Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 38138 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38138 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN NOME SARACINISCO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano riformava in favore dell’imputato, limitatamente alla condanna al pagamento della somma di euro 200.000,00 a titolo di provvisionale, che revocava, la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 1.6.2023, aveva condannato COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione ascrittigli al capo 1) dell’imputazione, in qualità di amministratore unico e in seguito liquidatore della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Milano in data 10.10.2017, nonché di amministratore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE“.
Ad avviso della corte territoriale va condivisa la valutazione operata dal giudice di primo grado in ordine alla natura distrattiva dell’operazione descritta nel capo d’imputazione, incentrata sulla stipula di un contratto di affitto d’azienda con la neocostituita “RAGIONE_SOCIALE“, di cui il COGNOME era amministratore di fatto, per un canone mensile di 7000,00 euro, intervenuta quando la “RAGIONE_SOCIALE” era stata posta in liquidazione, trovandosi in una condizione di dissesto, anticamera della richiesta di concordato preventivo, che sarebbe stato omologato dal tribunale di Milano con sentenza del 17.7.2013.
Al riguardo il giudice di appello ha individuato nelle seguenti circostanze di fatto, emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale, sintomi rivelatori della distrazione posta in essere dall’imputato: “il coinvolgimento del COGNOME nella gestione di entrambe le società; la protratta morosità dell’affittuaria, rispetto alla quale il commissario” giudiziale, nell’ambito della procedura di concordato, “aveva espresso forti perplessità circa la capacità di far fronte agli obblighi assunti con il contratto di affitto; il trasferimento dell’unico plesso aziendale e di tutte le giacenze di magazzino nella disponibilità della fallita con conseguente condanna di quest’ultima all’inattività”.
Pertanto, concludeva la corte territoriale, lungi dal rappresentare uno strumento per tutelare i creditori della società fallita, il contratto d’affitto d’azienda si inseriva in una complessa operazione con cui “il COGNOME, a fronte di una situazione di dissesto economico della società fallita, già acclarato nel marzo del 2012, ha costituito appositamente la RAGIONE_SOCIALE allo scopo di prendere in affitto l’azienda fallita: ciò nel tentativo di sottrarre le attività della fallita alla procedura concorsuale e garantire all’imputato di produrre ricavi senza che questi potessero essere destinati alla medesima procedura”, senza tacere che il COGNOME aveva continuato a utilizzare i beni strumentali della società fallita, attraverso una nuova impresa, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) “erronea applicazione della legge fallimentare e processuale e correlativi vizi di motivazione, anche per travisamento delle prove documentali e dichiarative in atti relativamente all’imputazione sub 1) primo cpv.”; 2) “erronea applicazione della legge fallimentare e processuale e correlativi vizi di motivazione, anche per travisamento delle prove documentali e dichiarative in atti relativamente all’imputazione sub 1) secondo cpv.”; 3) “travisamento delle prove dichiarative e documentali con omessa valutazione dell’idoneità in astratto delle condotte censurate alla realizzazione del programma concordatario omologato dal tribunale di Milano”.
2.1. Il ricorrente, nell’aggredire la motivazione della sentenza impugnata, evidenzia, con il primo motivo di ricorso, come l’intera operazione, che si articolava attraverso il contratto di affitto d’azienda con opzione di riscatto dei beni, fissando un canone di locazione e un prezzo di vendita assolutamente in linea con il mercato, seguito da una proposta di concordato preventivo liquidatorio, prevedendo nel programma sia l’affitto dell’azienda, che il riscatto dei beni da parte della “RAGIONE_SOCIALE“, la quale era avrebbe dovuto reperire le risorse per adempiere agli impegni assunti, non solo con i crediti già maturati e con la propria attività di impresa, ma anche con i canoni di locazione delle
porzioni di capannone da affittare a soggetti terzi, previo frazionamento dell’immobile oggetto della locazione, era stata realizzata proprio alla scopo di evitare il fallimento della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
In particolare, rileva il ricorrente, pur di fronte allo stato di decozione della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il concordato preventivo, con l’affitto di azienda e la prevista possibilità di riscatto del capannone da parte della “RAGIONE_SOCIALE“, rimaneva in astratto la soluzione preferibile per evitare il fallimento, come ritenuto dallo stesso commissario giudiziale, che, pur ribadendo tutte le criticità e incertezze in ordine alla riuscita del concordato, aveva comunque espresso parere positivo per la relativa omologa, poi sancita dal tribunale di Milano.
Osserva il ricorrente che la scelta del COGNOME di optare per il concordato liquidatorio, piuttosto che per il fallimento, era ex ante sorretta da una ragionevole possibilità di riuscita (come ribadito anche dal teste della difesa COGNOME, commercialista della società fallita), poi venuta meno a causa di una serie di eventi sopravvenuti, imprevedibili e non dipendenti dalla volontà dell’imputato (la contrazione fisiologica del mercato; il venir meno della fiducia dei clienti e dei fornitori nei confronti della nuova società; l’improvvida ingerenza del liquidatore della “RAGIONE_SOCIALE“, che aveva impedito all’affittuaria di frazionare l’immobile oggetto della locazione per metterlo a reddito; la rinuncia degli organi concorsuali della “RAGIONE_SOCIALE” di ritornare in possesso del compendio aziendale dopo la risoluzione del contratto con la “RAGIONE_SOCIALE“; l’insolvenza dei debitori della “RAGIONE_SOCIALE“)
Se ne deduce, nella prospettiva difensiva, che nel caso in esame non è configurabile la ritenuta fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, non avendo il COGNOME agito con il fine di sottrarre l’unica partita attiva dell’impresa, destinandola a un altro ente e determinando in tal modo il fallimento della concedente (o aggravandone il dissesto).
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, l’imputato sottolinea l’errore di diritto e il difetto di motivazione da parte del giudice di appello, con riferimento all’ulteriore segmento della condotta distrattiva, consistente,
secondo l’assunto accusatorio, nel trasferimento di fatto dell’azienda della società fallita alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, occupante senza titolo dell’immobile sito in Tribiano, alla INDIRIZZO, di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE“.
Osserva al riguardo il ricorrente che, una volta intervenuto il fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, il COGNOME aveva proseguito l’utilizzo dei macchinari e del capannone della “RAGIONE_SOCIALE“, con la nuova denominazione di “RAGIONE_SOCIALE“, con il consenso del curatore fallimentare, proponendo, inoltre, al fallimento il pagamento di un corrispettivo a titolo di indennità di occupazione, tanto dei macchinari, che del capannone, offerta che, tuttavia, non era andata a buon fine, per l’opposizione del comitato dei creditori.
Ragione per la quale, su suggerimento dello stesso curatore fallimentare, il COGNOME aveva acquistato i beni strumentali della fallita all’asta, per poi proseguire la propria attività, una volta perso il capannone, in altra sede.
Si tratta, ad avviso del ricorrente, di una condotta del tutto lecita, che, in quanto tale, esclude in radice la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, l’imputato deduce travisamento di una serie di prove dichiarative e documentali, che la corte di appello non ha considerato, di decisiva importanza, perché tali da testimoniare non solo la serietà delle intenzioni dell’imprenditore, ma anche la sostenibilità del progetto poi confluito nel programma concordatario approvato dal tribunale di Milano nel luglio del 2013.
Di conseguenza, ribadisce il ricorrente, gli strumenti da lui messi in campo per salvare la “RAGIONE_SOCIALE” dal fallimento e con essa il capannone di Tribiano, valgono a escludere il reato di cui si discute, sia da un punto di vista oggettivo, perché astrattamente idonei allo scopo, sia da un punto di vista soggettivo, perché confliggenti con la consapevolezza di un danno per la “RAGIONE_SOCIALE“, che avrebbe potuto solo beneficiare dell’affitto della RAGIONE_SOCIALE.
Con requisitoria scritta del 15.6.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia rigettato.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi infondati, collocandosi a ben vedere, ai confini dell’inammissibilità, perché sorretto da motivi in larga parte versati in fatto.
Come è noto, infatti, in questa sede di legittimità è precluso ogni percorso argomentativo seguito che si risolva in una mera lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, palese nell’articolazione del terzo motivo di ricorso, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Che con i motivi di ricorso il COGNOME abbia sollecitato una diversa valutazione delle risultanze processuali, emerge con assoluta chiarezza dalla diversa valutazione che i giudici di merito hanno attribuito alle incertezze manifestate dal commissario giudiziale e dal liquidatore giudiziale sulla concreta possibilità per la “RAGIONE_SOCIALE” di far fronte agli obblighi assunti con il contratto d’affitto d’azienda, incertezze che, in una situazione di incontestata decozione della “RAGIONE_SOCIALE Noter” alla data della stipula del contratto di affitto di azienda, avrebbero dovuto mettere il COGNOME in allarme (alla luce dei principi in tema di dolo eventuale, di cui si dirà in seguito) sulla effettiva idoneità dell’intera operazione a non porre in pericolo le ragioni del ceto creditorio, tanto più ove si tenga presente che un imprenditore accorto avrebbe dovuto rendersi conto della contrazione fisiologica del mercato in cui agivano le società di cui si discute, dallo stesso COGNOME individuata come una delle cause, indipendenti dalla sua volontà, che hanno determinato l’inadempimento del concordato.
Ciò posto, ritiene il Collegio che il ricorrente, nonostante l’oggettivo sforzo profuso, non abbia sufficientemente preso in considerazione i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in sede di interpretazione della fattispecie normativa del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
Si tratta di principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in altri termini, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di cui si discute, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Se ne deduce, ai fini della configurabilità del reato di cui si discute, l’irrilevanza delle cause economiche del fallimento e degli eventi successivi alla dichiarazione di fallimento, che l’imputato invoca per escludere la propria responsabilità.
In tema di bancarotta fraudolenta, infatti, al fine di individuare la finalità distrattiva perseguita dagli agenti, anche l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento (nel caso di specie nel diritto d’iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.), può costituire uno strumento di frode per pregiudicare o frodare le ragioni dei creditori, in quanto la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito può essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio (cfr. Sez. 5, n. 15803 del 27/11/2019, Rv. 279089), come quello compiuto dai giudici di merito.
Come è stato ribadito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, invero, in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Costante nella giurisprudenza della Suprema Corte è, inoltre, l’orientamento, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Rv. 271437).
Proprio la natura di reato di pericolo del delitto di cui si discute rende del tutto irrilevante ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo
dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’assenza di un danno per i creditori (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
In applicazione di tali principi appare consolidato, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’orientamento alla luce del quale integra gli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta per distrazione la stipula, in epoca precedente la dichiarazione di fallimento, di un contratto di locazione di beni aziendali dell’impresa fallita senza che i relativi canoni siano versati nelle casse aziendali (cfr. Sez. 5, n. 49489 del 15/06/2018, Rv. 274370; Sez. 5, n. 12456 del 28/11/2019, Rv. 279044).
Si è, così, affermato che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il contratto di affitto d’azienda stipulato in previsione del fallimento allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico (cfr. Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, Rv. 272841).
Fattispecie, quella presa in considerazione in tale ultimo arresto, in cui, come nel caso in esame, l’imputato risultava coinvolto nella gestione della società fallita e di quella affittuaria ed in cui l’affitto d’azienda aveva determinato la sostanziale inattività della società in decozione.
Appare pertanto evidente l’infondatezza dei rilievi difensivi, stante la mancanza di un’adeguata contropartita economica all’affitto in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, che non assolveva ai suoi obblighi, limitandosi a corrispondere un acconto pari a 15.000,00 euro, al punto che, risultando infine non pagati i canoni per un importo di 178.360,00 euro, il contratto era stato risolto per inadempimento il 31.10.2013, e il complesso aziendale non era stato restituito.
Estranea alla struttura del delitto di cui si discute, inoltre, a differenza di quanto affermato dal ricorrente (cfr. p. 7 del ricorso), è l’esistenza di un rapporto tra la condotta distrattiva e la causazione del fallimento o l’aggravamento del dissesto, posto che, come affermato da tempo dalla Corte di Cassazione nella sua espressione più autorevole, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il
successivo fallimento (cfr. Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, si osserva che l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è integrato dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv. 260407, Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739; Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266805).
Come affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità il dolo generico è sufficiente a configurare l’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, anche nella sua forma eventuale (cfr. Sez. 1, n. 4472 del 27/02/1997, Rv. 207480), caratterizzata dalla consapevolezza che l’evento, non direttamente voluto, ha probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione, nonché dall’accettazione di tale rischio (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, Rv. 281385), restando del tutto estraneo, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, dalla struttura del reato lo scopo perseguito dall’autore dei singoli atti di sottrazione, di occultamento o di dissimulazione, senza che possa assumere rilievo, in particolare, al fine di attenuare o giustificare le indicate operazioni, l’eventuale intento di salvaguardare l’avviamento economico e la capacità occupazionale, trasferendo beni e risorse verso altre società, ritenute maggiormente operative, in quanto la salvaguardia delle risorse sociali va infatti attuata all’interno del soggetto proprietario, nell’interesse dei creditori e dei terzi che hanno fatto affidamento sul patrimonio e sulla capacità operativa della singola società (cfr. Sez. 5, n. 13169 del 26/01/2001, Rv. 218390).
Dolo che, nel caso in esame, correttamente la corte territoriale, con motivazione affatto carente, contraddittoria o manifestamente illogica, ha desunto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive
dell’azione criminosa (cfr. Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007), evidenziando la piena consapevolezza da parte dell’imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, avendo egli svolto un ruolo di dominus nella società affittuaria di nuovo conio, costituita all’evidente scopo di rendere possibile l’affitto dell’azienda e la conseguente dispersione dei beni, nel momento in cui la società versava in stato di dissesto, per poi continuare a utilizzare i beni strumentali della fallita attraverso la menzionata RAGIONE_SOCIALE, sempre a lui riconducibile.
Un ulteriore rilievo va effettuato con riferimento al tema degli indici di fraudolenza.
La giurisprudenza di legittimità sul punto ha affermato, con un condivisibile arresto, che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell’agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un’alternativa ipotesi qualificatoria (cfr. Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, Rv. 282284), non riscontrabile nel caso in esame per le ragioni già esposte.
Vero è che in altri arresti di questa Sezione si è evidenziato come, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili “indici di fraudolenza” della distrazione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 37109 del 23/06/2022, Rv. 283582).
Ma anche collocandosi in questa prospettiva i rilievi difensivi non colgono nel segno, avendo la corte territoriale correttamente individuato positivi indici di fraudolenza nella stipula del contratto d’affitto in un momento di conclamata decozione della società fallita; nelle perplessità sull’intera
operazione avanzate dal commissario giudiziale e dal liquidatore giudiziale; nel ruolo di dominus svolto dal COGNOME nella società affittuaria; nella mantenuta disponibilità dei beni strumentali in capo all’imputato prima ancora che li acquistasse all’asta, circostanza che ha consentito al prevenuto di continuare la sua attività, in altra forma giuridica, sottraendo i beni in questione alle ragioni del ceto creditorio.
Valutazione, quella effettuata dalla corte territoriale, giova evidenziare, che appare dotata di intrinseca coerenza logica, perché operata con riferimento alla complessiva condotta posta in essere dal COGNOME, laddove il ricorrente ne propone un’alternativa lettura, parcellizzata, che non coglie l’unitarietà del disegno criminoso perseguito dall’imputato.
A tale ultimo proposito non può non rilevarsi come sia costante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, nell’affermare il principio, al quale si è attenuto il giudice di appello, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il conferimento delle attività produttive economicamente più rilevanti da parte di società poi dichiarata fallita ad altra società, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, alla luce della effettiva situazione debitoria della società conferente, rechi (ad esempio in assenza di corrispettivo o trasferimento di posizioni debitorie) consapevole danno al patrimonio aziendale ed alla capacità di soddisfare le ragioni del ceto creditorio nella prospettiva della procedura concorsuale (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 29187 del 27/05/2021, Rv. 281818).
5. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.7.2024.