Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16501 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16501 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
NOME COGNOME
– Relatore –
Sent. n. sez. 474/2025
CC – 02/04/2025
R.G.N. 5047/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il 15/07/1977
avverso la sentenza del 03/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’ annullamento senza rinvio della sentenza di appello e trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma per il giudizio;
letta la memoria a firma del difensore Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunziata in data 3 dicembre 2024, la Corte di appello di Roma ha rigettato il gravame presentato da NOME avverso la sentenza – che è stata, pertanto, integralmente confermata – con la quale, il precedente 11 ottobre 2023 il Tribunale di Tivoli, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito
ordinario, aveva dichiarato lo stesso responsabile del reato di bancarotta patrimoniale distrattiva, e lo aveva, pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare, il ricorrente -nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Tivoli con sentenza del 2 maggio 2013, n. 17 -distraeva il corrispettivo della vendita di un appartamento, pari a 65.000,00 euro, mediante una serie di prelevamenti in contanti per la somma di euro 1.000,00 ciascuno.
Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, articolando tre motivi di impugnazione, i primi due dei quali a contenuto esclusivamente processuale.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la circostanza che, sebbene fosse stata avanzata dalla difesa dell’imputato richiesta di trattazione orale del procedimento, regolarmente inviata il 19 novembre 2024 alla pec EMAIL, la Corte di appello non aveva preso in considerazione la predetta richiesta e l’appello era stato, invece, trattato in forma cartolare.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per omessa valutazione da parte della corte territoriale delle conclusioni scritte, depositate dalla difesa dell’imputato a mezzo di posta elettronica certificata in data 19 novembre 2024, con cui svolgeva compiute difese.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la carenza assoluta di motivazione, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il ricorrente aveva effettuato prelevamenti per eseguire pagamenti in favore dei creditori.
Con requisitoria scritta del 13 marzo 2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso, con annullamento senza rinvio della sentenza di appello e trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma per l’ulteriore corso.
Con conclusioni depositate il 24 marzo 2025, l’Avv. NOME COGNOME insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso proposto dal COGNOME è inammissibile.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo.
Per come emerge dalla sentenza impugnata, questa è stata deliberata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 23-bis commi 2 e 3 del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito con legge n. 176 del 2020.
Al riguardo, si osserva che, ai sensi dell’art. 23-bis decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con mod. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (introdotto in ragione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e vigente al momento della proposizione dell’appello ex art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), “fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”, la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado ha luogo, in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che – per quel che qui importa – l’imputato manifesti la volontà di comparire, per iscritto e con atto da trasmettersi (nel termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza) “a mezzo del difensore” (art. 23-bis, comma 4, cit.).
Pertanto, in base all’art. 23-bis del d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020, poi prorogata dall’art. 94, comma 2, del D.L.vo n. 150 del 2022 e successive modificazioni, il giudizio di appello si svolge con trattazione scritta, a meno che una parte formuli, nei modi e nei termini previsti, richiesta di trattazione orale, implicante lo svolgimento di udienza nelle forme stabilite in relazione al rito applicabile.
Come risulta dagli atti di causa, cui questa Corte, attesa la natura processuale del motivo di impugnazione, ha pieno accesso, trattandosi di questione in relazione alla quale anche la Corte di cassazione ha giurisdizione estesa al fatto processuale, l’avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato, in data in dat a 18 novembre 2024, ha formulato istanza di trattazione in forma orale del giudizio che si sarebbe dovuto celebrare a carico del suo assistito, inviandola presso l’indirizzo telematico della cancelleria della corte di appello di Roma.
Tuttavia, l’istanza è tardiva giacché in relazione alla udienza del 3 dicembre 2024 non è stato rispettato il termine dei quindici giorni liberi, sicché non è ravvisabile alcuna nullità.
In proposito si osserva che la Corte di appello, con provvedimento del 19 novembre 2024, ha disposto la trattazione del ricorso in forma cartolare, giacché « la
richiesta di trattazione orale è stata trasmessa oltre il termine previsto dal comma 4 dello stesso articolo».
4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Al riguardo si osserva che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di disciplina emergenziale da Covid-19, la mancata allegazione agli atti processuali delle conclusioni inviate dalla difesa a mezzo PEC, con la conseguente omessa valutazione delle stesse, integra un’ipotesi di nullità generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto l’intervento dell’imputato, cui è riconducibile la facoltà di presentare conclusioni scritte ex art. 23, D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, deve essere inteso come partecipazione attiva e cosciente al processo (Sez. 6, n. 3913 del 14/12/2021, COGNOME, Rv. 282881).
In tale prospettiva si è ulteriormente chiarito che l’omessa valutazione delle conclusioni inviate dalla difesa tramite PEC è causa di nullità generale a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., purché l’atto, indipendentemente dalla qualifica conferitagli dalla parte, contenga una argomentazione atta a un concreto esercizio del diritto di difesa, perché solo in questo caso è leso il diritto dell’imputato (Sez. 2, n. 25365 del 16/02/2023, COGNOME, Rv. 284865; Sez. 6, n. 3913 del 14/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282881; Sez. 6, n. 44424 del 30/09/2022, Manca, Rv. 284004; Sez. 2, n. 30232 del 16/05/2023, COGNOME, Rv. 284802).
Orbene, nel caso in esame il difensore, nel formulare il motivo di ricorso, ha omesso di precisare che la Corte di appello ha dato atto della presentazione di una memoria difensiva, sicché non si è verificata alcuna lesione del diritto di difesa per come agitata dal ricorrente (v. verbale di udienza del 3 dicembre 2024, ore 14.30, nel quale testualmente si dà atto della presentazione di una memoria difensiva oltre alle conclusioni del PG, con aggiunta a stampatello).
5. Il terzo motivo è aspecifico.
In effetti, le censure difensive non si confrontano con le principali argomentazioni della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
In ordine alle censure dal ricorrente mosse alla struttura motivazionale della pronuncia impugnata, va ricordato che la sentenza di appello si salda con quella precedente
per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Pertanto, specie in presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841).
6. Ciò premesso, deve precisarsi che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, COGNOME, Rv. 243295).
L’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima e l’art. 87, comma terzo, legge fall, (anche nella sua formulazione precedente alla sua riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale.
Osservazioni che giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazioni a proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282652).
Peraltro, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, Sentenza n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
Così che anche invocate “scelte imprenditoriali” che conducano ad un esito depauperativo del patrimonio della fallita acquistano rilievo penale. Rilievo che non è escluso dal fatto che al momento delle condotte la società fosse, in ipotesi, priva di squilibri economici e finanziari, posto che si è detto come l’epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell’agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un’alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, COGNOME, Rv. 282284; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280550).
Inoltre, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805 – 01).
La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici, ha chiarito la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva dal punto di vista oggettivo e soggettivo, evidenziando che, relativamente a plurimi prelievi della somma di euro 1.000,00 ciascuno, derivanti dal corrispettivo della vendita immobiliare, con causale relativa al pagamento degli operari, il ricorrente non ha giustificato l’effettiva destinazione né è stato in grado di individuare il sinallagma in entrata.
L’odierno ricorrente ha asserito di avere utilizzato le somme prelevate per contanti per pagare i lavoratori, ma non ha fornito prova alcuna delle sue affermazioni.
Quanto al pagamento di debiti connessi alla attività di impresa, la giustificazione fornita appare estremamente generica, non avendo l’imputato fornito indicazioni sui lavoratori e quali siano stati gli importi corrisposti a ciascuno di essi, cosicché la Corte
di appello ha correttamente concluso che le condotte per le quali è stata pronunciata condanna integrino altrettante distrazioni patrimoniali ai danni della società.
Invero, i giudici di appello hanno evidenziato che: -a ) non vi è prova della esistenza di lavoratori che vantavano un credito nei confronti della società fallita; -b ) non è stata individuata per ciascun lavoratore l’esatto ammontare dell’asserito credito; –c ) non vi è prova della effettiva destinazione dei prelievi effettuati al pagamento dei crediti dei lavoratori.
La sentenza impugnata ha operato buon governo del consolidato e costante principio indicato da questa Corte secondo cui integrano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori, anche attraverso il distacco di beni da detto patrimonio, senza immettervi alcun corrispettivo, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
I giudici del merito hanno ritenuto provato che il prelevamento integrasse distrazione di risorse economiche della società fallita non solo in virtù dell’omessa dimostrazione della destinazione delle somme, ma anche sulla base di una serie di elementi di natura logica che fanno apparire non credibile la tesi sostenuta dall’imputato.
Sulla base di tali elementi, che fanno apparire sussistenti i cosiddetti “indici di fraudolenza”, correttamente è stata ritenuta dimostrata la circostanza che le somme prelevate non siano state destinate alla soddisfazione delle esigenze imprenditoriali della società fallita, in applicazione del principio di diritto sopra esposto.
In conclusione, la Corte di Appello ha desunto la responsabilità del ricorrente dalla circostanza che il prelievo è avvenuto per attività non documentata, sicché si è trattato di incameramento di denaro diretto al depauperamento societario.
Dunque, anche in questo caso il giudice di appello ha desunto la sussistenza del dolo in capo al prevenuto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, la corte territoriale è coerentemente risalita alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.
La motivazione fornita dai giudici del merito appare adeguata e priva di contraddizioni o manifeste illogicità.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 2 aprile 2025 Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME