Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15131 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15131 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
colpa e con inosservanza degli obblighi stabiliti dalla legge, segnatamente, omettendo di adottare senza indugio i provvedimenti di cui agli artt. 2482-ter e 2484 n. 4 cod. civ., pur in presenza di capitale ridotto di oltre un terzo e al di sotto del minimo legale sin dalla fine dell’esercizio 2014. Anzi, COGNOME e i coimputati stipulavano «il contratto di cui al capo B-bis) e proseguivano l’attività d’impresa pur in presenza di uno stato di insolvenza delineatosi almeno dalla fine del 2014; retribuivano NOME COGNOME non piø amministratore dal 7/1/15, ma semplice dipendente da tale data al 28/11/16 – in misura eccessiva per un impiegato di concetto di terzo livello (circa 42.000 euro annui a fronte dei 25.000 dell’impiegato di terzo livello)».
Il contratto di cui al capo B-bis era quello di consulenza stipulato il 15 dicembre 2014 con la RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di dieci motivi nonchØ di un motivo aggiunto, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione all’art. 192 comma 2 cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione della valenza probatoria di 18 messaggi di posta elettronica.
Lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 192, comma 2 cod. proc. pen. in quanto la Corte di appello avrebbe mal interpretato i messaggi, ritenendoli ‘prova diretta’ e non ‘prova indiziaria’. Il ricorrente esamina ciascun messaggio e rileva come siano stati tutti riferibili alla segretaria di COGNOME, NOME COGNOME in relazione alla quale era stata chiesta l’escussione in sede di istanza di rinnovazione istruttoria non accolta. CosicchØ il criterio probatorio utilizzato dalla Corte di appello, in assenza del riscontro offerto dalla dichiarazione del testimone, risulta integrare un deficit di riscontro alle mail, che restano solo labili indizi, trasformati erroneamente in prova diretta.
2.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge processuale in relazione all’art. 192, commi 2 e 3 cod. proc. pen. in ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni degli imputati COGNOME e COGNOME. In relazione alle stesse sarebbe stato frustrato il diritto della difesa al contraddittorio, in quanto la Corte di appello ha valorizzato le dichiarazioni rese da costoro al curatore fallimentare, senza procedere all’escussione degli stessi, con conseguente assoluta inutilizzabilità delle
dichiarazioni.
2.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge processuale in relazione all’art. 192, commi 2 e 3 cod. proc. pen., quanto alle dichiarazioni della coimputata NOME COGNOME ¨ stata qualificata come chiamante in correità dalla sentenza impugnata, pur non avendo mai ammesso la propria responsabilità, il che ne inficerebbe l’attendibilità quanto alle accuse al COGNOME. La dichiarante, per altro, avrebbe interesse a scagionare se stessa e accusare COGNOME, anche a fronte dell’azione di responsabilità intentata in sede civile dal COGNOME nei di lei confronti.
D’altro canto, le stesse sentenze di merito la ritengono amministratrice di fatto e ne hanno acclarata la responsabilità.
2.4 Anche il quarto motivo lamenta violazione di legge processuale in relazione all’art. 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen. in ordine alla erronea valutazione delle dichiarazioni di COGNOME. In ordine a costui, con la finalità di dimostrarne l’inattendibilità e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni, veniva chiesta l’acquisizione di una rassegna stampa, istanza rigettata dalla Corte di appello.
La Corte di appello, a riguardo, avrebbe travisato il senso della richiesta istruttoria, non tenendo conto che la caratura criminale di COGNOME, emergente dalle notizie di stampa, risultava avere terrorizzato COGNOME che, in sede di istruttoria, non si era difeso a riguardo.
La sentenza risulterebbe contraddittoria, pertanto, poichØ attribuisce la responsabilità a COGNOME che si Ł autoaccusato di avere condiviso con COGNOME l’autonoma determinazione dei prezzi praticati per le vendite, oggetto della dissipazione contestata, corroborate dalle dichiarazioni di COGNOME, senza alcun riferimento a COGNOME come colui che dava le direttive a riguardo.
2.5 Il quinto motivo lamenta violazione di legge processuale in ordine all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. quanto all’avviso di accertamento della Agenzia delle Entrate, annullato dalla Commissione Tributaria provinciale di Torino, oltre che in relazione alla valutazione della sentenza di assoluzione di COGNOME da parte del Tribunale di Torino – per insussistenza del fatto in ordine ai delitti di emissione e indicazione di fatture per operazioni inesistenti in relazione alla Mectra nonchØ di altra sentenza del Tribunale di Alessandria, relativa alle medesime condotte di rilievo penale tributario, per le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
L’incidenza di tali provvedimenti non sarebbe stata valutata dalla Corte di appello, che ha ritenuto fondata l’affermazione di COGNOME quanto all’esigenza di COGNOME di acquisire la quota maggioritaria della RAGIONE_SOCIALE, attraverso RAGIONE_SOCIALE, per coinvolgere la società «in un giro di fatturazioni false». Ma la falsa intermediazione di RAGIONE_SOCIALE viene esclusa dalle sentenze passate in giudicato. La pronuncia del Tribunale di Alessandria Ł stata allegata al motivo nuovo, con attestazione del passaggio in giudicato in data 16 ottobre 2024.
2.6 Il sesto motivo lamenta violazione di legge processuale in ordine alla violazione dell’art. 522 cod. proc. pen.
A riguardo il ricorrente lamenta che la bancarotta sub capo B) sia stata ricostruita dalla Corte di appello in relazione alle condotte di falsificazione dei bilanci al 31.12.2014, alla falsificazione delle scritture contabili, alla finta intermediazione di FIM, fino al cagionamento delle distrazioni di magazzino.
Si tratta di condotte non contenute nell’originario addebito, con radicale modifica dell’imputazione originaria, non essendo stata contestata la violazione per falso in bilancio, per altro non attribuibile all’imputato, quanto alle condotte del 2013 e 2014.
In ordine al 2015, inoltre, difetterebbe la valutazione del dolo, posto che COGNOME non ha approvato il bilancio del 2015 e ha promosso l’azione di responsabilità in sede civile.
2.7 Il settimo motivo lamenta violazione di legge processuale in ordine alla valutazione della complessiva valenza probatoria delle dichiarazioni dei correi, in assenza di riscontri. La condotta dissipativa realizzata attraverso la vendita sottocosto sarebbe stata tratta dalle dichiarazioni di
COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME in uno alle mail: il ricorrente richiama le dedotte censure per violazione di legge processuale proposte in precedenza per ognuno di tali elementi probatori.
2.8 L’ottavo motivo lamenta violazione di legge penale in relazione al capo B), denunciando contraddittorietà della sentenza nella parte in cui non rileva che COGNOME sia stata persona offesa del delitto di cui al capo A-Bis), relativo al cagionamento del dissesto a mezzo delle false comunicazioni sociali in relazione al bilancio 31.12.2014, prima dell’acquisizione delle quote da parte della società dello stesso COGNOME.
Anche per le condotte di mancata convocazione dell’assemblea per deliberare la liquidazione, come in ordine all’eccessivo importo della retribuzione della Pagella, quale dipendente di concetto di terzo livello, alle incongruenze motivazionali della sentenza impugnata si aggiungerebbe la difficoltà di attribuire a COGNOME amministratore di fatto, la commissione mediante omissione ex art. 40 cod. pen.
2.9 Il nono motivo lamenta violazione di legge penale e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo per il capo A).
La sentenza ha completamente omesso di rispondere sul punto, non ha valutato la sussistenza degli indici di fraudolenza, non risultando valutato, in tema di dolo, il venir meno della causale illecita dell’utilizzazione della FIM per le fatturazioni per operazioni inesistenti. Anche la sparizione della merce dal magazzino non risulta corredata dalla verifica del necessario coefficiente soggettivo, difettando la prova della consapevolezza, da parte di COGNOME, delle condotte che dovrebbero essere connotate dalla volontà di dare al patrimonio diversa destinazione, con il dolo proprio dell’extraneus per COGNOME quale amministratore della controllante.
2.10 Il decimo motivo lamenta violazione di legge penale e vizio di motivazione quanto all’elemento soggettivo relativamente al capo B).
Anche in questo caso il ricorrente richiama la giurisprudenza in tema di concorrente extraneus in quanto COGNOME, se anche amministratore di fatto, non aveva sostituito in tutto l’amministratore di diritto. Tanto piø che COGNOME, rispetto alla tardiva convocazione dell’assemblea per dichiarare la liquidazione, subentrava senza sapere della riduzione del capitale per l’esposizione debitoria al di sotto del terzo, per altro per «qualche decina di migliaia di euro».
Anche il dolo, in ordine alla retribuzione di COGNOME, non sarebbe adeguatamente motivato, a fronte della circostanza che COGNOME si Ł limitato a rispettare un contratto preesistente.
Le valutazioni della Corte di appello si baserebbero su presunzioni.
2.11 Il motivo aggiunto lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen., richiamando le considerazioni svolte in tema di prova indiziaria e prova logica, come anche in relazione alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Richiama, il motivo nuovo, il tema del settimo motivo del ricorso principale quanto alla complessiva valutazione del materiale di prova, alla luce del giudicato formatosi quanto alla sentenza del Tribunale di Alessandria, che assolveva COGNOME con effetto probatorio delle sentenze di assoluzione ex art. 238-bis cod. proc. pen.
Ne deriva anche un vizio di motivazione, cosicchØ sarebbe necessaria una valutazione globale del materiale indiziario, non risultando superata la soglia dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Il ricorso Ł stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona dell’Avvocato generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte, con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Il ricorso Ł parzialmente fondato nei termini che seguono.
Va premesso che i motivi dal primo al quinto, nonchØ il settimo e il motivo aggiunto, lamentano tutti violazione di legge processuale ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen.
Tale doglianza non Ł consentita.
2.1 E’ infatti inammissibile la deduzione del vizio di violazione di legge in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027; ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191).
NØ vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. AltoŁ e altri, Rv. 268404).
2.2 Ad ogni buon conto, anche superando tale prima ragione di inammissibilità, le censure poste dai primi cinque motivi sono comunque in parte ulterioremente non consentite, in quanto propongono doglianze riguardanti vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali e tali da imporre una diversa conclusione del processo.
Difatti sono inammissibili tutte le doglianze – come quelle in esame – che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, O., Rv. 26296501). Ciò si verifica in relazione alla valutazione delle mail, proposta singolarmente per ciascun messaggio dal primo motivo di ricorso.
2.3 Venendo alle altre censure, mosse con il primo motivo, in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’escussione di NOME COGNOME la motivazione della Corte di appello chiarisce, senza manifesta illogicità, la natura esplorativa della richiesta, tanto piø che la stessa non era stata avanzata in primo grado.
Va richiamato il consolidato e autorevole orientamento per cui in tema di giudizio di appello, poichØ il vigente codice di rito pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820 – 01). Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli
atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione -in senso positivo o negativo- sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 – dep. 2010, COGNOME, Rv. 246859; mass. conf. N. 8891 del 2000 Rv. 217209 01, N. 47095 del 2009 Rv. 245996 – 01). Ma nel caso in esame la Corte chiarisce comunque la superfluità della escussione ai fini della decisione (fol. 19 della sentenza impugnata), sia per la natura generica della richiesta, sia perchØ non necessaria, il che emerge anche dalla lettura delle pagine successive della sentenza, allorchØ altre fonti di prova si affiancano al documento contenente le mail.
2.4 Venendo al secondo motivo, anche in ordine alla richiesta di rinnovazione istruttoria avente ad oggetto l’esame dei coimputati COGNOME e COGNOME in ordine alle dichiarazioni eteroaccusatorie nei confronti del COGNOME rese al curatore – la Corte di appello ha correttamente argomentato, aderendo all’orientamento consolidato per cui le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali, in ogni caso, e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società (Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013 – dep. 06/12/2013, COGNOME e altri, Rv. 25765001). Si tratta, quindi, di prova documentale (art. 234 cod. proc. pen.) in quanto diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, cosicchØ il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare (Sez. 5, n. 39001 del 09/06/2004 – dep. 05/10/2004, COGNOME, Rv. 22933001; nello stesso senso Sez. 5, n. 6887 del 13/04/1999 – dep. 01/06/1999, COGNOME, Rv. 21360701; Sez. 5, n. 10654 del 21/09/1992 – dep. 03/11/1992, COGNOME, Rv. 19231401; Sez. 5, n.12338/18 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 272664).
NØ tantomeno si verte in tema di dichiarazioni inutilizzabili, in quanto, come evidenzia la Corte territoriale, richiamando correttamente Sez. 5, n. 17828 del 09/02/2023, Caserta, Rv. 284589 – 02, Ł manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 191, 195 e 526 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 6 CEDU, 47, comma 2, e 48 C.D.F.U.E., nella parte in cui non Ł prevista l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese al curatore nel corso della procedura fallimentare e da questi trasfuse nella propria relazione, posto che il curatore non svolge attività ispettive e di vigilanza, ma, in qualità di pubblico ufficiale, Ł tenuto a rappresentare nella relazione a sua firma anche “quanto può interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale”, dando corso all’audizione dei soggetti diversi dal fallito per richiedere informazioni e chiarimenti occorrenti “ai fini della gestione della procedura” (il caso era proprio quello di dichiarazioni rese al curatore da un teste e da un indagato di reato connesso in ordine al ruolo di amministratore di fatto della fallita rivestito dall’imputato, compendiate nella relazione e oggetto di testimonianza indiretta da parte dello curatore stesso).
D’altro canto, con specifico riferimento alla circostanza che la Corte di appello non abbia disposto l’esame dei coimputati, consolidato Ł l’orientamento per cui se l’imputato o il suo difensore non ne abbiano chiesto l’esame, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 l. fall., Ł utilizzabile quale prova a carico dell’imputato (Sez. 5, n. 24781 del 08/03/2017 – dep. 18/05/2017, Corrieri e altri, Rv. 27059901; vedi anche Sez. 5, n. 13060 del 08/02/2017 – dep. 17/03/2017, COGNOME, Rv. 27059601).
E nel caso in esame non Ł comprovato nØ risulta dal ricorso, nØ dalla sentenza di primo grado,
che la difesa di COGNOME abbia richiesto l’escussione dei due coimputati, il che rende corretta la decisione della Corte di appello e utilizzabili le dichiarazioni di costoro. D’altro canto, Ł onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 23868 del 23/04/2009 – dep. 10/06/2009, COGNOME, Rv. 243416).
2.5 Sul terzo motivo, inerente alla omessa valutazione di inattendibilità di Pagella, si deduce che la Corte di appello non avrebbe ritenuto la dichiarante una chiamante in reità e non in correità. Il ricorso, però, non si confronta con la motivazione, quanto al ruolo della stessa Pagella e alle dichiarazioni rese da costei. La Corte di appello Ł ben consapevole di come la dichiarante abbia provato a ridimensionare il proprio ruolo (fol. 16), ma al tempo stesso rileva che l’imputata abbia comunque ammesso di aver proseguito nella gestione amministrativa, una volta cessata l’attività quale amministratrice di diritto, così prefigurando ella stessa la qualità di amministratrice di fatto.
In sostanza, l’argomento difensivo che COGNOME non abbia ammesso le proprie responsabilità, il che la renderebbe inattendibile, viene superato dalla Corte di appello ritenendo, in modo non manifestamente illogico, la natura sostanzialmente confessoria delle dichiarazioni rese al curatore, come anche, per altro verso, in ragione dell’esistenza delle mail, riscontri al di lei narrato, nella parte in cui descriveva il controllo quotidiano di COGNOME attraverso la tabella excel. Pagella doveva sempre compilare tale tabella, per consentire a COGNOME di darle le direttive.
Pertanto, non fondata Ł la doglianza che ritiene non sussistente una adeguata valutazione di attendibilità di NOME, perchØ solo chiamante in reità, e d’altro canto il pericolo di accuse tese a scagionare se stessa Ł superato, oltre che dalle fonti orali proprio dal contenuto dei messaggi di posta elettronica.
2.6 In ordine al quarto motivo, quanto a COGNOME, la Corte offre una specifica risposta alla doglianza con la quale se ne lamentava la inattendibilità. Le relative dichiarazioni risultavano intrinsecamente coerenti, oltre che supportate dall’esistenza di univoci e precisi riscontri documentali e orali, quali le dichiarazioni dei coimputati di COGNOME secondo la Corte di merito.
In tal senso, l’orientamento consolidato, in precedenza richiamato, esclude che questa Corte possa effettuare rivalutazioni quanto all’attendibilità, in assenza di manifesta illogicità sul punto, nel caso di specie non riscontrabile.
Anche l’acquisizione degli articoli di stampa – per provare la personalità criminale e la capacità intimidatoria del dichiarante, nonchØ la volontà di rivalsa dello stesso verso COGNOME – viene negata dalla Corte territoriale con motivazione adeguata: i quotidiani non comprovano i fatti, in assenza di riscontro processuale, cosicchØ va qui richiamato quanto già esposto in ordine alla rinnovazione istruttoria in appello, in ordine ai suoi limiti e agli oneri motivazionali.
La doglianza relativa alla contraddittorietà della sentenza – che attribuisce a COGNOME la determinazione dei prezzi praticati per le merci, solo sulla base delle dichiarazioni di COGNOME, mentre diverso sarebbe il portato delle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME – non si confronta anche in questo caso con la motivazione impugnata. Infatti, anche COGNOME narrava che COGNOME e COGNOME insieme trattassero con i clienti e COGNOME gli aveva riferito che quotidianamente era COGNOME che autorizzava i contratti di acquisto e di vendita, stabiliva i prezzi e teneva direttamente i rapporti con clienti e fornitori (fol. 22).
In tal senso la doglianza Ł mal posta, in quanto a fronte di una nitida ricostruzione della Corte di appello del ruolo e dell’ingerenza di COGNOME, non emerge alcuna contraddizione logica dal testo della sentenza, nØ il ricorrente denuncia la contraddizione fra il testo e la prova, allegando specificamente le dichiarazioni di COGNOME e di altri per contestare, tramite travisamento, la ricostruzione operata dalla sentenza.
2.6 Quanto al quinto motivo, deve premettersi che la doglianza si fonda sulle sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Torino e del Tribunale di Torino, del 21 febbraio 2024, il cui solo dispositivo con le imputazioni era stato acquisito in sede di discussione in appello.
La motivazione di tale ultima sentenza – relativa alla assoluzione di COGNOME per insussistenza del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 74 del 2000, per aver indicato nella dichiarazione annuale 2016, presentata da RAGIONE_SOCIALE per l’anno di imposta 2015, elementi passivi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse proprio dalla fallita RAGIONE_SOCIALE (capo B) – veniva depositata dopo la sentenza della Corte di appello qui impugnata, il 28 aprile 2024.
La sentenza Ł divenuta irrevocabile il 4 luglio 2024.
Inoltre, il ricorrente allega al ricorso altra sentenza, emessa dal Tribunale di Alessandria il 7 maggio 2024, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2024, quindi dopo il deposito del ricorso in cassazione, come attestato da quanto allegato al motivo nuovo. Questa ultima pronuncia riguarda COGNOME quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE, accusato ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 74 del 2000, per l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti in favore di RAGIONE_SOCIALE, in sostanza il delitto speculare a quello contestato nel processo torinese.
La sentenza del Tribunale di Alessandria mandava assolto COGNOME ma anche COGNOME per insussistenza del fatto.
COGNOME rispondeva di analoghi reati, quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE per emissione di fatture per operazioni inesistenti in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma anche ex art. 2 d.lgs. cit., per l’indicazione in dichiarazioni di fatture per operazioni inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE
Ebbene, la produzione delle due sentenze risulta ritualmente avvenuta dinanzi a questa Corte di cassazione. Infatti, va richiamato il principio per cui nel giudizio di legittimità Ł consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile quando non sia stato possibile produrla nei precedenti gradi di giudizio, ma la stessa non può, tuttavia, essere oggetto di valutazione ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen., imponendosi l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata al fine di permettere una riconsiderazione nel merito del quadro probatorio, ferme restando le preclusioni processuali già maturate (Sez. 6, n. 13461 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284473 – 01; conf. N. 3702 del 2013 Rv. 254766 – 01, N. 38569 del 2014 Rv. 259904 – 01, N. 19409 del 2019 Rv. 276653 – 02).
Tanto premesso, va delineato l’ambito di incidenza della produzione delle sentenze rispetto alla motivazione qui impugnata ed, in particolare, alla contestazione suppletiva operata dal Pubblico ministero al capo A) – relativamente alla bancarotta documentale › – all’udienza del 13 ottobre 2021.
La condotta di bancarotta documentale, contestata al capo A) in forma alternativa, recepiva la contestazione suppletiva dell’aver emesso e utilizzato, COGNOME in concorso con gli altri imputati, fatture per operazioni inesistenti, come da processo verbale accertamento della Agenzia delle Entrate di Alessandria n. NUMERO_DOCUMENTO, prodotto dalla difesa di parte civile all’udienza del 29/9/21.
Premesso che la bancarotta fraudolenta ha ad oggetto ‘i libri o le altre scritture contabili’, pacifico Ł il principio per cui l’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l’oggetto del reato Ł individuato nelle sole scritture obbligatorie (Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, COGNOME Rv. 281875 – 01; conf.: N. 22593 del 2012 Rv. 252973 – 01, N. 44886 del 2015 Rv. 265508 – 01).
In tal senso rientrano anche le fatture, richiamate dall’art. 2214, comma secondo, cod. civ., che sono suscettibili di sottrazione, distruzione o falsificazione, ovvero di tenuta irregolare.
Occorre, pertanto, nella prospettiva di cui si leggerà di qui a poco, procedere all’annullamento
con rinvio, quanto al solo trattamento sanzionatorio, sul punto. Le considerazioni svolte sulla non veridicità dei documenti di trasporto, richiamata dalla sentenza qui impugnata (fol. 24), devono infatti confrontarsi con le sentenze allegate, che ritengono non provata la tesi della inesistenza delle operazioni fatturate.
Tanto premesso, quindi, a fronte della contestazione in astratto, in sede di rinvio la Corte di appello dovrà valutare l’incidenza delle sentenze allegate dal ricorrente rispetto a tale frazione della condotta di bancarotta fraudolenta documentale in contestazione, dovendo valutare quale incidenza possa avere ai fini del trattamento sanzionatorio e non certamente della sussistenza del delitto di bancarotta documentale, incentrata sulla omessa contabilizzazione dei ricavi conseguenti alla cessione del materiale di magazzino distratto.
La censura mossa dal presente motivo non ha, evidentemente, incidenza sulle ulteriori condotte, documentali oltre che distrattive. NØ risultano le allegate sentenze decisiva per smentire la dichiarazione di COGNOME, che riferiva come COGNOME avesse acquisito, tramite RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE al fine di coinvolgere tale società in un giro di fatturazioni false (foll. 20-21 della sentenza impugnata). A ben vedere la ragione per la quale vi sia stata l’acquisizione societaria, come anche la finalità di COGNOME, non assurge nella ricostruzione della Corte di appello a elemento determinante, in quanto la responsabilità di COGNOME non viene tratta dalle sue intenzioni, dal movente, bensì dal compendio probatorio narrativo e documentale fin qui illustrato. D’altro canto, la bancarotta fraudolenta documentale generica – quella in questo caso ritenuta, come si leggerà – e quella patrimoniale richiedono il solo dolo generico e non quello specifico. Il che palesa ulteriormente la non decisività della deduzione difensiva quanto al coefficiente soggettivo. Per altro i motivi del delinquere, ai fini della responsabilità, non risultano decisivi, in quanto l’assenza di movente Ł irrilevante per l’affermazione della responsabilità, allorchØ vi sia comunque la prova dell’attribuibilità della condotta all’imputato, non risolvendosi il suo mancato accertamento nell’affermazione probatoria di assenza di dolo.
In tal senso, quindi, il sopravvenire delle sentenze allegate non ha incidenza disarticolante in relazione all’accertamento della responsabilità di COGNOME con esclusione, ovviamente, del tema già affrontato della falsificazione delle fatture. Per altro, la stessa dedotta inattendibilità di COGNOME, perchØ smentito dalle sentenze allegate, non risulterebbe decisiva, a fronte del complessivo compendio probatorio.
2.7 Quanto al sesto motivo, il ricorrente estrapola dalla parte generale della sentenza al fol. 9, prima dell’esame dei singoli atti di appello e della trattazione delle singole posizioni, una ricapitolazione delle accuse sintetica, che si riferisce a tutte le imputazioni, fra le quali anche quella sub capo A-bis), della quale non risponde l’imputato.
Pertanto, non può trarsi da una mera affermazione riassuntiva della Corte di appello – che precisa che della «analisi delle condotte ascritte si tratterà in relazione a ciascuno degli atti di appello» – la trasformazione radicale del fatto contestato rispetto a quello ritenuto sussistente con la sentenza.
Tale doglianza Ł aspecifica, in quanto non si confronta con la valutazione dedicata a COGNOME.
2.8. In ordine al settimo motivo, come anche al motivo aggiunto, da trattarsi congiuntamente, deve evidenziarsi come – a fronte della censura non consentita della violazione di legge processuale in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e della infondatezza dei motivi dal primo a quarto – consegue la piena utilizzabilità del materiale probatorio.
Il settimo motivo, come anche il motivo aggiunto, richiedono nella sostanza, erroneamente, in tema di valutazione della prova indiziaria, che il giudice di merito si limiti ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi. Invece correttamente la Corte di appello procede ad una analisi complessiva, che non si sostanzia solo in una mera sommatoria degli indizi, valutando alla
luce delle censure proposte in appello, anzitutto, i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza, saggiarne l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica) e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioŁ, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (ex multis Sez. 1, n. 44324 del 18 aprile 2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321; Sez. 1, n. 20461 del 12 aprile 2016, P.C. in proc. COGNOME, Rv. 266941). Tale operazione ermeneutica viene correttamente svolta dalla Corte di appello, cosicchØ le doglianze che lamentano una supervalutazione dei singoli indizi risultano infondate.
Il quadro probatorio consente alla Corte di merito di ricostruire senza manifeste illogicità il ruolo di COGNOME, quale amministratore di fatto della società poi fallita e in tale qualità concorrente nella distrazione – in concorso con COGNOME e COGNOME – di rimanenze di magazzino per 513.225,00 euro, accusato dai coimputati e da COGNOME, oltre che dalla documentazione telematica acquisita (cfr. fol. 22 della sentenza impugnata).
2.9 Quanto all’ottavo e al decimo motivo, sono da trattare congiuntamente in quanto riferiti al capo B).
Va premesso che la motivazione impugnata rende conto ampiamente e in modo non manifestamente illogico delle ragioni per le quali COGNOME deve ritenersi amministratore di fatto, comprovata dall’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare. Tale ricostruzione costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta, come nel caso, da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534).
Inoltre, i motivi in esame rappresentano come la concorrenza di piø amministratori di fatto escluderebbe la responsabilità di COGNOME o dovrebbe condurre a qualificarne la posizione come quella di un extraneus.
La doglianza sul punto, portata con il decimo motivo, Ł infondata, in quanto la qualità di amministrazione di fatto non implica l’esclusività delle funzioni. Infatti, in tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279040 – 01).
Per altro, chi ricopre le funzioni di amministrazione, di fatto e anche in via non esclusiva, ha comunque il dovere di adempiere agli obblighi nell’interesse della società: infatti in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., l’amministratore “di fatto” di una società Ł gravato dell’intera gamma dei doveri cui Ł soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, Ł penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.( Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 250844; Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094).
Tanto premesso, la circostanza che COGNOME sia stato persona offesa della condotta di bancarotta a mezzo false comunicazioni sociali – contestata al capo A-bis) ai soli coimputati, per il
periodo antecedente alla acquisizione societaria da parte di RAGIONE_SOCIALE – non si confronta con la motivazione non manifestamente illogica, nØ tantomeno contestata con una denuncia di travisamento, per cui COGNOME sarebbe stato invece informato della situazione di grave perdita nella quale versava la società. Ciò emergeva dall’accordo del 9 marzo 2015, relativo alla acquisizione delle quote societarie, al quale era allegata la situazione patrimoniale al 31 dicembre 2014, che riportava la perdita di euro 38mila che azzerava il capitale sociale. In sostanza COGNOME non era ignaro, bensì ben consapevole di subentrare in una società che andava condotta allo scioglimento o alla ricapitalizzazione, nØ la sua versione a riguardo Ł stata ritenuta attendibile, come si legge ai foll. 20 e 23 della sentenza impugnata.
Non rileva neanche il dato, in vero genericamente dedotto, che si sia trattato di una riduzione del capitale sociale limitata, in quanto al verificarsi di tale evento – perdita del capitale sociale – si integra per l’amministratore la necessità di provvedere «senza indugio», a fronte della causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2485, comma 1, cod. civ., alle determinazioni di cui all’art. 2484 cod. civ. procedendo allo scioglimento della società ovvero alla ricostituzione del capitale sociale.
Non manifestamente illogico Ł stato il rilevare, da parte della Corte di merito, la tardività dell’azione di COGNOME che, subentrato tramite RAGIONE_SOCIALE in data 11 maggio 2015, solo il 28 giugno 2016 chiese la convocazione della assemblea straordinaria per le determinazioni relative allo scioglimento, attendendo l’esito delle trattative, risultate vane, per la cessione delle quote societarie alla RAGIONE_SOCIALE «subordinando l’adempimento dei propri obblighi di socio di RAGIONE_SOCIALE agli interessi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
La decisione della Corte di merito Ł in linea con il principio per cui in tema di bancarotta semplice, la convocazione dell’assemblea dei soci, ex art. 2482-bis, cod. civ., in presenza di una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo per perdite, rientra tra gli “obblighi imposti dalla legge” la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 224, primo comma, numero 2, legge fall., quando costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento (Sez. 5, n. 11311 del 19/12/2019, dep. 03/04/2020, COGNOME Rv. 278804 – 01; conf.: n. 8863 del 2015 Rv. 263421 – 01, N. 154 del 2006 Rv. 233385 – 01).
D’altro canto, non Ł oggetto di censura l’aggravarsi del dissesto ex art. 224, n. 2 l. fall., come ricostruito in sentenza al fol. 8 e accertato in primo grado, per cui al dicembre 2015 la perdita in bilancio era pari a oltre 314mila euro, mentre la perdita alla data della assemblea straordinaria del 21 ottobre 2016 risultava raddoppiata, il che integrava l’aggravio richiesto dalla norma incriminatrice.
Quanto alle doglianze rivolte alla condotta di COGNOME in ordine al contratto stipulato, prima del suo subingresso, da FIM con COGNOME, oggetto dell’imputazione sub capo B), si tratta di doglianza inedita, che non risulta specificamente proposta alla Corte di appello, che non la indica nella ricapitolazione dei motivi di appello, senza che il ricorrente contesti tale mancanza. Ciò rende il motivo sul punto non consentito per quanto prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.
Quanto alla censura relativa al dolo, in ordine al capo B), deve evidenziarsi come della consapevolezza di Benzi la Corte di merito abbia dato conto e la censura che ne lamenta l’omessa valutazione Ł manifestamente infondata: la contestazione in esame richiede la colpa specifica, quale coefficiente soggettivo. Difatti, come ha chiarito in motivazione Sez. 5, n. 154 del 26/05/2005, dep. 05/01/2006, COGNOME, Rv. 233385 – 01 «la prevedibilità dell’evento colposo Ł insita nello stesso precetto normativo violato, perchØ la norma – nel caso specifico l’articolo 2447 c.c. – Ł imposta dalla necessità di evitare il pericolo che si verifichi l’evento dannoso attraverso l’inosservanza del comportamento indicato nel precetto normativo. Da tali considerazioni emerge con chiarezza anche la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto contestato. Infatti, nella condotta Ł ravvisabile, come si Ł già messo in evidenza, la colpa specifica consistente nella inosservanza di
una norma di legge, ovvero nel mancato rispetto della regola cautelare imposta dagli articoli 2446 e 2447 cod. civ.».
Ne consegue la infondatezza dei motivi in ordine al capo B).
2.10 In ordine al capo B) va, comunque, evidenziato come, la natura non inammissibile dei relativi motivi, conduca a ritenere intervenuta l’estinzione del reato per prescrizione. Infatti, il termine, a tali fini, di anni sette e mesi sei a seguito di interruzione, tenuto in conto che il fallimento Ł stato dichiarato in data 21 dicembre 2016, ha determinato l’estinzione del reato in data 21 giugno 2024. Ne consegue che, non risultando sussistenti le ragioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., per quanto fin qui evidenziato, occorre annullare la sentenza impugnata sul punto senza rinvio per tale causa.
2.11 Quanto al nono motivo, le censure di appello proponevano una doglianza generica in merito al dolo della bancarotta documentale.
Rappresentavano che COGNOME non potesse rispondere dell’approvazione del bilancio 2015, che non aveva approvato, nØ della falsificazione dei bilanci della tenuta dei libri inventari del 2013 e 2014 essendo subentrato nel 2015.
Diversamente non vi Ł traccia, nella ricapitolazione dei motivi operata dalla Corte di appello, e non contestata dal ricorrente, di censure inerenti al dolo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, cosicchØ sul punto il motivo in esame non Ł consentito perchØ inedito.
Tornando alla bancarotta documentale, la doglianza sul dolo viene risolta dalla Corte di appello riferendo che COGNOME era stato protagonista della dissipative vendite dei beni dal magazzino, cosicchØ essendo dominus della società, anche sulle modalità di contabilizzazione e di tenuta delle scritture, l’omessa annotazione dei ricavi tratti dalla vendita dei beni medesimi, in uno alla tardiva attivazione per lo scioglimento o per la ricapitalizzazione della società, risulterebbero tutti indici di fraudolenza.
Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica, oltre che corretta, perchØ correla la condotta di bancarotta documentale generica a quella distrattiva.
A riguardo va evidenziato come tale valutazione risulti in linea con il consolidato orientamento di questa Corte, da ultimo espresso da Sez. 5 COGNOME, che ha osservato come «… gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, o del dolo generico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica, non possono certamente coincidere con la mera scomparsa dei libri contabili o con la sola tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari – e, quindi, rende evidente come, in concreto, a fronte di fenomeni di distrazione, la prova della bancarotta documentale risulti indiscutibilmente piø agevole.
SicchØ, a fronte del dato fenomenico descritto dalla norma incriminatrice, ulteriori circostanze devono essere, volta per volta, individuate dai giudici di merito, funzionali a circoscrivere, in un caso, la finalità di procurare a sØ o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, ovvero, nell’altro, la consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile sia in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio.
Appare evidente come tra le suddette circostanze assuma un rilievo fondamentale la condotta del fallito, nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa, nel senso che, una volta accertati fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il giudice di merito potrà, del tutto ragionevolmente, ricollegare, sul piano probatorio, la logica presunzione per la quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili Ł, di regola, funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale, ovvero che l’omessa tenuta della contabilità, o le condotte ad essa equivalenti, sia funzionale alla detta dissimulazione di atti depauperativi, allo scopo di arrecare un pregiudizio ai creditori o avvantaggiare il fallito, ovvero
terzi» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284677 – 02, in motivazione, che cita Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276910; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, COGNOME, Rv. 262384).
A fronte di tali principi la Corte territoriale per COGNOME riconosce la connessione logica fra le due condotte – distrattiva e documentale- senza incongruenze, confermando la sentenza di primo grado e optando per la bancarotta documentale generica – a fronte della contestazione alternativa contenuta nell’imputazione – e confermando il dolo correlato. A tal riguardo, l’opzione per la bancarotta generica risulta in linea con quanto affermato da Sez. 5, Gualandri: «sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilità sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta, e che detta ultima situazione renda impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, evidentemente proprio la descritta struttura della norma rende possibile non solo la contestazione alternativa, ma anche la sufficienza, ai fini delle individuazione della fattispecie penalmente rilevante, dell’accertamento di una sola delle condotte, ancorchØ diversamente strutturate, purchØ risulti possibile configurare anche il relativo elemento soggettivo».
Ne consegue l’infondatezza delle doglianze sul dolo richiesto per la bancarotta documentale, in vero anche genericamente poste.
Ne consegue, l’annullamento senza rinvio in relazione al capo B) per estinzione del reato a seguito di prescrizione. Ciò implica una eventuale rivalutazione della dosimetria della pena, venendo meno uno dei ‘plurimi fatti’ di bancarotta integranti la relativa aggravante, ritenuta – in uno a quella della gravità del danno cagionato – equivalente alle circostanze aggravanti.
In tale contesto potenzialmente rivalutativo del giudizio di equivalenza dovrà anche, la Corte di rinvio, verificare l’incidenza, sul solo tema sanzionatorio, delle sentenze allegate dal ricorrente, in relazione alla sussistenza o meno di quella frazione di condotta relativa alla bancarotta documentale, inerente all’emissione e l’indicazione di fatture per operazioni inesistenti.
Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo b) per essere il reato estinto per prescrizione. annulla la stessa sentenza relativamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 12/03/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME