Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3436 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3436 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SANTA MARGHERITA LIGURE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi per l’imputato l’AVV_NOTAIO, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova ha confermato la condanna di COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale aggravati e di bancarotta patrimoniale semplice, commessi nella sua qualità di amministratore e successivamente di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, fallita nel settembre del 2015.
Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo eccepisce la nullità della sentenza impugnata in conseguenza di quella dell’udienza del 25 gennaio 2023, fissata per il rinvio di quella precedente per legittimo impedimento del COGNOME, tenutasi in assenza di quest’ultimo ed in difetto della notifica al medesimo del rinvio.
2.2 Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale e processuale in merito alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta semplice. In proposito il ricorrente lamenta che non vi sarebbe prova alcuna del contestato aggravamento del dissesto successivamente alla chiusura dell’esercizio del 2013, posto che quanto riferito dal curatore circa l’effettivo ammontare del passivo dimostrerebbe esclusivamente la complessiva entità dell’esposizione debitoria della fallita, ma non già che l’eccedenza rispetto a quella accertata nel corso della verifica fiscale conclusasi nel 2015 sia intervenuta negli esercizi successivi, con conseguente rinnproverabilità all’imputato di non aver provveduto tempestivamente a richiedere il fallimento della società.
2.3 Analoghi vizi vengono denunziati con il terzo motivo in merito all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Con riguardo alle somme versate al COGNOME dalla fallita in maniera illogica la Corte territoriale avrebbe escluso trattarsi della restituzione delle anticipazioni effettuate d medesimo per far fronte al pagamento dei fornitori della società quando la stessa non aveva liquidità sufficiente per farvi autonomamente fronte, come ampiamente dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle fatture passive e degli assegni tratti sul conto dell’imputato oggettivamente comprovanti tale prassi. Quanto invece ai prelievi effettuati mediante la carta di credito ed il bancomat intestati alla RAGIONE_SOCIALE. giudici del merito avrebbero ignorato la documentazione relativa all’attività svolta dall’imputato e dal personale dipendente nei cantieri in cui la società era impegnata, nonché le dichiarazioni del teste COGNOME, idonee a dimostrare come i suddetti prelievi erano funzionali a remunerare i costi delle trasferte necessarie per l’esecuzione della suddetta attività e dunque devono considerarsi coerenti con gli scopi sociali.
2.4 Ancora violazione della legge penale e processuale vengono dedotti con il quarto motivo in merito alla sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale. In proposito la Corte territoriale avrebbe immotivatamente omesso di considerare quanto riferito dal teste COGNOME in merito all’accertamento della regolare tenuta della contabilità in occasione della verifica fiscale eseguita pochi mesi prima del fallimento della società. Quanto alla contabilità relativa agli esercizi del 2014 e del 2015 è la stessa sentenza ad ammettere come il computer che la conteneva sia stato consegnato dall’imputato e come sia stato impossibile accedere al suo contenuto per un imprevedibile malfunzionamento del dispositivo non imputabile al COGNOME, difettando dunque la prova dell’effettiva irregolare tenuta dei libri contabili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Pregiudiziale è l’esame dell’eccezione processuale dedotta con il primo motivo, che è peraltro inammissibile in quanto intempestiva. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di rinvio dell’udien integra una nullità a regime intermedio, che deve essere dedotta o rilevata entro i termini di cui agli artt. 180 e 182 comma 2 c.p.p. (ex multis Sez. 6, n. 25500 del 28/04/2017, B., Rv. 270032; Sez. 3, n. 5736 del 24/01/2023, W., Rv. 284456). Era dunque onere della difesa eccepire l’omessa notifica al più tardi all’udienza di rinvio del 25 gennaio 2023, tenutasi con trattazione orale e in presenza dei difensori dell’imputato che nulla hanno invece eccepito, posto che il disposto dell’art. 182 comma 2 c.p.p. deroga in tal senso a quello del comma 4 dell’art. 181 dello stesso codice, evocato nel ricorso a sostegno della tempestività dell’eccezione. La previsione del citato secondo comma dell’art. 182, infatti, secondo cui, quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, non richiede che la nullità si manifesti alla presenza dell’imputato, essendo sufficiente la presenza del difensore, anche d’ufficio, in quanto unico soggetto legittimato a dedurre il vizio (Sez. 6, n. 26222 del 04/05/2023, Farano, Rv. 284916).
Venendo agli altri motivi di ricorso, va anzitutto evidenziato che gli stessi sono accomunati dalla reiterata deduzione anche del vizio di violazione di legge processuale per l’erroneo governo della regola di giudizio di cui all’art. 533 c.p.p. Rilievo che deve ritenersi inammissibile non essendo l’inosservanza della suddetta disposizione prevista
a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale (ex multis Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567). Parimenti inammissibile per le medesime ragioni è la denunzia della violazione dell’art. 605 c.p.p., peraltro dedotta in maniera perplessa e alternativa dal ricorrente.
2.1 In realtà tutte le censure svolte nei motivi dal secondo al quarto prospettano veri e propri vizi di motivazione della sentenza impugnata, vizi che però il ricorso non denunzia ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p., come avrebbe dovuto, bensì sotto il profilo dell’inosservanza od erronea applicazione della legge penale, ossia ai sensi dell’art. 606 lett. b) c.p.p. Va allora ricordato che tale ultimo vizio riguarda l’erronea interpretazio della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta), e va tenuto distinto dalla deduzione di un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunc:iabile, invece e per l’appunto, esclusivamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione. (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268404). I suddetti motivi sono dunque inammissibili anzitutto per l’erronea selezione del vizio deducibile in riferimento alle censure proposte.
2.2 Non di meno queste ultime sono comunque inammissibili, costituendo la mera riedizione di quelle sottoposte al giudice dell’appello con il gravame di merito e da quest’ultimo respinte con ampia e logica motivazione con la quale il ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, limitandosi a riproporre i medesimi argomenti confutati dalla Corte territoriale.
2.3 Quanto al secondo motivo correttamente la Corte territoriale ha comunque ritenuto sussistente il reato di bancarotta semplice in ragione di quanto riferito dal curatore in merito al consolidamento finale dello stato passivo, desumendone l’effettivo aggravamento del dissesto nel corso degli esercizi del 2014 e del 2015 e la conseguente colpa dell’imputato nell’aver omesso di prevenirlo chiedendo tempestivamente il fallimento. Né inficia la tenuta del ragionamento della Corte il fatto che nel corso della verifica fiscale conclusasi nel 2015 fosse stato accertato che negli esercizi del 2012 e del 2013Ia società aveva prodotto reddito. Ciò che il ricorrente non considera, al contrario della sentenza impugnata, è che la citata verifica ha riguardato esclusivamente gli esercizi fino al 2013, fotografando la situazione debitoria della fallita fino a quella data. Come logicamente osservato dalla sentenza, dunque, l’ulteriore
passivo accertato non può che essersi formato negli esercizi successivi, costituendo un oggettivo aggravamento di un dissesto peraltro già conclamatosi ala fine del 2013, con conseguente rimproverabilità all’imputato della mancata instaurazione della concorsualità.
2.4 Con riguardo alle doglianze svolte con il terzo motivo, le stesse si rivelano fondate su di un presupposto che ha costituito, invece, oggetto di specifica confutazione da parte della Corte, ossia che sussista una effettiva corrispondenza tra le presunte anticipazioni effettuate dal COGNOME e le somme asseritamente restituite dalla fallita e che effettivamente si fosse instaurata la prassi evocata dalla difesa. Argomento che il ricorrente non si è curato di confutare a sua volta, rivelando l’immanente genericità del motivo. Analoghe considerazioni valgono per le spese effettuate con le carte di credito e di debito intestate alla fallita, posto che anche in proposito la sentenza ha evidenziato, richiamando in tal senso quanto riferito dal curatore, come non sia stato rinvenuto alcun riscontro oggettivo in grado di dimostrare che si tratti di uscite servite allo scopo evocato dal ricorrente, che ancora una volta ha omesso di confrontarsi con l’effettivo contenuto della motivazione del provvedimento impugnato.
2.5 Infine, per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Corte ha sì constatato che il dispositivo fornito dall’imputato – peraltro non tempestivamente e dopo aver riferito al curatore che lo stesso si trovava presso la sede della società, circostanza risultata non vera – ha registrato un malfunzionamento, ma anche evidenziato come sia stato comunque estrarne i contenuti, risultati assolutamente insufficienti a garantire la ricostruzione del volume d’affari della fallita negli esercizi del 2014 e del 2015. E pe l’ennesima volta il ricorso con tale apparato giustificativo non si è confrontato, limitandosi ad evocare le risultanze della più volte menzionata verifica fiscale, che, come già detto, ha riguardato lo stato della contabilità solo fino al 2013.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. l condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25/10/2023