Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18773 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18773 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a ANAGNI il 23/03/1958 avverso la sentenza del 18/10/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Frosinone del 17.10.2021, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, quale amministratore unico, dal 9 ottobre 2013, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Frosinone del 22.04.2016, e per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Frosinone del 14.04.2015.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a sei motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 , comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione della legge processuale e vizio di motivazione, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, in relazione agli artt. 179 e 522 cod. proc. pen., 6 CEDU, 24 e 111 Cost., deducendo la nullità della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello, nel confermare la sentenza del Tribunale, avrebbe pronunciato su fatti nuovi e diversi rispetto a quelli contestati nella imputazione, in violazione del diritto di difesa, sia con riguardo alla motivazione inerente la bancarotta di cui al capo a), per il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, laddove richiama la relazione del curatore fallimentare, nella parte in cui ha verificato l’esistenza di operazioni passive (pagamenti) con altre società riconducibili all’ambito familiare (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) sia in ordine alla bancarotta di cui al capo b), per il fallimento RAGIONE_SOCIALE, laddove richiama condotte distrattive, relative a svendite di cespiti attivi ad altre società (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), riconducibili nell’ambito familiare dell’imputato .
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e di travisamento della prova, in relazione alla condotta distrattiva della somma di euro 459.091,35, quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE Si deduce che la Corte di appello non avrebbe valutato le prove a discarico (ricostruzione contabile del consulente tecnico della difesa, dott. NOME COGNOME con allegazione di una serie di documenti bancari, deposizioni dei due dipendenti, COGNOME e COGNOME, in relazione ai pagamenti in contanti, e di un fornitore NOME COGNOME), nonché in relazione al l’acquisto di carburante , agli emolumenti per l’attività lavorativa prestata dall’imputato e dalla moglie, le avrebbe valutate con motivazione illogica o meramente apparente o ne avrebbe travisato il significato.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di mancanza di motivazione, in relazione alla omessa riqualificazione della bancarotta distrattiva, ai danni della DPC s.r.l., nella
bancarotta preferenziale, con riguardo ai prelevamenti effettuati per corrispondere un compenso a sé e alla moglie per il lavoro svolto nella società fallita.
2.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizi motivazionali, in relazione alla bancarotta fraudolenta patrimoniale relativa alla società RAGIONE_SOCIALE Si deduce che la Corte di appello non avrebbe motivato in punto di prova della distrazione dei beni né sul fatto, oggetto della prova testimoniale, che la società non disponeva di un proprio patrimonio aziendale, all’atto dell’acquisto da parte dell’imputato , né in relazione alle conseguenze del rapporto di monocommittenza con la RAGIONE_SOCIALE derivanti dalla cessazione dell’attività di questa società .
2.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizi motivazionali, in relazione alla bancarotta documentale della società RAGIONE_SOCIALE deducendo che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto di quanto riferito dall’imputato sulla circostanza che, al momento della assunzione della qualifica di amministratore, non gli sarebbe stato consegnato alcun bene e alcun libro contabile.
2.6 Il sesto motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione, in punto di trattamento sanzionatorio, sia in relazione all’applicazione dell e riconosciute attenuanti generiche, in termini di prevalenza, sulla contestata aggravante, sia in relazione agli aumenti disposti, in misura superiore al minimo edittale, a titolo di continuazione e per l’aggravante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va disatteso.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto inedito, posto che non risulta dall’incontestata sintesi dei motivi di appello, per come riportata nella sentenza impugnata, che il deducente avesse formulato doglianze in ordine, appunto, al tema dedotto, di modo che, trattandosi di questione che involge profili di merito (ossia, attinenti all’uso della discrezionalità del giudice) non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, stante il combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen.
Il motivo è comunque inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 597 c. 1 c od. proc. pen., l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. I punti della decisione devoluti al giudice di appello sono le statuizioni inerenti alle condotte contestate che sono state ritenute accertate e sono state oggetto di appello. Non vige, invece, un vincolo per il giudice di appello, per la parte di sentenza suscettibile di autonoma valutazione relativa ad una specifica questione decisa in primo grado, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione può pervenire allo stesso risultato sulla base di considerazioni e argomenti diversi o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza con ciò violare il principio dell’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione (Sez. 5 n. 29175 del 07/04/2021, Rv. 281697 -01; Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261366 -01). E tanto meno senza che ciò costituisca violazione del disposto di cui all’art 522 cpp in ordine alla configurazione di un fatto nuovo rispetto a quello oggetto di imputazione.
Nella specie, con riguardo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale della DPC s.r.l., le argomentazioni nuove, sviluppate dalla Co rte d’appello , non costituiscono riqualificazione e riconfigurazione dei fatti oggetto del processo, ma introducono, a conforto della condotta dolosa distrattiva contestata, ulteriori argomenti, logici e indiziari, diversi, alla luce di dati di fatto, emersi nel dibattimento di primo grado, ma in tale sede non valutati.
In particolare, la condotta distrattiva contestata, relativa a prelevamenti in contanti e tramite assegni circolati di ingenti somme di denaro (euro 459.091,35), senza giustificazione, è stata valutata alla luce di un quadro complessivo di fatti e circostanze, che spiegano quelle condotte come espressione di un disegno preordinato alla completa spoliazione di ogni bene e attività della società fallenda e che smentiscono le argomentazioni difensive, volte a giustificare i prelievi come ordinarie forme di gestione imprenditoriale.
Ne sono stati ritenuti significativi indizi:
-le cessioni dei cespiti mobiliari attivi, a prezzo vile, a una società di famiglia (RAGIONE_SOCIALE, alla fine del 2014, in concomitanza con le distrazioni contestate, tanto che, nella transazione raggiunta in sede fallimentare, la cessionaria si accordava per il versamento di una somma ulteriore, superiore al prezzo di vendita;
-le operazioni di accollo, nell’anno 2013 , di diversi debiti, gravanti su altra società di famiglia (RAGIONE_SOCIALE, da parte della società fallita, senza alcuna giustificazione;
-le operazioni volte ad occultare gran parte del credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE attraverso lo storno dello stesso in bilancio in una voce generica denominata crediti vari v/terzi.
Con riguardo alla bancarotta fraudolenta distrattiva della RAGIONE_SOCIALE, le censure, mosse in ordine alla ricostruzione di un fatto nuovo, non si confrontano con l’impianto logico della motivazione che , introducendo elementi di valutazione in fatto, sulle ragioni per cui la documentazione contabile è stata alterata e non tenuta in maniera conforme ( vicenda dell’acquisizione dell’intero capitale della società, in difficoltà finanziarie, da parte della RAGIONE_SOCIALE, mancata richiesta di consegna della contabilità della società al ragioniere COGNOME che teneva la contabilità anche della RAGIONE_SOCIALE, dove aveva sede anche la RAGIONE_SOCIALE), evidenzia come ciò avrebbe rivelato una serie di operazioni passive, compiute dalla società fallita, depauperative del suo patrimonio, messe in evidenza dalla relazione del curatore, e rivelatrici di reale esistenza della prestazione ricevuta e sintomatiche di un danno arrecato ai creditori.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è inammissibile in quanto reiterativo e non si confronta con la sentenza impugnata che, con argomentazione immune da censure e vizi di illogicità manifesta, richiama la sentenza del Tribunale per la coerenza della ricostruzione dei fatti con le risultanze probatorie, non scalfita dalle censure mosse della difesa, costituenti mera riproposizione di argomenti dedotti dinanzi al Tribunale e confutati dai giudici di merito.
La censura, relativamente alle operazioni di prelievo dal conto della società, di cui non è in discussione l’attribuzione della condotta materiale all’imputato, contesta una motivazione apparente sulle deduzioni difensive volte alla ricostruzione delle singole operazioni di prelevamento, che sarebbero state disattese senza realmente confrontarsi.
Il motivo è reiterativo, oltre che inammissibile, in quanto è volto a rivalutare la prova senza riuscire ad individuare specifici vizi logici nello sviluppo della argomentazione del provvedimento impugnato.
La sentenza, nel richiamare il principio generale dell’onere della prova , gravante sul fallito, in ordine alla dimostrazione della destinazione dei beni, a fronte del loro mancato rinvenimento, osserva, secondo un ragionamento logico ed esente da vizi, che le ingenti somme di denaro, prelevate in contanti dalla DPC s.r.l., in maniera sistematica, tra il 2013 e il 2014, annotati come ‘prelevamento soci’, privi di documentazione di supporto, non hanno trovato una puntuale giustificazione con esigenze aziendali.
Con riguardo alla ricostruzione del consulente tecnico – contabile della difesa, dott. COGNOME la Corte di appello ha chiarito che la relazione, eccetto i pagamenti effettuati con assegni bancari, dei quali il Tribunale ha escluso il carattere distrattivo, si basa essenzialmente sulle dichiarazioni rese da ll’imputato , in assenza di documentazione di supporto. Peraltro, nel ricorso si menziona una corposa mole di documenti allegati, ma di essi non ne viene fornita illustrazione, per assumere che l’onere di allegazione sia stato, in realtà, puntualmente fornito, risultando, invero, menzionati documenti bancari, dal contenuto neutro, e dei quali i giudici di merito hanno tenuto conto.
Con riguardo alle voci di spesa, relative agli importi prelevati, destinati al pagamento, in nero, di dipendenti o fornitori, la Corte di merito ha rilevato che manca un dettaglio specifico delle singole operazioni, così da ricondurre ciascuna a una specifica movimentazione dal conto di cassa, sottolineando che, al riguardo, il consulente tecnico della difesa, nel corso dell’esame, richiamava le dichiarazioni dell’imputato , quale fonte degli importi indicati nella relazione, nonché la mancanza di documentazione ed i c.d. fuori busta’ .
Né risulta, nelle deduzioni del ricorso, che si sia mai fatto riferimento a una contabilità in nero parallela che, in qualche modo, tenesse il conto del notevole flusso finanziario in uscita.
La Corte di appello ha correttamente rilevato l’assenza di riscontro all e causali dei pagamenti con prelievi di cassa, per estinguere posizioni debitorie non contabilizzate, ritenendo, al riguardo, generiche ed approssimative, in relazione alle somme corrisposte ed al periodo di erogazione, le dichiarazioni dei dipendenti, che si sono limitati a confermare di avere ricevuto pagamenti in contanti per l’attività lavorativa svolta.
Quanto ai pagamenti ai fornitori in contanti, la Corte di merito ha rilevato l’assenza di documentazione giustificativa e che, al pari dei pagamenti in favore dei dipendenti, non vi è dimostrazione che il contante utilizzato sia quello prelevato dalla cassa e non provenga da altri fondi occulti, non menzionati nella contabilità ufficiale, alla luce di operazioni di storno di fatture, poi liquidate in contanti, come valorizzate nel ragionamento indiziario con riferimento all’operazione RAGIONE_SOCIALE , della quale l’imputato è stato direttore tecnico, e della quale la RAGIONE_SOCIALE si è accollata diversi debiti senza che risulti dagli atti alcuna spiegazione in termini di interesse per l’accol lante.
Con riguardo a l denaro utilizzato per sostenere le spese per l’acquisto del carburante, necessario per movimentare i mezzi della RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito ha rilevato l’assenza di riscontri nella documentazione contabil e. Sul punto, la relazione del consulente della difesa si limita ad affermare che si trattava di
acquisti effettuati giornalmente, direttamente presso i distributori, pagati in contanti e, quanto all’importo indicato , si è basata sulle dichiarazioni dell’imputato.
Con riguardo alle movimentazioni relative alla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello, con motivazione immune da censure e da vizi di illogicità manifesta , confrontandosi con il motivo di ricorso, sulla base degli accertamenti compiuti dal curatore, in relazione alle fatture emesse nei confronti di tale società, per un ammontare complessivo di euro 188.009,80, non incassate, e stornate in parte dal bilancio, con scritture di rettifica del 30.04.2013 (in dettaglio indicate alla pag.6 della sentenza impugnata), ha chiarito trattarsi di credito nei confronti di tale società, del quale non è stata provata la compensazione con crediti della società fallita, né transazioni, a fronte di un pagamento parziale di cui non vi era prova.
Anche, sul punto, la relazione del consulente tecnico della difesa si è basata sulle dichiara zioni dell’imputato .
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato la ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. Un., 16 dicembre 1999, n. 24, S., Rv. 214794; Sez. 3, 11 gennaio 1999, n. 215, F., Rv. 212091).
Pertanto, non è denunciabile il vizio di travisamento del fatto, ove lo stesso non risulti dal testo del provvedimento, giacché è inibito alla Corte di legittimità di saggiare la tenuta logica della pronuncia mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati da atti esterni alla pronuncia (cfr. Cass., Sez. Un., 23 giugno 2000, n. 12, J., rv. 216260, che ha definitivamente escluso un sindacato precluso dalla chiara lettera dell’art. 606 c.p.p.).
Inoltre, secondo giurisprudenza costante di questa Corte sotto il vigore del precedente codice di rito (Cass., Sez. I, 18 aprile 1985, M. cui “adde” Cass., Sez. I, 19 ottobre 1988, Q.) e dell’attuale (Cass., Sez. I, 4 febbraio 1994, A. ed altri e Cass., Sez. III, 23 aprile 1994, C. fra tante), le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità.
Infine, secondo il prevalente e condiviso orientamento di questo giudice di legittimità (Sez. Un., 21 settembre 2000, n. 17, P. ed altri, Rv. 216664), la motivazione “per relationem” è sempre ammissibile ove l’atto richiamato sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, appaia congruo in ordine all’esigenza di giustificazione del provvedimento di destinazione e fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione.
E’ qui opportuno ribadire che, avendo la Corte d’ appello adottato criteri di valutazione delle prove del tutto sovrapponibili a quelli fatti propri dal giudice di prime cure, ci troviamo di fronte ad un caso di doppia conforme, con conseguente possibilità di leggere congiuntamente le motivazioni dei due provvedimenti di merito (Sez. II, sentenza n. 37295 del 12/6/2019).
Così che essendo al cospetto di una condanna a seguito di sentenza in doppia conforme, l’eventuale asserito travisamento della prova doveva riferirsi a circostanza decisiva travisata utilizzata dal giudice di secondo grado e mai introdotta prima nella motivazione. Ma così non risulta dalle censure del ricorso, che appuntano le proprie doglianze, riproponendo quelle mosse alla sentenza di prime cure con i motivi di appello, su una diversa interpretazione di prove la cui portata non risulta per nulla travisata nel suo significante dalla Corte territoriale, che anzi su ogni motivo d’appello ha argomentato e superato le doglianze mosse con argomentazioni logiche coerenti e del tutto incensurabili.
2.3 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Con riguardo ai prelevamenti per spese personali o per la famiglia, la deduzione difensiva secondo cui si tratterebbe di destinazione del denaro alle esigenze personali proprie e della famiglia, costituendo l’attività di impresa costituiva l’unica fonte di sostentamento per la famiglia, nonché quale retribuzione de l lavoro svolto in società dall’amministratore imputato e dalla moglie, è rimasta una mera asserzione priva di fondamento testuale.
La Corte di appello, confrontandosi con il motivo di ricorso, ha, innanzitutto, rilevato l’assenza di riscontro in delibere assembleari, che a ciò li autorizzassero, necessaria, data la separazione tra il patrimonio personale e quello della persona giuridica, nonché di preventiva quantificazione, di concretezza, in termini di descrizione della prestazione, della durata del compenso previsto nonché la sproporzione rispetto all’andamento gestionale della società, al suo stato di crisi e di insolvenza, tanto da non riuscire a pagare regolarmente i dipendenti e gli oneri previdenziali. La Corte di merito ha, correttamente, ritenuto che si è trattato di prelievi di ingenti somme di denaro in contanti dalle casse della società senza fornire prova certa del relativo impiego nell’interesse aziendale , e dunque, di uno
storno di fondi sociali dalle finalità proprie di garanzia per i creditori, integrante un fatto distrattivo.
2.4 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è reiterativo nonché volto ad una rivalutazione delle fonti di prova, prospettando una diversa e, peraltro, implausibile ricostruzione, in ordine al momento acquisitivo della società e alla presa di consegna dei beni materiali, necessari allo svolgimento dell’attività, ad essa appartenenti, che risultavano dal libro dei cespiti, aggiornato al 31.12.2012, ma che non venivano rinvenuti in sede fallimentare.
La difesa contesta la efficacia rappresentativa delle scritture contabili, con particolare riferimento al libro dei cespiti, che ha attestato l’esistenza dei beni materiali, senza allegare diversa prova in senso contrario, che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare, se non un passaggio della deposizione del curatore, che si è limitato a constatare la mancanza di qualsiasi cespite.
In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato ed unanimemente seguito, come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, sia desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione (ex multis Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204). L’imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell’amministratore si giustifica a tutela del ceto creditorio perché è l’amministratore responsabile della gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso può chiarire, proprio in quanto artefice della gestione, quale destinazione effettiva abbiano avuto i beni sociali.
Siffatto onere dimostrativo presuppone, invero, la prova dell’esistenza dei beni non rinvenuti dagli organi della curatela. Sul punto, si è affermato come siffatta esistenza (e consistenza) possa essere desunta, in via indiretta, anche dagli ultimi documenti attendibili, pur risalenti nel tempo, redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili (Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018 – dep. 2019, Villa, Rv. 275499). Si è, a tal proposito, osservato come il principio, che fonda la prova della distrazione di beni sociali sulla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, debba valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento (è riscontrato che) fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilità della medesima sulla scorta
degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in esercizi, anche distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all’obbligo di tenuta dei libri contabili, in modo integrale o, comunque, attraverso la gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Ciò in quanto la mancata o irregolare tenuta della contabilità, in totale spregio degli obblighi di legge, non può certo costituire una circostanza da cui gli amministratori inadempienti possano trarre vantaggio, dovendo gli stessi comunque giustificare quale destinazione abbiano avuto i beni sociali – la cui esistenza risulti dagli ultimi documenti contabili redatti dalla società in modo attendibile – non rinvenuti dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento.
Siffatti principi sono stati ulteriormente specificati, nella prospettiva di scongiurare inammissibili automatismi ed equazioni dimostrative. Si è, a tal fine, precisato come l’accertamento della precedente disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non possa fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili prevista dall’art. 2710 cod. civ. dovendo, invece, le risultanze desumibili da questi atti essere valutate anche nel silenzio del fallito – nella loro intrinseca affidabilità, sicchè il giudice dovrà congruamente motivare ove l’attendibilità delle scritture non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo (Sez. 5, n. 55805 del 03/10/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 274621).
Nella specie, la Corte d’appello ha fondato la valutazione di attendibilità delle scritture contabili, ed in particolare, del libro dei cespiti, aggiornato al 31.12.2012, oltre che sulla correttezza formale, sulla completezza, coerenza e congruità dei dati contabilizzati al 31.12.2012 , antecedentemente all’ingresso del COGNOME , tanto da dare conto di una società sana, trovatasi inesplicabilmente in difficoltà economica con la nuova gestione.
2.5 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è generico e non si confronta con la motivazione, che si connota per rigorosa logicità e coerenza rispetto alle emergenze processuali e da cui si desume che la società, già in crisi al momento della acquisizione, ha prodotto un rilevante passivo, di oltre un milione di euro, con operazioni di indebitamento di non chiara spiegazione e in assenza di qualsiasi traccia contabile.
La Corte di merito ha sottolineato l’omessa consegna al curatore di alcuna documentazione contabile, per il periodo dall’1.10.2014 alla data del fallimento, sebbene l’attività sociale sia proseguita almeno sino al 19.12.2014, ritenendo inattendibile quanto dedotto dal ricorrente, che ne attribuisce la responsabilità al
ragioniere COGNOME contabile della RAGIONE_SOCIALE, che non avrebbe svolto un incarico, peraltro mai conferito e retribuito dal ricorrente e, sul quale, questi non ha mai esercitato alcun controllo.
La Corte d’appello ha sottolineato la gravità della condotta omissiva del ricorrente che non ha preteso la consegna della contabilità tenuta dal ragioniere COGNOME antecedentemente al suo ingresso in carica, sebbene necessaria, al fine di valutare l’effettivo stato di salute di una società di cui faceva acquistare il 100% del capitale alla RAGIONE_SOCIALE e che sapeva trovarsi in difficoltà finanziarie, divenendone amministrare unico.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 3/04/2025.