Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1688 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1688 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Colle Sannita il 07/02/1970 avverso la sentenza del 09/05/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; uditi i difensori avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza dell’Il novembre 2022 del Tribunale di Benevento che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere, quale amministratore, dalla sua costituzione sino al 15 giugno 2011, della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita in data 1 luglio 2015, in più anni, dal 2007 al 2010, effettuato prelevamenti in
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contanti da un conto corrente intestato alla società o emesso a favore di se medesimo assegni tratti sul predetto conto, in tal modo distraendo la somma complessiva di euro 266.367,49, e, applicata l’aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 2, r.d. n. 267 del 1942, l’aveva condannato, con le circostanze attenuanti prevalenti, alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della Curatela fallimentare, costituitasi parte civile.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la nomina di un perito che ricostruisse tutti i movimenti bancari presso tutte le banche con le quali l’imputato aveva operato e di tutte le transazioni dallo stesso effettuate.
Sostiene di avere formulato istanza in tal senso sin dalla prima udienza innanzi al Giudice di primo grado e che la sentenza di appello, nell’affermare la sua penale responsabilità, si è limitata a prendere in considerazione le sole operazioni di prelevamento da un unico conto corrente, omettendo di tenere conto delle operazioni di versamento da lui effettuate sul predetto conto e presso altri tre conti intrattenuti dalla fallita con diverse aziende di credito.
Su tale istanza la Corte di merito non avrebbe in alcun modo motivato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 616, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., della violazione dell’art. 216, primo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942 e della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui si pretende dall’imputato la giustificazione delle movimentazioni bancarie indicate nell’imputazione, sebbene l’assenza delle scritture contabili non sia a lui imputabile, e nella parte in cui omette di valutare la produzione documentale offerta dalla difesa.
Segnala l’imputato che non gli è stata contestata alcuna condotta di bancarotta documentale, avendo egli dimostrato di avere consegnato le scritture contabili a colui che gli era succeduto nella carica; l’ultimo liquidatore della società aveva dichiarato al curatore che le scritture erano andate distrutte a causa di un’alluvione che nel 2015 aveva colpito il Sannio.
La Corte di appello del tutto illogicamente ha preteso che l’imputato fornisse una giustificazione in ordine alla destinazione delle somme indicate nel capo di imputazione, in quanto tali informazioni erano ricavabili esclusivamente dalle scritture contabili che erano andate distrutte per causa a lui non imputabile.
In ogni caso, l’importo che si assume essere stato distratto è modesto, se raffrontato con il volume di affari della società; peraltro, all’epoca delle condotte oggetto di contestazione la normativa consentiva che la compravendita di autovetture fosse regolata in contanti.
La motivazione, sostiene il ricorrente, sarebbe contraddittoria ed illogica anche laddove non avrebbe tenuto in alcun conto il versamento della somma di euro 70.000,00 effettuato dall’imputato con risorse personali all’atto della sua cessazione dalla carica di amministratore e laddove la Corte di merito ha affermato di non poter considerare il versamento sul conto corrente della società della somma di euro 236.000,00 derivato dalla vendita di uno stock di automobili della fallita, in quanto trattavasi di beni di proprietà della medesima.
Tali elementi di fatto, sostiene il ricorrente, andavano invece considerati perché dimostrativi dell’insussistenza del dolo di bancarotta. Se egli fosse stato animato dal dolo, non avrebbe versato tali somme sui conti correnti bancari della fallita.
Era ben possibile che le somme prelevate in contanti fossero state annotate in contabilità per l’acquisto di automobili o per le attività di loro trasporto manutenzione. Inoltre, il prelievo di tali somme era assolutamente compensato da operazioni di versamento di somme in contanti.
Il ricorrente afferma anche che la Corte di merito avrebbe travisato la prova documentale della insussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta, poiché avrebbe completamente omesso di valutare la documentazione bancaria relativa ad altri tre rapporti di conto corrente intestati alla fallita, nonché la relazio redatta dal Curatore fallimentare dalla quale emergeva l’esistenza, all’atto della sua cessazione dalla carica di amministratore, di un consistente patrimonio sociale che era stato distratto da coloro che gli erano succeduti.
In sostanza, l’attenzione della Corte di merito si è concentrata sui soli prelevamenti, mentre i versamenti in contanti non sono stati considerati, sebbene provati.
La somma dei tre versamenti in contanti avvenuta sugli altri conti correnti, unita all’importo di euro 70.000,00 versato dall’imputato all’atto di rinunciare alla carica di amministratore della società, copre l’intero importo delle distrazioni che gli vengono addebitate.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in ordine al rigetto del motivo di gravame con il quale si chiedeva di riqualificare la sua condotta nel meno grave reato di bancarotta semplice, non essendo state chiarite le ragioni per le quali tali condotte sarebbero state attuate con la piena volontà e prevedibilità del dissesto, specie in considerazione della loro distanza temporale rispetto alla dichiarazione di fallimento.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 163 e 164 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione in ordine al rigetto del motivo di appello con il quale si invocava l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il Tribunale, segnala il ricorrente, si è limitato ad affermare che i precedenti penali dell’imputato sono ostativi all’applicazione del beneficio determinando il superamento dei limiti fissati dalla legge.
Con l’atto di appello si era dedotto che, ai sensi dell’art. 163, primo comma, cod. pen., in caso di irrogazione di pene detentive e pecuniarie che, ragguagliate ai sensi dell’art. 135 cod. pen., superino il limite di due anni, è possibile applicare il citato beneficio solo in relazione alla pena detentiva. Egli era stato condannato esclusivamente a pene pecuniarie per le quali non aveva mai usufruito della sospensione condizionale della pena.
La Corte di merito ha rigettato il motivo osservando che i precedenti penali non consentivano di formulare una prognosi positiva in ordine all’astensione dalla commissione di ulteriori reati, ma la motivazione fornita risulta illogica, trattandosi di precedenti penali assai remoti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Occorre ricordare che la rinnovazione dell’istruttoria è possibile, nell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 603 cod. proc. pen., solo se il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e quindi solo se ritiene che la nuova prova possa condurre ad un risultato utile.
Per tale ragione, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275114; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872).
È ben vero che il ricorrente, con il primo motivo di appello ha, tra l’altro, richiesto l’espletamento di una perizia, ma detta istanza era finalizzata a provare che le somme prelevate in contanti dall’imputato sarebbero state poi destinate a scopi inerenti all’oggetto sociale della società poi dichiarata fallita.
Deve, tuttavia, osservarsi che la Corte di appello ha implicitamente motivato su tale istanza, evidenziando che l’imputato non aveva fornito alcuna documentazione utile a provare che le somme personalmente prelevate dal conto aziendale fossero state destinate al soddisfacimento delle esigenze della società.
Il ricorrente ha sostenuto che le somme prelevate in contanti erano anche oggetto di operazioni di versamento su altri conti correnti della società per far fronte alle diverse esigenze imprenditoriali, ma la Corte di merito non ha potuto motivare in proposito, trattandosi di deduzione formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione.
In ogni caso, il ricorrente neppure ha spiegato come l’espletamento della perizia avrebbe potuto chiarire tale circostanza, atteso che si tratta di movimentazioni avvenute per contanti.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione; tuttavia il giudice non può ignorare l’affermazione dell’imputato di aver impiegato tali beni per finalità aziendali o di averli restituiti all’avente diritt assenza di una chiara smentita emergente dagli elementi probatori acquisiti, quando le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204).
L’odierno ricorrente ha asserito di avere utilizzato le somme prelevate per contanti o mediante assegni per estinguere passività dell’impresa, ma non ha fornito prova alcuna delle sue affermazioni.
Il Tribunale e la Corte di appello hanno, quindi, entrambi concluso che le condotte per le quali è stata pronunciata condanna integrino altrettante distrazioni patrimoniali ai danni della società.
Quanto al pagamento di debiti nei confronti dei fornitori o di altri creditori sociali, la giustificazione fornita appare estremamente generica, non avendo l’imputato fornito indicazioni su chi siano tali soggetti e quali siano stati gl importi corrisposti a ciascuno di essi, cosicché la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio sopra esposto.
Il ricorrente ha sostenuto che la propria impossibilità di dimostrare che le somme prelevate in contanti sono state utilizzate per il pagamento dei debiti della società dipende dallo smarrimento delle scritture contabili, a lui non imputabile, tanto che egli non è stato condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
In contrario deve osservarsi che entrambi i giudici del merito hanno ritenuto provato che i prelevamenti e gli assegni integrassero altrettante distrazioni di risorse economiche della società fallita non solo in virtù dell’omessa
dimostrazione della destinazione delle somme, ma anche sulla base di una serie di elementi di natura logica che fanno apparire non credibile la tesi sostenuta dall’imputato.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che già nel periodo in cui la società era amministrata dall’odierno ricorrente questa si trovava in difficoltà ed era ormai inattiva, tanto che all’imputato è succeduto suo fratello nella veste di liquidatore. La Corte di appello ha anche segnalato rapporti tra la fallita ed altre società che, essendo queste ultime anch’esse riconducibili all’imputato, appaiono sospetti.
Sulla base di tali elementi, che fanno apparire sussistenti i cosiddetti «indici di fraudolenza», correttamente è stata ritenuta dimostrata la circostanza che le somme prelevate, anche mediante assegni, non siano state destinate alla soddisfazione delle esigenze imprenditoriali della società fallita, in applicazione del principio di diritto sopra esposto.
La motivazione fornita dai giudici del merito appare adeguata e priva di contraddizioni o manifeste illogicità.
Nel resto le censure del ricorrente, laddove, per sostenere la carenza del dolo, pongono in evidenza che vi erano cespiti di rilevante valore economico nel patrimonio della società all’atto della sua cessazione dalla carica di amministratore, attengono al merito, in quanto volte ad ottenere una rivalutazione del materiale probatorio e dei fatti oggetto di contestazione non consentita in questa sede di legittimità.
La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una «mirata rilettura» degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Anche laddove il ricorrente invoca l’ipotesi della cosiddetta «bancarotta riparata», il motivo appare manifestamente infondato.
La Corte di appello ha segnalato che solo la somma di euro 70.000,00, sulla base delle risultanze degli estratti conto bancari, proviene dal patrimonio personale dell’imputato. La somma di euro 236.000,00, pure versata sui conti della società, deriva dall’alienazione di uno stock di automobili di proprietà della società e quindi non è stata versata da NOME COGNOME attingendo a risorse proprie.
Anche il Tribunale, pur dando atto che l’imputato ha prodotto alcune distinte di versamenti eseguiti dal COGNOME sui conti sociali, ha cura di segnalare che le operazioni di versamento sono state eseguite da NOME COGNOME quale amministratore unico della società poi fallita e deve, quindi, ritenersi che le rimesse abbiano avuto ad oggetto proventi della medesima società e non somme di denaro derivanti dal patrimonio dell’odierno imputato.
Correttamente, quindi, il Tribunale e la Corte di appello hanno escluso che ricorra l’ipotesi della bancarotta riparata, che invece richiede che la restituzione abbia ad oggetto l’intero importo delle somme precedentemente distratte.
Peraltro, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804, che ha anche precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza).
3. È manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso.
La Corte di merito, avendo chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, del delitto d bancarotta fraudolenta patrimoniale, ha implicitamente motivato in ordine al rigetto del motivo di gravame volto alla riqualificazione del fatto quale bancarotta semplice patrimoniale.
4. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
La Corte di merito ha adeguatamente motivato il rigetto dell’invocato beneficio affermando che, in virtù dei plurimi precedenti penali, non può pervenirsi ad un giudizio prognostico positivo in ordine all’astensione dalla commissione di ulteriori reati.
Laddove, poi, il ricorrente sostiene che i precedenti penali sarebbero modesti e remoti nel tempo e quindi inidonei a fondare siffatto giudizio, egli invoca una rivalutazione del merito della decisione che non è consentita in questa sede di legittimità.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 15/10/2024.