Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15173 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAMEZIA TERME il 10/07/1963
avverso la sentenza del 07/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione del Tribunale di Lama Terme, che ha riconosciuto NOME COGNOME colpevole di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, per avere, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 16/06/2011, e di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (società costituita allo scopo di svuotare il patrimonio della società in decozione), distratto beni del patrimonio aziendale, per un valore di euro 176.290,35, cedendo beni alla compiacente società RAGIONE_SOCIALE con la emissione di fatture di cui simulava il pagamento, mai avvenuto, nonché il danaro presente in cassa per almeno euro 124.641,81, e sottratto/distrutto le scritture contabili della società fallita relative agli anni 2009, 2010, 2011, in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari.
Il ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo, denuncia erronea applicazione della legge fallimentare e correlati vizi della motivazione con riferimento alla condotta distrattiva concretizzatasi nella simulazione del pagamento del corrispettivo di merce venduta. Sostiene il ricorrente che la cessione delle immobilizzazioni sia avvenuta mediante regolare emissione di sette fatture e che, dunque, si sia trattato di regolare cessione di merce e immobilizzazioni, attraverso operazioni regolarmente registrate; del resto, lo stesso curatore ha affermato che, per tale vendita, risultano pagamenti in contanti per oltre 140 mila euro, come confermato anche dalla I.r. della società acquirente. Di qui, l’assenza di distrazione, in mancanza della simulazione.
2.2. Analoghi motivi sono dedotti con il secondo motivo, relativamente alla distrazione del denaro in cassa; in particolare, ci si duole che non sia stato spiegato in sentenza da quali atti o elementi si tragga la maggiore giacenza di cassa rispetto al denaro rinvenuto dalla curatela, mancando la replica alle deduzioni svolte sul punto dall’appellante.
2.3. Il terzo motivo riguarda la bancarotta documentale, e lamenta la mancata dimostrazione della sottrazione o distruzione delle scritture contabili degli anni in contestazione, non essendo stati specificati gli elementi dai quali si è tratta tale affermazione, e comunque, senza confrontarsi con il dato, riferito dal curatore, che il movimento di affari era stato ricostruito con la documentazione contabil prodotta dal ricorrente fino al dicembre 2009, mentre per gli anni successivi l’attività era stata di fatto chiusa ben prima della dichiarazione di fallimento.
Nondimeno, il Giudice a quo ha contraddittoriamente affermato che erano stati omessi i bilanci degli anni 2008 e 2009, senza indicare elementi di prova.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, nel suo complesso, non è fondato.
1.11 primi due motivi innpingono nel merito della valutazione probatoria, giacchè richiedono al Giudice di legittimità un giudizio non consentito, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
1.1. I motivi risultano anche afflitti da c.d. genericità estrinseca, laddove si formulano censure che non si confrontano con la motivazione fornita dai giudici di merito, i quali, con riguardo alle distrazioni contestate, hanno ripercorso gli accertamenti della curatela, dando atto della mancanza di riscontro dell’effettivo pagamento della fattura emessa per l’acquisto dei beni ceduti alla compiacente compagine societaria, formalmente amministrata dalla figlia, poco più che maggiorenne, dell’imputato, socio di fatto della stessa; né è stata fornita la prova dell’effettiva destinazione del ricavato, così come delle giacenze di magazzino, non rinvenute, e delle rimanenze di cassa, parimenti non presenti al momento del fallimento. Inoltre, come riportato nella sentenza di primo grado la cui motivazione, in presenza di doppia conforme, si salda con quella impugnata, integrandosi tra loro (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME,Rv. 209145), cosicchè la motivazione deve essere apprezzata congiuntamente ( Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) – il curatore ha stigmatizzato la presenza di movimentazioni di cassa dagli importi ingenti, da ritenersi improbabili, in quanto contrari alla normativa antiriciclaggio in vigore. Ancora, è stata attribuita importanza anche alla circostanza che tutti i conti correnti bancari riferibili alla società siano stati chiusi nell’anno 2009 e che agli organi della procedura concorsuale è stata consegnata l’incompleta documentazione sino all’anno 2009 (omessi addirittura i bilanci 2008 e 2009) mentre manca totalmente quella degli anni 2010 e 2011. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Dunque, dall’esame congiunto delle due conformi sentenze di merito si evince che il curatore – a fronte di dati contabili che indicavano la presenza di beni strumentali della fallita (valore C 81.541,45), di denaro in cassa ammontante ad C 300.932 e di rimanenze finali per C 24.587, e, dunque, certamente, esistenti – non ha rinvenuto nulla di tutto ciò.
1.3. A fronte di tali, inequivocabili, dati, il ricorrente insiste nel sostenere la tesi, del tutto indimostrata, quanto alla fornitura alla RAGIONE_SOCIALE, che la considerevole somma di oltre 140 mila euro sarebbe stata versata in contanti:
ma, come si legge anche nella sentenza impugnata, non vi sono in atti “documenti dai quali poter ricavare che il corrispettivo delle fatture era stato effettivamente pagato”. E, come ha osservato il Giudice di primo grado, la attività distrattiva in tanto è stata possibile “grazie alla mancata ostensione delle scritture contabili idonee a ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari riferibili a tutte le transazioni verificatesi proprio nell’anno 2009 ossia nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento”.
1.4. Una volta provata l’esistenza dei beni che contabilmente risultavano essere presenti nel patrimonio sociale, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrarne la precisa destinazione, in coerenza con l’orientamento, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema · di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti ( Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741; Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385; Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004 , Rv. 231411; Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L’indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell’onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo ( nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiché – anche in ragione dell’obbligo di verità gravante sul fallito ai sensi dell’art. 8 comma 3 della legge fallimentare, con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale – si tratta di legittima sollecitazione affinchè il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell’impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato (Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, rv.249715), derivando dal prelievo di somme dalle casse sociali, la valida presunzione della loro dolosa distrazione, essendone pacifica la previa disponibilità, da parte dell’imputato, accertata nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 Rv. 248425). La decisione gravata si è, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per Corte di Cassazione – copia non ufficiale
distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi
dell’art. 192 cod. proc. pen., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di
fallimento, di beni e valori societari, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta
dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Rv. 248425 cit. ; (Rv.
201517 secondo cui
(Sez.
2, n.
5838
del
09/02/1995, Rv. 201517).
2. Non ha pregio neppure il terzo motivo, avente riguardo alla bancarotta documentale, con il quale il ricorrente si limita a ribadire genericamente, che,
con la documentazione a disposizione, il curatore avrebbe potuto ricostruire la situazione patrimoniale sino al dicembre 2009.
2.1. Sul punto, devono apprezzarsi, però, sia le dichiarazioni del curatore medesimo, sulla totale insufficienza delle scritture depositate, che la sentenza di
primo grado ha definito
“non aggiornate, inaffidabili ed in definitiva tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio”,
che quanto riferito dall’esperto incaricato della tenuta della contabilità della società, il quale ha confermato come
l’elaborazione della contabilità fosse avvenuta su pochi dati comunicati allo studio, a volte anche solo verbalmente.
3. In conclusione, può affermarsi ìi),é –COGNOME risponde al vero che la sentenza impugnata non si sia confrontata con le deduzioni svolte dall’appellante, avendo invece dato atto della non consentita parcellizzazione delle dichiarazioni del curatore, su cui è stata incentrata la ricostruzione difensiva, sia con riferimento alle scritture contabili che con riguardo alle fatture relative alla cessione di merci e immobilizzazioni, avendo, appunto, dichiarato, il curatore, di avere rinvenuto la documentazione contabile in maniera incompleta, e di non avere potuto in alcuno modo verificare le operazioni contabili della fallita nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, per essere stati omessi i bilanci di quegli anni.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna processuali. il ricorrente al pagamento delle spese
Così deciso in Roma, 7 marzo 2025 QCpnsigliere ;stensore