Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4582 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 4582 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto dai COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la SENTENZA del 26/01/2023 della CORTE di APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Procuratore Generale in persona del Sostituto NOME COGNOME, c riportandosi alla memoria scritta depositata, conclude per la inammissibilità del ricorso. L’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME si riporta ai motivi e insiste per l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisi Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato NOME COGNOME, qua 1); della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 2 luglio 2012, ancarotta fraudolenta impropria, per avere omesso sistematicamente il versamento -imposte cagionando il fallimento della società.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, con il ministero del difensore di fiduci NOME COGNOMENOME COGNOME, il quale svolge due motivi.
2.1. Con il primo, denuncia violazione del principio del “ne bis in idem” ex art. 649 cod. proc. pen., sul rilievo che il ricorrente sarebbe stato già definitivamente condannato pe cui agli artt. 10-bis, 10-ter del D.L.vo n. 74/2000 e 2 del D.L. n. 463 del 1983, versamento dell’I.V.A., dei contributi previdenziali e delle ritenute di acconto, sos si tratti del medesimo fatto storico ora sub judice, alla luce dei principi declinati dall giurisprudenza convenzionale e interna in punto di qualificazione del “medesimo fatto”
2.2. Con un secondo motivo, è contestata l’affermazione di responsabilità del Grim carenza degli elementi strutturali del delitto, altresì, dolendosi il ricorrent motivazione su specifici motivi di appello e della mancata riqualificazione del fat dell’art. 224 L.F. In specie, sotto il profilo soggettivo, la Difesa ricorre insussistenza del dolo, dovendo inquadrarsi la condotta omissiva dell’imputato nella p della salvaguardia aziendale, tanto da avere concordato un piano di rateizzazione con in parte anche onorato.
Quanto all’elemento oggettivo del reato si sostiene l’inconfigurabilità dell’inad protratto, esteso e sistematico, avendo il ricorrente svolto il ruolo qualifica esercizi. In ogni caso, la condotta incriminata avrebbe dovuto essere qualifi inosservanza degli obblighi imposti dalla Legge. Con riguardo a tali profili, la motiva sentenza impugnata è del tutto mancante
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.11 primo motivo sconta il limite della non autosufficienza per mancata allegaz sentenza che dovrebbe fondare la dedotta violazione dell’art. 649 cod. proc. pen.
1.1. In ogni caso, la deduzione non ha pregio. Come premesso, il difensore ricorren che la sentenza passata in giudicato concerneva il mancato versamento delle imposte, giudizio in esame verte sulla causazione dolosa del fallimento a cagione della creazione di un debito erariale risultante, inter alla, anche dal sistematico mancato versamento, per cui l violazioni differiscono nei loro elementi essenziali.
1.2. Ai fini di un corretto inquadramento della questione prospettata, giova richiam sia pur sinteticamente, l’evoluzione giurisprudenziale che ha investito il thema del bis in idem processuale. Va, innanzitutto, chiarito che il principio del ne bis in idem sostanziale e il principio
del ne bis in idem processuale hanno confini e ambiti applicativi (almeno parzialmente) div il bis in idem sostanziale, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multi medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 cod. la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia giuridicamente due volte alla stessa persona; il bis in idem processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto tra il fatto ed il giudizio, vietando l’esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato (Sez. 7 – , Ordinanza n. 42994 del 20/10/2021, Rv. 282187; conf. sez. 5 n. 1363 del 25/10/2021, dep. 2022).
Al riguardo, con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale – che ha illegittimo l’art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con senten irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale – ha ridefinit del ne bis in idem processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l’opzione della Corte ED ciò affermando il criterio dell’idem factum, e non dell’idem legale, ai fini della valutazione dell medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. L’affrancamento dall’inquad giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost 2016, § 4), cioè dall’idem legale, ha comportato la riaffermazione della “dimensione esclusivamente processuale” del divieto di bis in idem, che “preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo” (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 10). Secondo la Corte costituzionale, infatti, il diritto vivente, pur un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva “saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in id (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 10), sterilizzando la garanzia processuale in r qualificazione normativa multipla consentita dal (l’inoperatività del) principio del bis in idem sostanziale. Al contrario, proprio l’adesione ad una concezione storico-naturalisti (l’idem factum), ai fini della perimetrazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 649 cod. proc. pen., implica l’ininfluenza del concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 12). Ne deriva che l’estensione del bis in idem processuale è diversa, e di regola più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, concerne, come detto, rapporti diversi: l’art. 649 cod. proc. pen., infatti, riguarda rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storiconaturalistica, prescinde dalle, eventualmente diverse, qualificazioni giuridiche; i bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico (Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Rv. 280774). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene, come è noto, dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, pure avendo forni precisazioni di principio nel corso degli anni, con riferimento alla nozione rilev idem
factum, con la sentenza della Grande Camera, 10/2/2009, caso NOME COGNOME contro Russia, ha delineato il thema in maniera definitiva e organica.
Nell’esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del ‘bis in idem’, la Corte E.D.U. ha constatato che non tutti usano gli stessi termini, ed ha affermato che distinzione tra i termini “stessi atti” o “stessi fatti”, da un lato, e “stesso reato”, dall’a ritenuta sia dalla CGUE un elemento importante a favore dell’adozione di un approccio basato strettamente sull’identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti come criterio di verifica della violazione, giudicata irrilevante. La Corte EDU prende spunto dalla constatazione che un tale approccio interpretativ è più favorevole, perché l’autore del reato saprebbe che, una volta condannato o assolto, non deve temere ulteriori procedimenti penali per la medesima condotta o il medesimo fatto, e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata e applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma termine “offence/infraction” nell’art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approcc interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesi rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che, per la medesima condotta, una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza, secondo la Corte EDU, l’art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono ide oppure sono sostanzialmente gli stessi (§ 82), dovendosi intendere per fatto «l’insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilment legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di otte una condanna o avviare un procedimento penale» (§ 84).
Tornando alla sentenza n. 200 del 2016 della Corte Costituzionale, il Giudice delle Legg nell’affermare il criterio dell’idem factum, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio, ha chiarito che l’affrancamento dall’inquadramento giurid del fatto non implica l’affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto.
Il criterio dell’idem factum, afferma la Consulta, non può essere inteso nell’accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Co EDU non è consolidata in tal senso, anche per l’approccio casistico che la connota, e in quant la scelta sul perimetro dell’idem factum “è di carattere normativo”, perché “ognuna di esse è compatibile con la concezione dell’idem factum” (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 4).
In particolare, la Corte costituzionale ha preso le distanze, affermandone la erroneità, d tesi secondo cui l’idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell’azione o dell’omissione, trascurando evento e nesso di causalità, giacchè “Il fatto storico -naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, perché l’approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal conten necessario. Fatto, in questa prospettiva, è l’accadimento materiale, certamente affrancato giogo dell’inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la
selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azi all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anch al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovver modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente. È chiaro che la scelta tr possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatib con la concezione dell’idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell’idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere cara giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell’accadimento naturalistico che l’interpr tenuto a prendere considerazione per valutare la medesimezza del fatto. Nell’ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell’idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell’agente ovvero abbracci l’oggetto fisico, o anche l’evento naturalistico” (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 4).
Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Cort Costituzionale ha escluso che l’idem factum venisse delimitato con riferimento esclusivo alla condotta: “Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, COGNOME contro Russia’, né le successive pronunce della Corte EDU recano l’affermazione che il fatto va assunto, ai f del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all’azione o all’omissione dell’imputato. A fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati condotta, ove è ovvio che l’indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest’ultima soltanto esempio, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)”; conclude, sul punto, la Consulta, evidenziando che: “Certo è che, perlomeno allo stato, la giurisprudenza europea, che «resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l’ha originata» (sentenza n. del 2011), non permette di isolare con sufficiente certezza alcun principio (sentenza n. 49 2015), alla luce del quale valutare la legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. p si escluda l’opzione compiuta con nettezza a favore dell’idem factum (questa sì, davvero espressiva di un orientamento sistematico e definitivo). In particolare, non solo non vi è m di ritenere che il fatto, quanto all’art. 4 del Protocollo n. 7, sia da circoscrivere alla so dell’agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l’oggetto fisico di quest’ultima, non si può escludere che vi rientri anche l’evento, purché recepito con rigore nella dimensione materiale” (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 5). La Corte Costituzionale ribadisce ch “allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera sola azione od omissione dell’agente” (Corte Cost., n. 200 del 2016 § 6).
Sulla nozione di idem factum, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazion
reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condottacausale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta, e, dunque, preclusione connessa al principio del “ne bis in idem” opera ove il reato già giudicato si ponga in concorso formale con quello oggetto del secondo giudizio nel solo caso in cui sussista l’identi del fatto storico, inteso sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, e con rigua alle circostanze di tempo, di luogo e di persona ( Sez. Un. Donati, n. 34655 del 28 giugno 2005) considerati sia nella loro dimensione storico – naturalistica, sia in quella giuridica, non es sufficiente la sola identità della condotta o di parte di essa, laddove la medesima condotta v contemporaneamente più disposizioni incriminatrici ( In tal senso Sez. 2, n. 52606 de 31/10/2018, COGNOME, Rv. 275518, Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018 COGNOME, Rv. 274448; Sez. 4, n. 54986 del 24/10/2017, COGNOME, Rv. 271717, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270387; Sez. 4, n. 3315 del 06/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269223).
1.3. Questa Corte ha già affrontato anche la questione posta dal ricorso, e, richiamando principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 in relazione all’a del Protocollo n. 7 alla CEDU, ha escluso la sussistenza di un rapporto di identità del fatt condotte di bancarotta fraudolenta e di omesso versamento di IVA di cui all’art. 10-ter d.lgs. marzo 2000, n. 74, osservando come il mancato versamento Iva e la bancarotta fraudolenta si differenzino in concreto sia per la condotta, sia per l’evento, ( Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2 Pigozzi, Rv. 273220), e, da ultimo, ha ritenuto configurabile il concorso tra il delitto di versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e quello di bancar impropria mediante operazioni dolose previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., essen diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, ovvero gli interessi da un lato, e quelli dei creditori, dall’altro, e non comportando, le parziali interferenze la configurabilità di un concorso apparente di norme. (Sez. 3 n. 11064 del 01/12/2021 -(dep. 2022 Rv. 282927). Ha rilevato in motivazione la Suprema Corte, in tale ultimo arresto che ” Il delitto tributario, infatti, prevede una condotta omissiva che deve determinare l’e di evasione fiscale in misura superiore alla soglia di punibilità, mentre il reato di banc fraudolenta societaria impropria qui in esame postula una condotta dolosa di qualsiasi natura non necessariamente costituente reato, che deve invece portare al dissesto di un’impresa condotta in forma societaria ed alla dichiarazione di fallimento della società.
Certamente gli inadempimenti tributari e previdenziali possono rientrare nelle operazio dolose che cagionano il fallimento, tali da integrare l’ipotesi di bancarotta di cui all’art. In dette operazioni, infatti, rientrano tutti gli atti intrinsecamente pericolosi per economica e finanziaria dell’impresa e dunque anche le condotte omissive di mancato adempimento alle obbligazioni tributarie e previdenziali, che accrescono l’indebitamento del società in conseguenza dell’accumularsi di interessi e sanzioni sulle somme non versate. Ma, come si è visto, il giudizio in esame verte sulla causazione dolosa del fallimento a cagione d creazione di un debito erariale risultante, inter alia, anche dal suddetto sistematico mancato
versamento, per cui le violazioni differiscono nei loro elementi essenziali. Correttamente, quind la Corte territoriale ha escluso la violazione del divieto del bis in idem processuale. Dovendo concentrarsi la verifica sul fatto storico concretamente oggetto della res iudicata e quello oggetto della res iudicanda, giacchè, “ai fini della preclusione del “ne bis in idem”, l’identità del fa deve essere valutata in relazione al concreto oggetto del giudicato e della nuova contestazione, senza confrontare gli elementi delle fattispecie astratte di reato” (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268502), non ricorre, nel caso di specie, il requisito dell’idem factum. Il fatto storico oggetto del presente processo concerne, infatti, la bancarotta fraudole impropria di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 cod. pen., mentre il precedente giudicato aveva avuto a oggetto l’omesso pagamento delle imposte, in ordine ai quali, se è vero che ricorre una coincidenza soggettiva, dal momento che entrambi i reati sono stati commessi dai medesimi soggetti, manca, invece, la coincidenza tra i due fatti storici contestati, per le differenze c sono segnalate.
Quanto alla responsabilità personale, la sentenza impugnata ha posto in luce come gli atti causativi del fallimento risultano commessi durante la gestione della società in capo al ricorrent e in un periodo antecedente all’evento che la Difesa ha addotto come quello generativo della crisi irrevocabile, ovvero il crollo del mercato immobiliare nel 200 al momento che il mancat pagamento degli oneri fiscali e dei contributi previdenziali risultava avere avuto inizio nel e proseguito nel 2007, e reiterato nei successivi quattro anni, accumulando debiti per milioni euro, portando la società a una condizione di prevedibile e irrimediabile insolvenza. D’altro cant la sentenza ha sottolineato cornea fronte di difficoltà finanziarie risalenti inon erano stati attuati interventi atti a gestire la crisi; al contrario, si era registrato un progressivo accumulo di fiscali e previdenziali. Non risponde al vero, dunque, che la Corte di appello abbia obliterat deduzioni difensive dell’appellante.
3.1. Corretta anche la qualificazione giuridica del fatto, coerente con le previsioni normativ con la giurisprudenza consolidata. Nelle pronunce di questa Corte, si è affermato più volte che le operazioni dolose possono consistere nel mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità (Sez. 5 – , n. 43562 del 11/06/2019, Rv. 277125; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046; in senso analogo, Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997). Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la sentenza GLYPH impugnata ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della fallita, evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali era stato il fr di una consapevole scelta gestionale dell’imputato amministratore, attuata fin dal 2006, d quando è iniziata la omissione del versamento dei tributi e dei contributi, l’omissione protrat per gli anni successivi. Si tratta, dunque, di una omissione di significativa estensione e di irrilevante importo, tale essendo la somma pari a a quasi tre milioni di euro, anche co riferimento a una società con elevato fatturato. Da tali premesse discende che, traducendosi in un abuso gestionale o in una infedeltà alla quale si è accompagnata l’indebita diminuzione
dell’asse attivo e la prevedibilità del dissesto, la pluralità di condotte in esame è sussu nella fattispecie contestata. Correttamente, la Corte territoriale ha, quindi, ravvisat protratto inadempimento delle obbligazioni fiscali e contributive, un comportamento globalmente considerato, che, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della società nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali, anche in ragione dell’inevitabile sanzionatorio, rendeva prevedibile – proprio per l’ampiezza del fenomeno, per la sua sistematicità, e per l’entità degli importi evasi, che, di fatto, ha caratterizzato un ampio p della vita della società – il conseguente dissesto.
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 27 novembre 2023
Il Consigliere estensore