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Bancarotta fraudolenta prestanome: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 335/2025, ha rigettato il ricorso di un imprenditore, condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. L’imputato agiva come prestanome di un’impresa individuale. La Corte ha confermato che per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta prestanome è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza del rischio che l’amministratore di fatto ponga in essere condotte illecite, senza che sia necessaria la conoscenza di ogni singolo atto. La denuncia di furto delle scritture contabili è stata ritenuta ininfluente ai fini della responsabilità.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta prestanome: la responsabilità penale non si evita

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta il tema della bancarotta fraudolenta prestanome, definendo con chiarezza i contorni della responsabilità penale di chi accetta di ricoprire formalmente la carica di amministratore di un’impresa, lasciandone di fatto la gestione a terzi. La pronuncia conferma un orientamento rigoroso: la sola accettazione del ruolo, unita alla consapevolezza dei rischi connessi, è sufficiente a integrare il dolo richiesto per la condanna, anche in assenza di una partecipazione diretta agli atti illeciti.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore individuale, condannato in primo grado e in appello per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale per distrazione. L’impresa, dichiarata fallita nel 2015, era formalmente intestata all’imputato, il quale però agiva come mero prestanome. La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato la sentenza di primo grado, riconoscendo la sua responsabilità penale. L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, contestando diversi aspetti della decisione, tra cui la genericità dell’imputazione e la valutazione del suo ruolo e della sua consapevolezza.

Le Motivazioni del Ricorso

La difesa dell’imputato ha articolato il ricorso su quattro motivi principali:
1. Genericità dell’imputazione: Si lamentava che l’accusa di bancarotta documentale fosse formulata in modo alternativo e vago.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si contestava la valutazione del dolo. Secondo la difesa, per condannare un prestanome è necessaria la prova della sua consapevolezza delle specifiche condotte illecite poste in essere dall’amministratore di fatto. Inoltre, si riteneva illogica la motivazione che non dava peso alla denuncia di furto delle scritture contabili.
3. Errata qualificazione giuridica: Si chiedeva la riqualificazione dei fatti in bancarotta semplice, meno grave, sostenendo che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione astratta.
4. Mancato riconoscimento delle attenuanti: Si criticava il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la valutazione dell’aggravante del danno patrimoniale rilevante.

Le Motivazioni della Cassazione nel caso di bancarotta fraudolenta prestanome

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente e offrendo importanti chiarimenti sulla figura del prestanome nei reati fallimentari.

Il Dolo Generico e la Responsabilità del Prestanome

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’elemento soggettivo del reato. La Corte ha ribadito che, in tema di bancarotta fraudolenta prestanome, non è necessario che l’amministratore formale (il prestanome) abbia voluto e si sia rappresentato ogni singolo atto di distrazione o alterazione contabile compiuto dall’amministratore di fatto. È invece sufficiente il dolo generico.

Questo significa che la responsabilità penale sorge dalla generica consapevolezza che l’amministratore effettivo possa compiere atti illeciti ai danni dei creditori e dall’accettazione del rischio che tali eventi si verifichino. Chi accetta di fare da prestanome, abdicando ai propri doveri di vigilanza e controllo, si assume la responsabilità delle conseguenze. La denuncia di furto delle scritture contabili, ritenuta inattendibile dai giudici di merito, è stata interpretata dalla Cassazione come un’ulteriore prova dell’interessamento dell’imputato alle vicende societarie e della sua volontà di occultare la reale situazione contabile.

La Bancarotta Documentale e la Denuncia di Furto

Per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Corte ha specificato che il reato sussiste quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è resa impossibile o estremamente difficoltosa. La denuncia di furto, se non credibile, non solo non esclude la responsabilità, ma può essere vista come una ‘copertura’ per giustificare la sparizione dei documenti contabili. La Corte ha inoltre chiarito che è irrilevante il luogo dove le scritture (in questo caso, dati informatici incompleti) vengono ritrovate; ciò che conta è che la loro tenuta irregolare abbia ostacolato l’attività degli organi fallimentari.

Le Circostanze e la Pena

Infine, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti generiche, motivando sulla base del comportamento non collaborativo dell’imputato e della sua irreperibilità. Ha inoltre confermato la sussistenza dell’aggravante del danno di rilevante gravità, quantificato in oltre un milione e quattrocentomila euro, e ha giudicato proporzionati gli aumenti di pena per l’aggravante stessa e per la continuazione fallimentare.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale in materia di reati fallimentari: assumere il ruolo di prestanome non è uno scudo contro la responsabilità penale. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accettazione consapevole di tale ruolo implica l’assunzione del rischio che vengano commessi illeciti, integrando così il dolo generico sufficiente per una condanna per bancarotta fraudolenta. Questa decisione serve da monito per chiunque sia tentato di prestare il proprio nome per coprire le attività altrui, sottolineando che l’ordinamento giuridico richiede a chi assume cariche formali un effettivo esercizio dei poteri-doveri di controllo e vigilanza.

Qual è la responsabilità penale di un ‘prestanome’ in un caso di bancarotta fraudolenta?
Un ‘prestanome’ (amministratore di diritto) risponde penalmente del reato di bancarotta fraudolenta unitamente all’amministratore di fatto, in quanto ha l’obbligo giuridico di impedire l’evento illecito. La sua responsabilità si fonda sulla violazione dei doveri di vigilanza e controllo connessi alla carica formale che ricopre.

È sufficiente il dolo generico per condannare un amministratore di diritto (prestanome) per bancarotta fraudolenta?
Sì. Secondo la sentenza, per affermare la responsabilità penale del prestanome è sufficiente il dolo generico, ovvero la generica consapevolezza che l’amministratore di fatto possa distrarre, occultare o compiere altri atti illeciti, e l’accettazione del rischio che tali eventi si verifichino. Non è richiesta la conoscenza di ogni singolo episodio.

La denuncia di furto delle scritture contabili può escludere la responsabilità per bancarotta documentale?
No, se ritenuta inattendibile dai giudici. Nel caso di specie, la Corte ha considerato la denuncia di furto non solo ininfluente, ma addirittura un elemento che dimostrava l’interesse dell’imputato a nascondere la reale situazione contabile, configurandola come una ‘copertura’ per la sottrazione o l’omessa tenuta dei libri contabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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