Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14343 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14343 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PACECO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TRAPANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/12/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
ett:Ch il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
(n-ha concluso chiedendo :NOME • ,• NOME c‹.•0 ,
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udito NOME
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Palermo, per quanto di interesse, riformava parzialmente in senso favorevole agli imputati la sentenza con cui il tribunale di Marsala, in data 16.6.2021, aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME, ciascuno alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta loro in rubrica ascritti nelle rispettive qualità, il COGNOME, di amministratore unico pro-tempore della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Marsala con sentenza del 12.3.2015, la COGNOME, madre del COGNOME, nella sua qualità di amministratore unico pro-tempore della “RAGIONE_SOCIALE“.
In particolare, con riferimento ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione loro ascritti al capo A) dell’imputazione, secondo l’assunto accusatorio gli imputati in data 30.5.2011 avevano costituito la società “RAGIONE_SOCIALE“., avente lo stesso oggetto sociale e la medesima sede legale della società fallita, stipulando con quest’ultima, in data 3.6.2011, un contratto di affitto di ramo d’azienda, seguito dalla cessione dei beni strumentali costituiti dalle attrezzature e dai macchinari della fallita, per un importo complessivo di euro 149.580,00, costituente l’ammontare di gran parte del patrimonio materiale della società fallita, somma, come rilevato dalla corte di appello, mai concretamente ricevuta dalla “RAGIONE_SOCIALE”
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione i suddetti imputati, ciascuno con un autonomo atto di impugnazione.
2.1. La COGNOME, in particolare, nel ricorso a firma del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, lamenta: 1) vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova; 2) vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione; 3) violazione di legge in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio.
2.2. Il COGNOME, nel ricorso a firma del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge, anche con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.
Con requisitoria scritta del 14.10.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
Con conclusioni scritte del 24.10.2023, l’AVV_NOTAIO insiste per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni.
4.1. Al riguardo appare opportuno ribadire, sia pure per sintesi, i principi affermati da orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, condivisi dal Collegio.
Da tempo, invero, si è sottolineato come l’operazione con la quale si estrometta un bene dal patrimonio dell’impresa senza che l’equivalente entri nel patrimonio acquisito al fallimento è idonea, in astratto, a configurare l’ipotesi di fallimento per distrazione di cui all’art. 216 comma 1, n.1 legge fall. (cfr. Sez. 5, n. 5408 del 26/11/1997, Rv. 209883).
Integra, pertanto, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Con particolare riferimento al caso in cui oggetto dell’attività distrattiva sia un ramo d’azienda, la giurisprudenza della Suprema Corte è intervenuta attraverso una serie di condivisibili arresti, nei quali si è chiarito che integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale: a) la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale; senza che al riguardo assuma rilievo il dettato
dell’art. 2560, comma 2, cod. °v. in ordine alla responsabilità dell’acquirente rispetto ai pregressi debiti dell’azienda, costituendo tale garanzia un “post factum” della già consumata distrazione, (cfr. Sez. 5, n. 34464 del 14/05/2018, Rv. 273644; Sez. 5, n. 17965 del 22/01/2013, Rv. 255501); b) la cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (cfr. Sez. 5, n. 10778 del 10/01/2012, Rv. 252008).
Del pari costante, infine, è l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 216, comma 1, legge fall., la mancata riscossione di un credito, poiché oggetto delle condotte di depauperamento è il patrimonio in senso lato, comprensivo non solo dei beni materiali ma anche di entità immateriali, fra cui rientrano le ragioni di credito che concorrono alla formazione dell’attivo patrimoniale (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 49438 del 04/11/2019, Rv. 277743; Sez. 5, n. 57153 del 15/11/2018, Rv. 275232).
Tanto premesso, non appare revocabile in dubbio che la corte territoriale abbia fatto buon governo di tali principi, ritenendo di qualificare in termini di distrazione le condotte in concreto poste in essere dagli imputati, consistenti nella cessione del ramo d’azienda e di una serie di beni strumentali della società fallita, che non venivano restituiti al momento della risoluzione del contratto a dimostrazione del carattere distrattivo della cessione.
In sede di inventario, infatti, non venivano rinvenuti che beni di modesto valore e ovviamente non vi era traccia del corrispettivo della cessione definitiva dei beni strumentali, né di tentativi dell’amministratore della fallita di recuperare il credito vantato.
Va, inoltre, evidenziato come, nella ricostruzione fornita dalla corte territoriale le due operazioni, la cessione del ramo d’azienda e il definitivo trasferimento dei beni strumentali, sono, con logico argomentare, ricondotte a un’unica finalità distrattiva, trattandosi di operazioni concluse a meno di un mese di distanza l’una dall’altra, che
hanno di fatto privato la società fallita della quasi totalità dei suoi beni, senza adeguato corrispettivo o utile per la società fallita, posto che quest’ultima, da un lato, non aveva ricevuto in restituzione i beni oggetto dell’affitto temporaneo d’azienda concluso il 3.6.2011, del valore di 18.855,95 euro, rimasti nella disponibilità della “RAGIONE_SOCIALE“, al momento della risoluzione del relativo contratto; dall’altro non aveva conseguito il pagamento del corrispettivo dei beni successivamente venduti in data 28.6.2011, di cui alla fattura n. 22., risultando, sulla base delle indagini effettuate in mancanza della regolare tenuta delle scritture contabili, sì plurimi accrediti in favore della società fallita, non riconducibili, tuttavia, al pagamento del debito derivante dalla cessione dei beni strumentali e, comunque, di ammontare esiguo rispetto all’entità di tale debito.
A fronte di tale limpido argomentare il difensore della COGNOME deduce il vizio travisamento della prova con riferimento a quanto riferito dal curatore fallimentare e dall’ufficiale di polizia giudiziaria incaricato delle indagini, dalle dichiarazioni dei quali si ricaverebbe l’insuperabile carenza degli accertamenti svolti.
Sempre sulla stessa linea difensiva si collocano le ulteriori censure svolte dal difensore, in punto di “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità” della motivazione, rilevando, da un lato, come dalle risultanze dibattimentali sia stato pacificamente accertato che il canone d’affitto del ramo d’azienda è stato regolarmente corrisposto dalla “RAGIONE_SOCIALE“. alla “RAGIONE_SOCIALE“, dall’altro che il mancato raggiungimento della prova in ordine all’effettivo pagamento della successiva cessione di beni strumentali è imputabile esclusivamente alla carenza degli accertamenti di verifica contabile condotti, rispettivamente, dal curatore fallimentare, dal coadiutore contabile e dalla polizia giudiziaria.
Si tratta di rilievi inammissibili per due ordini di ragioni.
La ricorrente, invero, non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482). Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal menzionato ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). Né va taciuta, con riferimento agli atti processuali di cui la ricorrente lamenta un’inadeguata valutazione da parte della corte territoriale, e, in particolare, ai riconoscimenti fotografici operati dalle persone offese, la violazione del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071). Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall’art. 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, dovendosi ribadire l’onere di puntuale indicazione ed
allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
Generici, infine, appaiono i rilievi volti a contestare la responsabilità della COGNOME, sotto il profilo dell’oggettiva e consapevole partecipazione dell’imputata e del COGNOME alle evidenziate condotte distrattive, che la corte territoriale, ancora una volta con motivazione caratterizzata da intrinseca coerenza logica, ha fondato sulle modalità della condotta e, in particolare, dalle circostanze che: 1) le due società erano riconducibili al medesimo nucleo familiare del COGNOME (la COGNOME al momento della cessione del ramo d’azienda e della vendita dei beni strumentali era, al tempo stesso, socia di entrambe le società e amministratrice della società cessionaria); 2) il COGNOME aveva costituito il capitale della nuova società con suoi fondi personali; 3) la “RAGIONE_SOCIALE” era stata costituita appena quattro giorni prima della stipula del contratto di affitto del ramo d’azienda e la sua sede legale si trovava nello stesso luogo della sede legale della società fallita; 4) il COGNOME non aveva tentato in alcun modo di recuperare i beni oggetto dell’affitto di azienda o di ottenere il pagamento del debito relativo alla vendita dei beni strumentali.
Identiche considerazioni valgono per i rilievi articolati nell’interesse del COGNOME, che, riproponendo sostanzialmente le stesse doglianze prospettate nell’interesse della COGNOME, appaiono inammissibili, perché del tutto generici e versati in fatto, avendo la corte territoriale, come si è visto, reso una motivazione del tutto esente dai denunciati vizi in punto di sussistenza delle condotte distrattive e della colpevolezza dei ricorrenti.
4.2. Inammissibili, infine, appaiono anche i rilievi in punto di trattamento sanzionatorio, in quanto con essi i ricorrenti mirano a ottenere, attraverso la valorizzazione di circostanze a loro dire trascurate dalla corte di appello, una nuova valutazione sul merito del trattamento
sanzionatorio, non consentita in questa sede di legittimità. Come è noto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133, c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità, con costante insegnamento, ha chiarito che il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si giustifica anche solo sulla base della gravità della condotta o dei soli precedenti penali dell’imputato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 4, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. 3, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172; Cass., Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269). A tali principi si è uniformata la corte territoriale, che ha correttamente individuato nella gravità dei fatti per cui si procede e nell’esistenza di precedenti penali a carico di entrambi gli imputati (specifico per il COGNOME, mentre a carico della COGNOME risulta anche un reato associativo), l’ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 16.11.2023.