con il primo motivo si duole della violazione e falsa applicazione della legge fallimentare, della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e del travisamento della relazione del curatore là dove la Corte d’appello ha ritenuto l’imputato colpevole di bancarotta fraudolenta documentale cd. specifica per avere tenuto, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. o d recare pregiudizio ai creditori, il libro inventari senza indicazione dei dettagli relativi alle rimanenze, in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio.
Deduce il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe confuso elementi tipici della bancarotta documentale con quelli della bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere ritenuto conferente l’assenza di giustificazione documentale relativamente alle immobilizzazioni materiali e alla loro svalutazione, elementi questi che, al più, avrebbero potuto avere rilievo al fine di integrare il diverso reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In ogni caso, osserva, la tenuta parziale del libro inventari non avrebbe di fatto impedito, come riconosciuto nella stessa sentenza impugnata e come emergerebbe dalla relazione del curatore, l’agevole ricostruzione da parte di quest’ultimo del patrimonio sociale. Silente del tutto sarebbe poi rimasta la Corte territoriale nell’individuazione di quegli elementi utili per ricondurre il dato oggettivo della tenuta del libro inventari alla specifica volontà dell’imputato di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio al fine di recare pregiudizio ai creditori così sottovalutando completamente il dato incontestato, in quanto emergente dalla relazione ex art. 33 I.fall., della regolare tenuta della contabilità fino fallimento.
2.2. Con il secondo motivo deduce, sempre a norma dell’art. 606, comma 1, lett.b) ed e), cod. proc. pen., che la “svalutazione dei beni” di cui all’allegat 11 della relazione, per come effettuata all’atto della messa in liquidazione della società, erroneamente sarebbe stata equiparata a distrazione e nessuna prova sarebbe emersa in ordine al mancato reperimento dei beni avendo fatto discendere tale fatto dalla “eliminazione contabile”. Rileva che la Corte d’appello
avrebbe omesso qualsiasi reale analisi della relazione del curatore il quale non avrebbe mai sostenuto la distrazione dei beni, tanto da essere riuscito a vendere quelli rimasti nella sede sociale. La Corte, poi, avrebbe tralasciato di valorizzare il fatto che già nel 2013 la società, poi fallita il 18 giugno 2015, era stata posta in liquidazione e che tale momento è quello in cui il patrimonio aziendale si trasforma da complesso produttivo in complesso di beni destinati alla monetizzazione. Ciò, si deduce in ricorso, comporterebbe il venir meno del principio delle valutazioni in bilancio incentrate sulla continuità aziendale e comporterebbe, invece, l’abbandono degli ordinari criteri di valutazione previsti dalle disposizioni sul bilancio d’esercizio dovendosi apprezzare le attività secondo i criteri di realizzo e le passività secondo il valore di estinzione. Rileva, inoltr che l’operazione contabile di svalutazione dei beni era un’operazione obbligata in quanto effettuata quando la società, ormai in liquidazione, non aveva più commesse e non pagava più i canoni di locazione dell’immobile ove esercitava l’attività sociale. Gli impianti e le addizioni all’immobile oggetto di locazione che la fallita si accingeva a lasciare servivano per portare avanti il business aziendale ed erano ormai privi di rilevanza economica attesa appunto la cessazione dell’attività sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di quanto si dirà appresso.
Il secondo motivo di ricorso che, per comodità espositiva, si ritiene di trattare in primis, è infondato ai limiti dell’inammissibilità.
La Corte d’appello, ribaltando la sentenza di assoluzione di primo grado, ha condannato l’imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere distratto in tutto o in parte i beni indicati nell’allegato 11 alla relazione d curatore fallimentare (capo a).
La lettura della motivazione in parte qua conduce a ritenere pienamente soddisfatto l’onere, sussistente in capo al giudice di appello che riforma la sentenza assolutoria di primo grado, di fornire una motivazione che, nel sovrapporsi a quella della sentenza riformata, ne confuti specificamente e logicamente gli argomenti rilevanti (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258005; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638). I Giudici d’appello, infatti, dopo aver evidenziato che nella sentenza di primo grado si fa esclusivo riferimento, per fondare l’assoluzione, alle osservazioni del consulente di parte che ha recepito acriticamente quanto riferito dall’imputato, hanno stigmatizzato, che «nessun esame dei beni di cui all’allegato 11 [che sono quelli richiamati nel capo di
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imputazione] risulta essere stato compiuto». Hanno, quindi, analizzato, con meticolosità, il suddetto allegato alla luce delle indicazioni del curatore evidenziando così sia quei beni per i quali può escludersi la distrazione, sia quelli di cui è pacifica l’originaria esistenza (anch’essi espressamente elencati) in relazione ai quali è mancata la prova della loro destinazione o del ricavato proveniente dall’alienazione (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza di appello). Hanno, quindi, correttamente, ritenuto configurabile la bancarotta fraudolenta patrimoniale che risulta integrata quando venga posta in essere un’operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (Sez. 5, n.36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106).
Con questi chiari e lapidari rilievi contenuti nella sentenza impugnata, il ricorrente non si confronta e continua a reiterare generici argomenti, privi di alcun sostegno probatorio e inidonei, in quanto tali, a vincere la presunzione di distrazione dei beni non rinvenuti al momento dell’apertura della procedura concorsuale. Ed invero, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 7048 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. 231411) e ciò in considerazione della responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e dell’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito, interpellato dal curatore circa la destinazione dei be dell’impresa. Tutto ciò giustifica l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (Sez. 5, n. 8260 del 22/9/2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 11095 del 13/2/2014, COGNOME, Rv. 263740; Sez. 5, n. 22894 del 17/4/2014, COGNOME, Rv. 255385), in quanto, come condivisibilmente ritenuto in motivazione da Sez. 5, COGNOME, cit., «trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, COGNOME e altri, in motivazione)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorrente assume che nessuna prova sussisterebbe in ordine all’esistenza originaria dei beni ritenuti distratti, ma tale censura non solo è del tutto vaga, ma soprattutto illogica in quanto egli stesso afferma che «Gli impianti e le addizioni all’immobile oggetto di locazione che si accingeva a lasciare servivano per portare avanti il business aziendale». Privo di pregio è poi
il rilievo che tali beni «erano ormai privi di rilevanza economica attesa appunto la cessazione dell’attività sociale» in quanto, come condivisibilmente ritenuto da questa Corte, anche una consistenza economica, sebbene minima, esigua o ridottissima, dei beni non recuperati è idonea comunque a costituire garanzia per i creditori (Sez. 5, n. 31680 del 03/06/2021, COGNOME, Rv. 281768).
In conclusione, dunque, la motivazione della Corte d’appello in parte qua è lineare, completa e priva di manifeste illogicità e non risulta minimamente scalfita dalle informazioni fornite dal ricorrente, generiche e prive di alcun riscontro e, quindi, insufficienti per superare la prova della distrazione derivante dalla mancata dimostrazione della destinazione dei beni non rinvenuti (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204).
Merita invece accoglimento, nei limiti di cui si dirà di qui appresso, il primo motivo di ricorso proposto con riferimento alla condanna per bancarotta fraudolenta documentale.
3.1. La lettura del capo di imputazione, al di là dell’improprio richiamo «allo scopo di procurare a sé o ad altro un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori», porta innanzitutto a ritenere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che la fattispecie criminosa contestata sia sorretta dal dolo generico. Ed invero, come da ultimo precisato da questa Corte di legittimità, «rientra nella prima fattispecie delineata dall’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. e richiede il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, la nozione di omessa tenuta, anche parziale, delle scritture contabili, che comprende non solo la mancata istituzione di uno o più libri contabili, ma anche l’ipotesi della materiale esistenza dei libri “lasciati bianco” e si differenzia dal caso, caratterizzato invece da dolo generico, dell’omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale mancanza di annotazioni, ma nell’omessa annotazione di specifiche operazioni» (Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175 – 01). Ed è proprio quest’ultima ipotesi quella contestata e riconosciuta dalla Corte distrettuale che ha affermato la penale responsabilità dell’imputato per avere tenuto il libro inventari «senza l’indicazione dei dettagli relativi alle rimanenze». Il libro inventari, dunque, è stato reperito ed esaminato dagli organi fallimentari e ciò che viene contestato è l’omessa annotazione di dati veri (quali i dettagli relativi alle rimanenze).
Ciò precisato è dunque destituita di fondamento la censura concernente l’omessa motivazione in punto di dolo specifico avendo la Corte d’appello, ritenuto la sussistenza del solo dolo generico consistente nella consapevolezza nell’agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria
la specifica volontà di impedire quella ricostruzione (Sez. 5, n. 5264 del
17/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258881; Sez. 5, n. 24328 del
18/05/2005, COGNOME, Rv. 232209).
3.2. Fondato è, invece, l’argomento speso a sostegno della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
in parte qua.
Ed invero.
la
Corte d’appello dopo avere premesso che «Il curatore, pur affermando di essere riuscito a ricostruire il movimento degli affari rappresenta peraltro, che il
libro di inventari risulta privo dei dettagli relativi alle rimanenze», poco dopo ha affermato che «appare evidente che le scritture, sotto questo profilo, non hanno
consentito la ricostruzione del patrimonio limitatamente alla destinazione delle immobilizzazioni sparite e che ciò è avvenuto in evidente pregiudizio dei
creditori». Tali affermazioni si pongono in netta contraddizione tra loro poiché
delle due l’una: o le omesse indicazioni hanno reso impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio e, allora, costituendo siffatta impossibilità o estrema
difficoltà una peculiare modalità della condotta che interagisce sull’elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale (così,
Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023 , COGNOME, Rv. 284677 – 02), il reato risulta configurabile o, come, invece, afferma il curatore, (cfr. pag. 2 della relazione) «I documenti contabili a disposizione della Curatela hanno consentito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita» nel qual caso, deve pervenirsi a una diversa decisione.
Tale rilevante contraddizione vizia la decisione assunta in parte qua e ne comporta l’annullamento affinché il giudice di rinvio emendi il vizio di cui sopra.
In ultimo occorre precisare che, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. l’affermazione di responsabilità per la bancarotta patrimoniale è dunque definitiva e che l’annullamento disposto in relazione alla bancarotta documentale comporterà anche l’eventuale onere del Giudice del rinvio, all’esito della sua decisione, di rivedere il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo b), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia. Rigetta il ricorso nel resto.
Roma, 7 luglio 2025