Bancarotta Fraudolenta Patrimoniale: Non Serve Provare il Nesso con il Fallimento
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, offrendo importanti chiarimenti sulla configurazione del reato. La Suprema Corte ha stabilito che per la condanna non è necessario dimostrare un collegamento causale diretto tra le operazioni di distrazione di beni e la successiva dichiarazione di fallimento. Analizziamo insieme questa decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Processo
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di due fratelli, emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Agli imputati veniva contestato di aver sottratto beni dal patrimonio della società, in particolare attraverso la cessione di alcuni immobili, causando un depauperamento ai danni dei creditori.
I giudici di merito avevano riconosciuto la responsabilità penale di entrambi, concedendo le circostanze attenuanti generiche ma condannandoli al pagamento di una pena e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.
I Motivi del Ricorso e la questione della bancarotta fraudolenta patrimoniale
Contro la sentenza d’appello, i due imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando diverse censure.
Un primo imputato lamentava:
1. Un vizio di motivazione riguardo alla valutazione di alcune testimonianze.
2. L’erronea affermazione di responsabilità, sostenendo che nel periodo delle operazioni contestate la società non si trovasse in stato di insolvenza e che, quindi, mancasse un nesso causale con il dissesto.
3. Un’errata dosimetria della pena.
Il secondo imputato, invece, contestava l’affermazione di responsabilità in relazione alle specifiche cessioni immobiliari, cercando di ottenere una rivalutazione delle prove raccolte.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, fornendo motivazioni nette e in linea con il suo consolidato orientamento giurisprudenziale.
Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso del primo imputato. La Corte ha definito la tesi difensiva ‘manifestamente infondata’ poiché in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità. Richiamando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 22474 del 2016), i giudici hanno ribadito che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria la prova di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento.
In altre parole, il reato si configura per il solo fatto che l’agente abbia causato un impoverimento del patrimonio dell’impresa, destinando le sue risorse a scopi estranei all’attività sociale. L’atto distrattivo è penalmente rilevante in sé, in quanto pregiudica la garanzia patrimoniale offerta ai creditori, a prescindere dal fatto che sia stato la causa determinante del dissesto finale.
Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso, la Corte li ha ritenuti inammissibili per la loro genericità o perché miravano a una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze impugnate.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio di estrema importanza per la tutela dei creditori e la repressione dei reati fallimentari. La decisione chiarisce che qualsiasi atto volto a sottrarre beni al patrimonio di un’impresa in difficoltà è potenzialmente un atto di bancarotta, anche se compiuto prima della formale dichiarazione di insolvenza e anche se non è l’unica causa del fallimento.
Questa interpretazione estensiva della norma mira a prevenire e sanzionare comportamenti opportunistici degli amministratori che, prevedendo il dissesto, tentano di mettere al riparo parte del patrimonio a scapito della collettività dei creditori. Per gli imprenditori, il messaggio è chiaro: la gestione del patrimonio sociale deve sempre essere improntata alla massima correttezza, poiché le condotte distrattive sono punibili per il solo fatto di aver diminuito la garanzia per i creditori.
Per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale è necessario che l’atto di distrazione dei beni abbia causato il fallimento dell’azienda?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento. È sufficiente che l’agente abbia causato un impoverimento dell’impresa, destinando le sue risorse a scopi estranei all’attività aziendale.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove, come le testimonianze?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può rivalutare le prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, a meno che non vengano dedotti specifici travisamenti di emergenze processuali.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14196 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14196 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a UDINE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a UDINE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la memoria fatta pervenire dal difensore dell’imputato NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Udine del 14 marzo 2019 che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, riconosciute in favore di entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti per NOME COGNOME e prevalenti sulla contestata aggravante per NOME COGNOME, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile;
che il primo motivo di ricorso dell’imputato NOME COGNOME, con il quale il ricorrente denunzia vizio di motivazione con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, è manifestamente infondato perché inerente ad asseriti difetto o contraddittorietà e/o palese illogicità del motivazione non emergenti dal provvedimento impugNOME (si vedano pagg. 11 e ss.), oltre ad essere inammissibile per la sua estrema genericità;
che il secondo motivo di ricorso dell’imputato NOME COGNOME, con il quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’erronea affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta stante l’assenza dello stato di insolvenza nel periodo in contestazione, è manifestamente infondato poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità atteso che questa Corte ha affermato che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagioNOME il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (SU, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME e altro, Rv. 266804);
che il terzo motivo di ricorso dell’imputato NOME COGNOME, con il quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione circa la dosimetria della pena, è manifestamente infondato oltre a non essere consentito dalla legge in sede di legittimità poiché prospetta deduzioni generiche e prive delle ragioni di diritto e dei dati di fatto che sorreggono le richieste;
– che il primo e il secondo motivo del ricorso dell’imputato NOME COGNOME, con i quali il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento, rispettivamente, all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale scaturente dalla cessione dell’immobile a COGNOME e all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta patrimoniale relativo alla cessione dell’immobile alla COGNOME, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità in quanto entrambi volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito;
che all’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 31/01/2024.