Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25674 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25674 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a Roma il 29/05/1963 avverso la sentenza del 10/12/2024 della Corte d’appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/3/2024, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha condannato COGNOME Rita alla pena di due anni e otto mesi di reclusione, previa riduzione per il rito abbreviato, irrogando anche le sanzioni accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni tre: ciò per aver cagionato il fallimento, in data 8/4/2021, della RAGIONE_SOCIALE per effetto di operazioni dolose (avendo omesso il deposito dei bilanci di esercizio dal 2010 e omesso sistematicamente di pagare gli oneri fiscali e previdenziali, con conseguente maturazione, fino al 2015, di ingenti debiti, superiori ad un milione
di euro, cagionanti il dissesto) e per aver distrutto o sottratto le scritture contabili, impedendo di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari, allo scopo di procurare a se o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale e di pregiudicare i creditori.
La sentenza, su gravame dell’imputata, è stata confermata dalla Corte di appello di Roma.
L’imputata ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Col primo lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento dei fatti di causa in relazione alla ritenuta sua responsabilità con riferimento al primo capo di imputazione (fallimento per effetto di operazioni dolose).
La Corte territoriale avrebbe glissato sugli argomenti prospettati in appello, non considerando che, pur avendo l’imputata svolto funzioni gestorie dalla costituzione della società, nel 2009, al suo fallimento, nel 2021 , l’ omesso versamento di oneri fiscali e previdenziali ineriva un periodo molto più breve, solo fino all’esercizio 2015. Dunque, erroneo era il riferimento, nella sentenza d’appello, all’incremento del debito negli anni dal 2009 al 2019, poiché gli avvisi di accertamento riguardavano solo gli anni 2011-2014: sicché gli importi citati dalla Corte territoriale non sembravano rinvenibili negli atti.
Lamenta, ancora, che il passivo di euro 917.000,00, incontestato, sarebbe stato erroneamente tratto da un documento depositato in un’ udienza (del 13/3/2023) mai tenutasi e dai prospetti analitici allegati allo stato passivo.
La consapevolezza, in capo all’imputata, delle conseguenze del mancato pagamento dei debiti erariali sarebbe stata desunta, in modo scorretto e con ragionamento ex post , dal suo ruolo di amministratrice e socia al 50% della fallita.
Inesplicato e non pertinente, infine, sarebbe il richiamo di Cass. 16111/2024.
2.2. Col secondo motivo, parte ricorrente lamenta la carenza assoluta della motivazione in ordine alla contestata bancarotta fraudolenta documentale.
Si critica l’aver ritenuto dimostrata la sottrazione o distruzione di scritture e, dunque, la loro esistenza, dalla sussistenza di un bilancio relativo all’esercizio 2010: laddove, come dedotto nella stessa sentenza di fallimento , l’omessa redazione dei bilanci successivi al 2010 doveva ritenersi sintomo di inattività, il che contraddirebbe l’idea che le scritture fossero state esistenti e fossero, poi, state sottratte o distrutte.
La Corte territoriale non avrebbe considerato il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza in data 29/11/2017, secondo cui la società aveva omesso di istituire le scritture contabili.
2.3. Col terzo motivo ci si duole della carenza assoluta di motivazione in ordine alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla eccessività della sanzione, senza la considerazione della sostanziale incensuratezza dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, una volta pacifico che il debito erariale coincida con quello rilevato dai giudici di merito, non si comprende l’eventuale errore sulla fonte di tale veritiero dato quale conseguenza avrebbe.
Parte ricorrente, che sostanzialmente assume che il periodo di inadempienze sarebbe più breve di quello ritenuto dalla Corte d’appello -e, dunque, potenzialmente un travisamento della prova -non si confronta, da un lato, con l’articolata motivazione sul punto redatta, dall’altro lato, con la giurisprudenza di legittimità in materia.
L a sentenza d’appello, invero, evidenzia l’andamento ‘ingrave scente ed esponenziale’ del debito erariale, essendo stato accertato che il passivo in questione (al momento del fallimento di euro 917.000,00 per crediti privilegiati) era così asceso negli anni pregressi: 1.102,00 euro nel 2011; 16.082,00 euro nel 2012; 32.783,00 euro nel 2013; 103.000,00 euro nel 2014; 75.000,00 euro nel 2015; 118.799,00 euro nel 2016; 83.479,00 nel 2017).
Orbene, parte ricorrente sostiene che tali dati sarebbero oggetto di travisamento, ma, come anticipato, non considera quali requisiti dovesse avere il ricorso per proporre siffatta censura.
Invero, è noto che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in
modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Pg, Rv. 274816-07; confronta, negli stessi termini: Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
Nella specie, parte ricorrente non indica da quali dati si dovrebbe desumere il dedotto travisamento: sicché l’eccezione risulta, come formulata, inammissibile.
Per il resto, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dell’altrettanto pacifico principio secondo cui il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive e fiscali -e nella specie si parla comunque di numerose annualità, come detto -può costituire operazione dolosa ai fini della norma in esame, laddove frutto di una consapevole scelta gestionale, in quanto aumenta ingiustificatamente l’esposizione debitoria nei confronti degli enti previdenziali e dell’erario, rendendo prevedibile il conseguente dissesto della società (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME Rv. 273337-01; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270046-01; Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 261684-01).
Correttamente, allora, i giudici di merito hanno rimarcato che la dolosa e sistematica omissione del pagamento delle imposte e dei debiti previdenziali, da parte della ricorrente, e la consapevolezza di porre in essere un’operazione che determinasse l’astratta prevedibilità del dissesto fossero idonei ad integrare gli elementi oggettivo e soggettivo del delitto in discussione.
Manifestamente infondato e generico è pure il secondo motivo di ricorso.
In estrema sintesi, si sostiene che le scritture non sarebbero state, in radice, istituite e che il contrario non avrebbe potuto desumersi dal bilancio 2010.
Tuttavia, e nuovamente, la difesa non si confronta appieno con le sentenze di merito, specie laddove evidenziano che l’assenza di contabilità fosse funzionale all’intento di continuare -nonostante i debiti man mano accumulati -ad esercitare l’impresa arrecando danno ai creditori, in particolare allo Stato e, dunque, ad una massimizzazione del profitto illecito, divenuto ingente (così, in particolare, alle pagine 3-4 della sentenza di primo grado).
Sicché la censura si rivela non decisiva nel momento in cui -ferma restando la detta finalità, realmente conseguita e, a ben vedere, mai contestata da parte ricorrente -assume che le scritture, anziché esistenti e non consegnate, fossero state radicalmente e ab origine inesistenti per mera trascuratezza: ragionamento la cui inconsistenza è stata rimarcata sin dalla sentenza di primo grado, come detto, specie laddove se ne evidenzia la sua paradossalità, volendosi dimostrare
la buona fede dell’imputata dalla sua reiterata sottrazione a tutti gli obblighi su di lei gravanti e nonostante, come detto, l’ingente debito tributario man mano cumulato proprio grazie al suo mancato emergere dalle scritture contabili.
Quanto, infine, alle doglianze sul diniego delle circostanze attenuanti generiche e sull’eccessività della pena, correttamente i giudici di merito hanno rilevato l’assenza di elementi idonei a giustificare il riconoscimento di dette attenuanti , da un lato, e l’essere la pena base stata individuata con riferimento al minimo edittale , dall’altro .
Al riguardo, è noto che s fugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica o arbitraria, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 27126901; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01) e, in generale, sulla determinazione della pena, specie se inferiore alla media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Rv. 259142-01; per analogo principio sugli aumenti in continuazione, Sez. 4, n. 48546 del 10/07/2018, Rv. 274361-01): essendo sufficiente che il giudice del merito indichi come semplicemente ‘adeguata’ al caso la decisione presa.
In particolare, poi, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è congruamente motivato con l’assenza di elementi di segno positivo (tanto che non rileva più, ex art. 62bis , comma 3, cod. pen., l’incensuratezza dell’imputato: Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986-01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01) .
Come detto, la sentenza di primo grado ritiene che l’imputata non sia meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto non ancorabili a nessun profilo della sua condotta, neppure processuale, e la Corte d’appello ha confermato la decisione e rileva, anzi, che, nonostante la gravità e reiterazione delle condotte, la pena base fosse stata computata nel minimo edittale, con un contenuto aumento per l’aggravante.
Si tratta di valutazioni prive di vizi motivazionali, sicché l’impugnazione mira a un rinnovato giudizio di adeguatezza, precluso in sede di legittimità.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attività
processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 04/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME
NOME COGNOME