Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28518 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28518 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME Angelo nato a MILANO il 25/04/1962
avverso la sentenza del 12/12/2024 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio sul punto dell’omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione di pena alternativa; il rigetto nel resto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 14.12.2023, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di bancarotta documentale semplice ex art. 217, comma 2, L. Fall., per irregolare tenuta della contabilità aziendale per l’annualità 2018 , contestato al capo 1), e di due reati di bancarotta fraudolenta distrattiva di somme di denaro, contestati ai capi 2) e 3), nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Milano del 30/10/2019, dal 15.12.2015 al 17.09.2018.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso, affidato a tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo 1) di imputazione, di bancarotta documentale. Si deduce che, quanto agli anni 2016-2017, la contabilità sarebbe stata regolarmente tenuta e consegnata, quanto al periodo successivo, che la società, dall’inizio del 2018 , sarebbe stata inattiva, che il ricorrente era stato sostituito, nella amministrazione, prima della scadenza del termine del deposito del bilancio 2018 e, comunque, nessun pregiudizio sarebbe stato arrecato ai creditori, nonché l’assenza dell’elemento soggettivo del reato e , si chiede l’applicazione dell’art. 131 bis c od. pen. per la inoffensività della condotta.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione ed erronea applicazione di legge e vizio di motivazione e travisamento dei fatti in relazione alla condanna per la bancarotta fraudolenta distrattiva di cui ai capi 2) e 3) della imputazione. Si deduce l’assenza della condotta distrattiva in quanto la società fallita, ricevuti i fondi, versava le somme alle società per le quali aveva presentato i progetti che le avevano dato mandato, senza potere trattenere quanto incassato, svolgendo attività di presentazione della documentazione per conto terzi.
Si d uole che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto sussistere l’e lemento soggettivo del reato, in quanto il credito, che ha portato alla procedura fallimentare, sarebbe sorto solo nel 2018, in epoca successiva rispetto ai versamenti delle somme erogate da GSE e già versate agli aventi diritto.
Si deduce, inoltre, la carenza di idonea motivazione in punto di valutazione della potenzialità lesiva delle iniziative della società, in bonis fino al 2018, e senza alcun creditore che lamentava di non essere stato pagato.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di concessione di pene alternative, ai sensi dell’art.20 bis cod. pen., ribadita nella dichiarazione relativa alla volontà di proporre appello, allegata all’atto. Si deduce che i fatti sono risalenti nel tempo e l’imputato è in censurato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla richiesta di concessione di sanzioni sostitutive della pena.
2. Deve, in primo luogo, rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735). Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base dell’appello, l’iter motivazionale della sentenza di primo grado per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed esaminato le censure svolte. I giudici di merito hanno ricostruito nel dettaglio tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e ne hanno dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.
Tanto precisato si osserva che le deduzioni svolte, oltre che in buona parte meramente reiterative di quelle sviluppate in appello, senza un adeguato confronto con le motivazioni della sentenza impugnata, sono infondate nei termini di cui si dirà, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello, che hanno ricavato la sussistenza dei reati contestati ai capi 1), 2) e 3) dalla complessiva documentazione in atti.
2.1 Il primo motivo del ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è meramente reiterativo di doglianze prospettate e disattese dalla Corte di merito con motivazione congrua ed immune da vizi e censure.
Nel caso di specie, comunque, l’accertamento di fatto, svolto dalla Corte territoriale, è sorretto da motivazione congrua e non manifestamente illogica, dunque, non censurabile in questa sede, che richiama interamente la motivazione del Tribunale.
Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 6, n. 5465 del
04/11/2020, dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subìto il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767).
I profili introdotti dal ricorrente mirano, in larga parte, reiterando le questioni già discusse nelle fasi di merito, ad evidenziare non condivise valutazioni della prova, piuttosto che ad evidenziare errori logici nella motivazione del giudice nella valutazione delle stesse, introducendo in tal modo una critica al contenuto della prova. Essi presentano, dunque, profili di inammissibilità, perché introducono in sede di legittimità una richiesta di rilettura delle risultanze probatorie, accertate nei precedenti gradi di giudizio sulle quali il giudice si è già pronunciato. Gli argomenti a sostegno del ricorso, invece, ripercorrono in gran parte i motivi di appello riproponendo temi già affrontati dalla Corte territoriale con motivazione che non si presta alla censura proposta.
La Corte di merito, confrontandosi con il motivo di ricorso, con motivazione corretta, logica ed immune da censure, quanto alla omessa tenuta della contabilità per l’anno 2018, richiama l’obbligo dell’imprenditore alla effettiva e regolare tenuta dei libri contabili della società, per tutta la durata del mandato, cui può provvedere anche per conto proprio, ritenendo, altresì, priva di pregio la deduzione difensiva secondo cui la gestione sociale era affidata ad un professionista esterno all’azienda .
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio opera sia nel caso di inquadrabilità della condotta
nei reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in quelli punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale).
L’imprenditore non va esente da responsabilità per il fatto che la contabilità è stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche. La qualifica rivestita non esime, infatti, dall’obbligo di vigilare e controllare l’attività svolta dal delegato, sussistendo una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 36870 del 30/11/2020, Rv. 280133 -01).
Quanto, poi, all’osservazione che l’imputato confidava nella tenuta della contabilità da parte del consulente aziendale, la motivazione è corretta ed immune da censure laddove rileva che la società è stata costantemente amministrata esclusivamente dal ricorrente, che teneva i contatti con il professionista, che materialmente si occupava della contabilità.
La Corte territoriale ha, inoltre, sottolineato la irrilevanza della cessazione fattuale dell ‘ attività aziendale, a fronte dello specifico obbligo di tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali per tutta la durata di vita della società, obbligo che viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, senza che assumano rilievo le circostanze di fatto relative alla cessazione, temporanea o definitiva, dell’attività aziendale, ovvero l’anteriorità dei crediti rispetto agli esercizi per i quali manca la documentazione contabile, perdurando l’obbligo di tenuta delle scritture contabili anche quando la società è inattiva e posta in liquidazione, e persino nell’ipotesi in cui manchino passività insolute , trattandosi di reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie (ex multis tra quelle massimate, cfr. Sez. 5, n. 4727 del 15/3/2000, COGNOME, Rv. 215985; Sez. 5, n. 35168 del 11/7/2005, COGNOME, Rv. 232572; Sez. 5, n. 15516 del 11/2/2011, COGNOME, Rv. 250086; Sez. 5, sentenza n.20514 del 22/01/2019, Rv. 275261 -01).
La Corte d’appello ha, inoltre, richiamato il principio, affermato da consolidata giurisprudenza di codesta Corte, che delinea la responsabilità dell’amministratore cessato per omessa tenuta della contabilità, anche nel caso di avvicendamento nella gestione societaria, sino al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, obbligo che non viene meno ove, alla data dello spirare del termine per la stampa fiscale dei registri contabili obbligatori, su supporto cartaceo, l’imputato non rivestiva più la carica formale, in quanto trattasi di termine previsto dalla normativa secondaria distinto dall’obbligo di legge di tenuta della contabilità.
La Corte di merito ha, inoltre, messo in luce come l’imputato , non abbia assolto all’onere di dimostrare l’avvenuta consegna delle scritture contabili al nuovo amministratore subentrante, e non abbia, quindi, adempiuto agli obblighi connessi alla qualifica, disattendendo le sollecitazioni del curatore di consegna della documentazione contabile della società fallita, comportamento che ha avuto significative ricadute sulla corretta informazione circa le vicende patrimoniali e contabili degli impresa, con certo pregiudizio per il ceto creditorio (Sez. 5, sentenza 55740 del 25/09/2017).
Quanto al diniego dell’applicazione dell’articolo 131 bis cod. pen., la motivazione è corretta oltre che immune da vizi e censure.
Al riguardo, la Corte territoriale ha escluso la minima offensività al bene giuridico protetto, da individuarsi nella corretta informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa . Al riguardo, la Corte d’appello ha richiamato le concrete modalità della condotta, la reiterata violazione degli obblighi connessi alla qualifica, l’avere disatteso le sollecitazioni del curatore di consegna della documentazione contabile della fallita, e lo specifico contesto in cui la condotta è stata posta in essere nonché le ricadute sulla corretta informazione circa le vicende patrimoniali e contabili dell’impresa , precludendo una conoscenza documentata e giuridicamente utile del patrimonio della fallita, con conseguente pregiudizio per il ceto creditorio.
Quanto al fatto, alla luce del passivo accertato al momento della redazione della relazione ex art. 33 legge fallimentare, pari a 3,5 milioni di euro, per debiti verso RAGIONE_SOCIALE e al grado di colpevolezza, desumibile dalle modalità concrete della condotta e dalla diffusività del danno cagionato, valutati in relazione ai profili di cui all’art.133 cod. pe., la Corte di merito, ne ha, correttamente, escluso la particolare tenuità.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Le censure proposte sono meramente reiterative, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello, che richiamano interamente la sentenza del Tribunale, nonché risultano versate in fatto e generiche, in quanto non si confrontano con le argomentazioni della sentenza impugnata.
Quanto alle condotte distrattive contestate, la Corte territoriale, confrontandosi con il motivo di appello, ha ben descritto l’ampio materiale probatorio che consente di apprezzare le anomalie dei negozi di disposizione, compiuti da ll’ amministratore, ed ha correttamente individuato le distrazioni nella destinazione di parte dei proventi, per la fornitura di servizi energetici integrati erogati per la vendita di certificati bianchi (TEE) attraverso progetti di
efficientamento energetico mai realizzati, mancanti di documenti allegati fondamentali, in costi fittizi, che non hanno trovato adeguata ragione giustificatrice o valido supporto documentale attestante la effettività delle prestazioni, quali il pagamento di:
consulenze tecniche per circa euro 699.620,65 euro (2016) ed euro 1.358.200,23 (2017) (di cui circa euro 190.000,00 trasferiti a NOME COGNOME e per il resto bonificati al ricorrente o a società riconducibili ai principali membri del sodalizio criminale);
provvigioni fittizie per circa euro 331.947,66 (2016) ed euro 181.304,93 (2017) (a una delle cinque imprese edili, apparentemente incaricate di lavori mai documentati ed eseguiti, ovvero a società riconducibili a NOME COGNOME incluse somme destinate alla squadra di calcio Corigliano Calabro, di cui COGNOME era presidente);
servizi vari commerciali pagati per circa euro 37.489,12 (2016) ed euro 198.152,60 (2017) (tra cui euro 50.000 pagati a RAGIONE_SOCIALE, società di Meazza, nonché ad altre società di Nucaro, escluse modeste spese legate al Gestore dei Mercati Energetici (MGE), per i servizi di vendita dei certificati bianchi (TEE);
-pagamenti diretti agli amministratori (euro 40.000,00, fondi erogati direttamente al Meazza, senza delibere assembleari che ne giustificassero i compensi) e i fondi spese di cui non è noto l’utilizzo , ed i pagamenti al Gagliolo (euro 6.400,00);
pagamenti effettuati tramite un conto presso RAGIONE_SOCIALE su cui erano attivi servizi di internet banking, e sul quale avevano poteri di firma, l’imputato , amministratore della società, e il delegato COGNOME distribuiti tra i soci e soggetti terzi.
2.2.1 La nozione di distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene, attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf. Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486), ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, COGNOME, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, COGNOME, Rv. 203006).
Tale ultima definizione rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche residuale, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto (diverso dall’occultamento o dalla dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passività inesistenti), determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, COGNOME, Rv. 179047; conf. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, COGNOME, Rv. 165673), il che rinvia, comunque, alla definizione degli altri fatti di bancarotta delineati dalla norma incriminatrice.
Il motivo non individua specifici vizi logici nello sviluppo della argomentazione del provvedimento impugnato.
La Corte d’appello, confrontandosi con il motivo di ricorso, ha correttamente sottolineato, riguardo ai fatti di bancarotta previsti dalla prima parte del n.1 dell’art.216 L. Fall., costituiti in genere da atti di disposizione di beni propri di per sé non delittuosi, che una volta intervenuto il fallimento, essi assumono carattere di illeciti penali, in qualunque tempo commessi, e quindi anche in epoca non prossima al fallimento, a prescindere da collegamenti etiologici e psicologici tra tali fatti di bancarotta e il fallimento stesso, per la operatività, con effetto ex tunc, della presunzione di volontaria distrazione in pregiudizio dei creditori.
In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato ed unanimemente seguito, come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, sia desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204). L’imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell’amministratore si giustifica a tutela del ceto creditorio perché è l’amministratore responsabile della gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso può chiarire, proprio in quanto artefice della gestione, quale destinazione effettiva abbiano avuto i beni sociali.
La sentenza impugnata, nel richiamare il principio generale dell’onere della prova, gravante sul fallito, in ordine alla dimostrazione della destinazione dei beni, a fronte del loro mancato rinvenimento, secondo un ragionamento logico ed esente da vizi, ha, di conseguenza, ritenuto inconferente la critica difensiva secondo cui non vi sarebbe distrazione, poiché la destinazione dei denari della fallita è risultata conseguenza di una attività lecita ed effettivamente prestata, in relazione alla quale sarebbero state corrisposte provvigioni per attività consulenziali e per servizi commerciali, considerato che di tali attività e servizi non è stato fornito un principio di prova né indicazioni comunque indagabili dalla curatela. Unica prova fornita
riguarda l ‘ esistenza di prestazioni professionali con il coimputato NOME COGNOME che la Corte d’appello ha corre ttamente ritenuto, con argomentazione logica ed immune da censure, ininfluente al fine di escludere la responsabilità del ricorrente per una multiforme ed unitaria condotta distrattiva ascritta nella qualità di amministratore unico della società.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato la ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. Un., 16 dicembre 1999, n. 24, S., Rv. 214794; Sez. 3, 11 gennaio 1999, n. 215, F., Rv. 212091).
Pertanto, non è denunciabile il vizio di travisamento del fatto, ove lo stesso non risulti dal testo del provvedimento, giacché è inibito alla Corte di legittimità di saggiare la tenuta logica della pronuncia mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati da atti esterni alla pronuncia (cfr. Cass., Sez. Un., 23 giugno 2000, n. 12, J., rv. 216260, che ha definitivamente escluso un sindacato precluso dalla chiara lettera dell’art. 606 c.p.p.).
2.2.2 Quanto ai prelievi per compenso per l’attività di amministratore svolta dal ricorrente, la Corte di appello, con motivazione corretta ed immune da vizi e censure, ha specificato le ragioni per le quali i prelevamenti, di somme di denaro, a titolo di compenso, non poteva essere ritenuto legittimo, in quanto non supportato da alcuna delibera assembleare, che fondasse il relativo diritto, nonché compiuti in assenza di adeguata giustificazione alla base dei pagamenti effettuati dall’imputato, senza che siano risultati effettivi rapporti professionali o commerciali con i destinatari aziendali e senza che sia stata accertata alcuna ragione giustificatrice del distacco dei beni che avrebbero dovuto concorrere, invece, alla forma zione dell’attivo fallimentare.
E’ certamente noto a questa Corte che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, come ritenuto dalle sentenze di merito in doppia conforme, sia integrato dalla condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, in quanto la previsione di cui all’art. 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali sia determinata con delibera assembleare perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (Sez. 5, n.3191
del 16.01.2020; Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, COGNOME, Rv. 273767 -01; Sez. 5, Sentenza n.17792 del 23/02/2017, Rv. 269639; Sez. 5, Sentenza n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5 n. 11405 del 12/06/2014, COGNOME e altro, Rv. 263056 -01; Sez. 5 n. 50836 del 3/11/2016, COGNOME, Rv. 268433 -01; Sez. 5, Sentenza n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399).
L ‘esame delle contestazioni mosse con l’imputazione consente di rilevare come non possa esservi fraintendimento sia in merito alla individuazione dei prelievi, che si contestano a titolo distrattivo, che delle ragioni della illegittimità di tale prelievo, in quanto indebito prelevamento di somme di denaro, a titolo di compenso , per l’attività di amministratore svolta quando la società versava in difficoltà.
La Corte d’appello ha , inoltre, rilevato l’ assenza di un’adeguata giustificazione dei pagamenti effettuati dall’imputato, senza che siano risultati effettivi rapporti professionali o commerciali con i destinatari dei denari aziendali e senza che, sia stata accertata una ragione giustificatrice del distacco di beni che avrebbero dovuto concorrere alla formazione dell’attivo fallimentare .
2.2.3 Quanto all’elemento psicologico della fattispecie, ovvero il dolo generico, la Corte di merito, con argomentazione logica ed immune da censure, ne ha ritenuto la sussistenza in quanto l’imputato, e ffettuando prelievi di denaro da destinare a terze persone, a sé stesso e ad altra società a lui riconducibile, in mancanza di accertata giustificazione economico aziendale, ha agito con consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
La Corte territoriale ha, inoltre, evidenziato che la società fallita ha tenuto un comportamento fraudolento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE che ha poi revocato i certificati bianchi rilasciati nel 2016, divenendo destinataria di obbligazioni restitutorie verso quest’ultima per la somma di circa euro 3,5 milioni, in relazione alla quale si è insinuata al passivo.
2.3 Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Quanto alla richiesta di applicazione di pene sostitutive, ai sensi dell’art.20 bis cod. pen., la Corte d’appello ha omesso di motivare.
Si osserva, al riguardo, che l’istanza, ritualmente formulata con i motivi di gravame, può essere, al più tardi, proposta nel corso dell’udienza di discussione dell’appello e non necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 12991 dei 01/03/2024, Generali, Rv. 286017; Sez. 4, n. 4934 dei 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751; Sez. 2, n. 1995 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285729; Sez. 6, n. 3992 del 21/11/2023, dep. 2024, Z., Rv. 285902).
Quanto alla questione controversa, se sia possibile avanzare detta richiesta per la prima volta con l’atto d’appello, quando, cioè, essa non sia stata formulata, neppure in sede di conclusioni, al giudice di primo grado, e dunque se l’imputato dolersi, sostanzialmente, della mancata determinazione officiosa in tal senso da parte di quel giudice, la giurisprudenza di questa Corte ha dato soluzione affermativa (con riferimento alla sanzione sostitutiva pecuniaria ex art. 53, legge n. 689 del 1981, Sez. 1, 1T 15293 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281064). A differenza, infatti, di quanto accade per il ricorso per cassazione, per i quale l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., prevede il divieto di proporre doglianze non avanzate con i motivi d’appello, non vi è alcuna disposizione, nel codice di rito, che vincoli l’appellante a circoscrivere i motivi del gravame ai soli capi e punti oggetto delle richieste conclusive da lui rassegnate al giudice di primo grado o, comunque, alle questioni già sottoposte a tale giudice.
Sull’obbligo del giudice dell’impugnazione di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, una volta che l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante, si sono espresse le Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216238.
Limitatamente, dunque, all’applicazione o meno delle pene sostitutive, la sentenza impugnata dev’essere annullata, con rinvio al giudice di merito perché provveda sul punto, implicando tale decisione valutazioni di fatto, non consentite a questa Corte.
La sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio, limitatamente alla concessione delle sanzioni sostitutive della pena, dinanzi ad altra Sezione alla Corte di appello di Milano. Nel resto, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla concessione delle sanzioni sostitutive della pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 16/06/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME