Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24696 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
QUINTA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24696 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 10/06/2025
R.G.N. 13227/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CUTUGNO NOME nato a CATANIA il 21/08/1943 avverso la sentenza del 05/02/2024 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata quanto all’attenuante dell’art. 219 l. fall. e dichiararsi inammissibile il ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Messina, con la sentenza emessa il 5 febbraio 2024, confermava quella del Tribunale peloritano, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME quale concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di tipo societario in relazione alla RAGIONE_SOCIALE di Zullo RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, quale socia accomandataria COGNOME NOME, deceduta, e coniuge dell’attuale ricorrente, cedeva in data 30 aprile 2018 a NOME COGNOME quale legale rappresentante della impresa RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, beni aziendali senza alcun versamento di corrispettivo, subentrando di fatto l’impresa cessionaria nei locali e nella attività della fallita.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
COGNOMEIl primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova.
Lamenta il ricorrente che la prova della cessione era stata acquisita sulla base della sola annotazione di una fattura nel registro Iva e non anche con il rinvenimento della fattura medesima. Inoltre, i beni oggetto di distrazione non risultavano in sØ parte del patrimonio della fallita, il che escluderebbe la sussistenza del reato, in quanto i beni risultavano ceduti alle varie imprese familiari che nel tempo si erano succedute nella sede aziendale.
Non di cessione si sarebbe trattato, quindi, bensì di concessione in uso, a fronte di beni
che per un verso erano inamovibili e per altro risultavano privi di valore. Inoltre, la cessione degli arredi risultava determinare un credito in favore della fallita, quindi un vantaggio per la stessa, nei confronti della impresa cessionaria, per 10mila euro, non adempiuto nØ azionato dal curatore, pur a fronte di un valore inesistente dei beni ceduti
Quanto alla non appartenenza dei beni alla fallita, il ricorrente invoca la circostanza che il pignoramento nel 2017 non riguardò i beni in esame, pignoramento al quale facevano riferimento le consulenze di parte e il curatore, atti travisati dalla Corte di appello.
4. Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 219 l. fall.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia negato l’attenuante della levità del danno in ragione della irrisorietà, ritenuta non dimostrata, del valore dei beni distratti.
Il ricorrente evidenzia come la valutazione a farsi debba riguardare l’effetto della distrazione rispetto alla massa attiva disponibile in sede di riparto, parametro non correttamente declinato dalla Corte di appello.
Il ricorso Ł stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł parzialmente fondato, nei termini che seguono.
2. Il primo motivo Ł complessivamente infondato.
Quanto alla appartenenza dei beni aziendali ceduti alla fallita società la Corte di appello, con motivazione non manifestamente illogica, la ritiene comprovata sia sulla scorta della annotazione nel registro Iva dell’atto di vendita, sia anche sulla scorta delle dichiarazioni rese in corso di procedura concorsuale da COGNOME e da COGNOME, che mai avevano negato si vertesse in tema di beni di proprietà della società.
Inoltre, la sentenza impugnata chiarisce non solo che non sia stata in alcun modo comprovata la successione nel tempo di imprese familiari nella sede aziendale, ma anche che, se pur provata, tale circostanza sarebbe stata irrilevante.
Non Ł manifestamente illogica la sentenza nella parte in cui ritiene così comprovata la proprietà dei beni distratti, rappresentando come le emergenze probatorie fossero sostanzialmente convergenti e non smentite, se non solo in un secondo tempo, dalla tesi difensiva solo asserita perchØ priva di qualsiasi prova a riguardo.
Per altro, a fronte di tale argomentazione il motivo in esame oscilla fra la tesi che i beni aziendali non siano stati mai parte del patrimonio della fallita e che l’operazione fosse funzionale a documentare l’esistenza di un credito simulato in favore della fallita GLYPH- il che potrebbe integrare altra condotta di reato – e quella per cui la cessione degli stessi sia stata effettiva e abbia determinato un credito in favore della società per diecimila euro – il che presuppone per l’appunto la proprietà degli stessi da parte della fallita – nonchØ, terza ipotesi, che il valore dei beni fosse insignificante.
Il motivo Ł, oltre che perplesso e dunque aspecifico, anche reiterativo di quanto già oggetto di doglianza in appello, che ha trovato adeguata risposta nella sentenza impugnata. Inoltre, il motivo in esame non si confronta con la ritenuta funzionalizzazione della cessione dei beni alla spoliazione della fallita, motivata con riferimento alla circostanza che la società
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME fu sciolta due giorni dopo la vendita dei beni aziendali e cancellata sei giorni dopo, sulla base di false dichiarazioni di inesistenza di crediti e debiti.
Inoltre, il ricorso non si confronta con la natura fraudolenta dell’operazione di cessione, tratta oltre che dalla descritta cronologia, anche dal legame coniugale fra cedente e cessionario, come anche dalla circostanza che il credito di 10mila euro non fu azionato dalla fallita, in quanto la stessa fu cancellata subito, e anche il curatore decise di non agire per il recupero perchØ anche la debitrice-cessionaria, facente capo all’attuale imputato, era stata nel frattempo cancellata.
Anche la doglianza di travisamento risulta generica, in quanto richiama gli atti allegati al ricorso, senza però chiarire quale sia la parte oggetto di travisamento.
COGNOMEIl ricorso per cassazione con il quale, infatti, si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchŁ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 17/01/2019, COGNOME, Rv. 274816 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 – dep. 22/12/2010, COGNOME, Rv. 249035)
Certamente il ricorso Ł deficitario quanto al punto b) citato, ma anche quanto al punto d), in quanto la prova del subingresso nell’uso dei beni da parte della fallita e, poi, della impresa cessionaria non esclude che tale subingresso sia stato accompagnato da atti formali di vendita, come dimostra l’annotazione della ulteriore vendita alla impresa dell’imputato, che presupponeva la proprietà in capo alla cedente.
Il che comprova, secondo la Corte territoriale, e ciò senza alcuna manifesta illogicità, l’appartenenza dei beni distratti al patrimonio della fallita.
Il motivo Ł quindi complessivamente infondato.
3. Quanto al secondo motivo, lo stesso Ł invece fondato.
Sul punto va condiviso il principio per cui, ai fini dell’applicazione delle circostanze di cui all’art. 219, comma primo e terzo, l. fall., la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta. Ne consegue che il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non va riferito al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, nØ a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione, (non percentuale, ma globale), che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, COGNOME Rv. 277658 – 01; Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, COGNOME, Rv. 217403 – 01).
Tale valutazione Ł del tutto insussistente nel caso in esame, non avendo la Corte territoriale correlato il valore dei beni distratti alla massa attiva disponibile per il riparto,
operazione non svolta neanche dal Tribunale.
Pertanto, spetterà alla Corte territoriale, in sede di rinvio, applicare i principi da ultimo richiamati e valutare la sussistenza della invocata attenuante.
Ne consegue l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale, limitatamente alla invocata circostanza attenuante, mentre nel resto il ricorso Ł complessivamente infondato e va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al denegato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 219, ultimo comma, legge fallimentare, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 10/06/2025