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Bancarotta fraudolenta: onere della prova e amm.re

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore di fatto condannato per bancarotta fraudolenta. La sentenza ribadisce che, in caso di sparizione di beni sociali, spetta all’amministratore dimostrarne la destinazione. Viene inoltre confermato che la responsabilità per la bancarotta patrimoniale può fondare una presunzione di dolo per quella documentale, soprattutto quando l’amministratore di fatto gestiva l’intero schema illecito.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta: l’onere della prova grava sull’amministratore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4571/2024) torna a fare luce su alcuni principi cardine in materia di bancarotta fraudolenta, con particolare riferimento alle figure dell’amministratore di fatto e all’onere della prova. La pronuncia conferma che, di fronte alla sparizione di beni dal patrimonio di una società fallita, spetta all’amministratore dimostrare la loro legittima destinazione, e non all’accusa provare la distrazione. Vediamo nel dettaglio il caso e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa: Una Società Schermo per Frodi IVA

Il caso riguarda un imprenditore, condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. L’imputato, in qualità di amministratore di fatto di una società operante nel settore dei metalli preziosi, aveva architettato un meccanismo fraudolento per ottenere ingenti rimborsi IVA. La società, di fatto una “scatola vuota”, era stata creata al solo scopo di simulare operazioni commerciali inesistenti attraverso false fatturazioni.

Le somme ottenute a titolo di rimborso, pari a quasi 500.000 euro, venivano distratte e non venivano rinvenute dalla curatela fallimentare al momento della dichiarazione di fallimento. Contestualmente, per coprire l’operazione illecita, venivano occultati e distrutti tutti i libri e le scritture contabili della società.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Carenza di prove sulla distrazione: La difesa sosteneva che non vi fosse prova certa né dell’effettiva acquisizione delle somme al patrimonio sociale, né delle modalità con cui sarebbero state distratte.
2. Assenza di responsabilità per la bancarotta documentale: L’imputato affermava di essere un mero amministratore di fatto e che i compiti amministrativi e contabili spettavano all’amministratore di diritto. Inoltre, essendo detenuto da un certo periodo, non avrebbe potuto incidere sulla gestione della società.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti, nonostante l’imputato avesse confessato lo scopo fraudolento della società.

Le Motivazioni della Cassazione: Responsabilità nella Bancarotta Fraudolenta

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati tutti i motivi e consolidando importanti principi giurisprudenziali.

L’Onere della Prova nella Distrazione di Beni

Sul primo punto, la Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni che risultavano in possesso della società. A fronte di un sicuro ingresso di liquidità nelle casse sociali (i rimborsi IVA) e della loro successiva sparizione, l’onere di fornire una spiegazione plausibile e documentata si sposta sull’amministratore. Nel caso di specie, l’imputato si era limitato a mere congetture, senza fornire elementi concreti a contrasto dell’impianto accusatorio, peraltro rafforzato dalla sua stessa ammissione circa la natura fittizia della società.

La Responsabilità dell’Amministratore di Fatto nella Bancarotta Fraudolenta Documentale

Anche il secondo motivo è stato respinto. I giudici hanno evidenziato come l’imputato non fosse un semplice amministratore di fatto, ma il vero dominus e ideatore dell’intero schema fraudolento. Egli gestiva personalmente la compravendita fittizia, la formazione delle fatture e dei registri IVA. La mancata tenuta della documentazione contabile, pertanto, non è stata vista come una mera negligenza, ma come una scelta funzionale a nascondere la condotta distrattiva. La Corte ha applicato il principio secondo cui il dolo generico della bancarotta documentale può essere desunto, con un ragionamento logico-presuntivo, dalla responsabilità accertata per i fatti di bancarotta patrimoniale. L’occultamento dei libri contabili è, infatti, di regola funzionale alla dissimulazione di atti che impoveriscono il patrimonio sociale.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Infine, la Corte ha ritenuto corretto il diniego delle attenuanti generiche. Sebbene la confessione possa essere un elemento positivo, il giudice di merito può escluderne la valenza quando, come in questo caso, è contrastata da altri elementi di particolare gravità: l’elevato importo delle somme distratte, le modalità fraudolente della condotta e i precedenti penali dell’imputato. La confessione, in questo contesto, non è stata ritenuta sufficiente a giustificare una riduzione della pena.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza la posizione di garanzia che l’ordinamento pone in capo all’amministratore (sia di diritto che di fatto) nei confronti dei creditori sociali. Chi gestisce un’impresa ha la diretta responsabilità della conservazione del patrimonio, che costituisce la garanzia per i creditori. La perdita ingiustificata di tale patrimonio integra il reato di bancarotta fraudolenta. La decisione della Cassazione serve come monito: di fronte a fondi mancanti, non basterà negare, ma sarà necessario dimostrare con prove concrete dove sono finiti. In assenza di ciò, la responsabilità penale è una conseguenza quasi certa.

In un caso di bancarotta fraudolenta, chi deve provare dove sono finiti i beni scomparsi della società?
Secondo la Corte, una volta provato che determinati beni o somme di denaro sono entrati nel patrimonio della società e non sono stati rinvenuti al momento del fallimento, l’onere della prova si inverte: spetta all’amministratore fornire la dimostrazione della concreta e legittima destinazione di tali beni, e non all’accusa provare l’avvenuta distrazione.

Un amministratore “di fatto” può essere ritenuto responsabile per la distruzione dei libri contabili?
Sì. La sentenza chiarisce che l’amministratore di fatto che gestisce l’intera attività societaria, soprattutto se finalizzata a uno scopo illecito, è pienamente responsabile anche della bancarotta documentale. La sua responsabilità per la distrazione dei beni (bancarotta patrimoniale) fa presumere la sua volontà di occultare le prove contabili di tale distrazione.

Aver confessato di aver creato un meccanismo fraudolento è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No, non necessariamente. La Corte spiega che il giudice può negare le attenuanti generiche anche in presenza di una confessione, se questa è controbilanciata da elementi di particolare gravità, come l’ingente valore dei beni distratti, le modalità insidiose della condotta e i precedenti penali dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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