Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4571 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4571 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAN SEVERO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/02/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello de L’Aquila ha confermato, per quanto d’interesse in questa sede, la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta documentale. Secondo la rubrica, l’imputato, nella sua qualità di amministratore in fatto della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in data 14 giugno 2006, ha occultato o comunque distratto, in concorso con altri, la somma di euro 476.857, ottenuta mediante operazioni fraudolente di indebito rimborso I.v.a. e non rinvenuta dalla curatela (capo a); nella medesima qualità, e in concorso con altri, ha occultato tutti i libri e le altre scritture contabili allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori (capo b).
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure altre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere la Corte territoriale errato nell’applicare i principi giurisprudenziali che governano i canoni probatori sul tema, in particolare invertendo l’onere della prova e affermando la penale responsabilità dell’imputato in mancanza di prova certa circa l’acquisizione di beni di provenienza illecita al patrimonio della fallita società. Più in particolare, sarebbe indimostrato il dato documentale relativo alle modalità di acquisizione della somma asseritamente distratta. Altresì indimostrati sarebbero la riconducibilità di tale somma al patrimonio societario, il numero di conto corrente -personale o societario- sul quale la somma sarebbe transitata, la data dell’operazione del transito RAGIONE_SOCIALE somme verso tale ipotetico conto corrente. Del resto, i Giudici del merito non hanno neppure indicato per quali fatture i rimborsi I.v.a. sarebbero stati richiesti e da chi, così come non è risultata traccia della data in cui i rimborsi sarebbero pervenuti dal RAGIONE_SOCIALE.
2.2 Col secondo motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, ascritto all’imputato, benché questi -mero amministratore di fatto- non svolgesse i compiti di natura amministrativa che incombevano sull’amministratore di diritto COGNOME e nonostante non sia stato dimostrato che l’imputato abbia agevolato la condotta del COGNOME. Inoltre, l’imputato è stato sottoposto a carcerazione a partire dal 2000 e dunque, da quel momento, non avrebbe potuto incidere in alcun modo nella gestione della fallita società. La Corte territoriale avrebbe affermato la responsabilità dell’imputato per l’ascritto reato sulla base di un apodittico ragionamento, non basato su alcuna prova
testimoniale. Osserva la difesa che l’asserito “previo concerto” dell’imputato con l’amministratore di diritto COGNOME nell’occultamento e distruzione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili è stato basato unicamente sul dato della consapevole costituzione, da parte del COGNOME e del COGNOME di una società-fantasma volta all’arricchimento personale dei due amministratori (di diritto e di fatto) in danno ai creditori; da ciò, dell’occultamento vel
i Giudici del merito avrebbero fatto discendere il corollario -indimostratosottrazione della contabilità. In tal modo, la Corte territoriale avrebbe operato un ragionamento non in linea col canone probatorio dell’onere della prova.
2.3 Col terzo motivo, si lamenta vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, illogicamente negate malgrado la confessione dell’imputato, il quale ha spontaneamente disvelato lo scopo fraudolento della società e il meccanismo ideato per ottenere i rimborsi I.v.a.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, perché generico e aspecifico, oltre che contrastante con i consolidati orientamenti di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, secondo cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. 231411).
Va ricordato il punto di partenza da cui muove la Corte territoriale -e ricordato dal ricorrente stesso- nel confermare il giudizio di penale responsabilità dell’imputato per l’ascritta condotta, vale a dire la prova certa fornita dalla costituzione di una società-schermo (vale a dire, una società non destinata a svolgere una reale attività imprenditoriale) finalizzata unicamente alla pratica fraudolenta di rimborsi I.v.a. A tale prova, si è giunti grazie alle dichiarazioni dell’imputato, che ammetteva di aver costituito, insieme al COGNOME, la società RAGIONE_SOCIALE con
l’intento di sfruttare l’inesperienza in materia di rimborsi dell’ufficio (aperto all’epoca dei fatti) RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie e RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dell’imputato, i Giudici del merito hanno ricollegato le ascritte distrazioni al meccanismo fraudolento escogitato dal COGNOME, insieme ad altri, consistente nella creazione di false bolle doganali, in cui venivano rappresentate false spedizioni; i soldi ottenuti a titolo di rimborso i.v.a. venivano poi versati su un conto corrente intestato alla società fallita, gestito con disgiunti poteri dal COGNOME e dal COGNOME (il primo, in qualità di amministratore di fatto, il secondo in qualità di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE ).
Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, i Giudici del merito hanno invero indicato non pochi elementi di dettaglio relativi alle operazioni illecite, significativamente non contestati dalla difesa, specificando ad esempio: 1) i conti correnti -italiani ed esteri- sui quali le somme illecitamente ottenute a titolo di rimborso venivano fatte transitare 2) le modalità del perfezionamento della procedura di rimborso i.v.a., confermata dal fatto che l’RAGIONE_SOCIALE attivava con successo la polizza fideiussoria rilasciata all’amministrazione finanziaria dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale versava all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la somma indebitamente rimborsata al contribuente/ RAGIONE_SOCIALE
Ebbene, date tali razionali premesse, il ricorrente aveva l’onere -se non di dimostrare- quantomeno di fornire elementi utili a contrastare l’ipotesi accusatoria dei giudici del merito; viceversa, egli si è limitato ad affermare, in termini del tutto congetturali, la possibilità “che le somme transitate non fossero afferenti alla società fallita”( la quale, del resto, “non presentava dichiarazione”): tali deduzioni sono del tutto insufficienti a contrastare -mediante prospettazione di un ragionevole dubbio- le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico.
Così argomentando, GLYPH il ricorrente trascura la costante elaborazione giurisprudenziale seguita dal giudice di legittimità, la quale si ancora alla peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso, è stato ricordato (Sez. 5, Sentenza n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710-1, in motivazione) che l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono l’aspettativa dell’adempimento RAGIONE_SOCIALE obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. È in funzione della garanzia per il ceto creditorio che si spiega l’onere
dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato perché fornisca la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e altri, Rv. 249715, in motivazione).
In altri termini, a fronte del sicuro ingresso nel patrimonio dell’imprenditore di componenti attive e dell’assoluta impossibilità di ricostruire la destinazione RAGIONE_SOCIALE stesse, del tutto ragionevolmente si può desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosità di tali condotte in vista del soddisfacimento RAGIONE_SOCIALE loro pretese. E allora, a ben guardare, non viene in questione un ribaltamento dell’onere probatorio, ma la sollecitazione a fornire elementi idonei a scardinare, introducendo un ragionevole dubbio, le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico. Ed è appena il caso di sottolineare che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, eludendo il ricorrente il necessario confronto, critico ed effettivo, con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, e limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 24383801).
La tesi del ricorrente -secondo cui alcuna responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale potrebbe ascriversi all’imputato, il quale, in qualità di mero amministratore di fatto, non svolgeva i compiti di natura amministrativa i quali incombevano sull’amministratore di diritto COGNOME– si infrange contro la puntuale disamina dei Giudici di merito. Questi ultimi hanno individuato il contributo causale dell’imputato nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, evidenziando come egli seguisse l’intera gestione societaria, occupandosi personalmente dell’attività di compravendita all’estero (che costituiva la premessa
indispensabile per l’indebito rimborso), della formazione RAGIONE_SOCIALE fatture e, in particolare, dei registri iva RAGIONE_SOCIALE fatture di vendita e acquisto, tutte risultate contraffatte e relative a operazioni inesistenti.
Provato, pertanto, lo specifico e personale contributo dell’imputato alla gestione societaria, i Giudici d’appello hanno correlato tale dato e la mancata tenuta e consegna della documentazione contabile alla volontà di ascondinnento della condotta distrattiva (di cui al motivo precedente), con ciò applicando correttamente i canoni ermeneuti elaborati da questa Corte, secondo cui «in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logicopresuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o RAGIONE_SOCIALE altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale» (Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, COGNOME, Rv. 283659 – 01; Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276910 – 01).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, avendo il ricorrente, anche in tal caso, eluso il confronto, critico ed effettivo, con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato. Nel passaggio dedicato alla determinazione della pena, i Giudici dell’appello hanno infatti esplicitato il riferimento alle modalità della condotta, all’importo elevato RAGIONE_SOCIALE somme distratte, oltre che ai precedenti penali dell’imputato. A fronte di ciò, essi hanno, di conseguenza, evidenziato l’assenza di particolari ragioni idonee a supportare la concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, in tal modo giustificando adeguatamente le ragioni poste a base del diniego dell’invocato beneficio. Se è vero che, in materia di attenuanti generiche, tra gli elementi positivi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena comminata per il reato, rientra la confessione spontanea, è vero anche che il giudice di merito può escluderne la valenza «quando essa sia contrastata da altri specifici elementi di disvalore emergenti dagli atti» (v., ad es., Sez. 1, Sentenza n. 42208 del 21/03/2017 Ud. (dep. 15/09/2017 ) Rv. 271224 – 01), ciò che puntualmente emerge dal testo della motivazione dell’impugnata sentenza.
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso. Alla pronuncia di inammissibilità, consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, così equitativamente determinata
in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 10/11/2023
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente