Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13604 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13604 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARDINALE NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/03/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con la !:;entenza emessa il 14 marzo 2019, riformava – limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, che riduceva – la sentenza del Tribunale di Rimini, confermando nel resto la condanna di NOME COGNOME per i delitti di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, con grave colpa per non aver osservato gli obblighi ex artt. 2446 e 2447 cod. civ. (capo A), bancarotta fraudolenta per distrazione (capo B) e documentale in forma specifica (capo C), in relazione alla RAGIONE_SOCIALE, della quale NOME COGNOME era stato amministratore fino al 7 aprile 2010, data dalla quale subentrava COGNOME mantenendo la carica fino alla dichiarazione di fallimento, intervenuta con sentenza del 21 ottobre 2011.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall. in relazione all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nonché vizio di motivazione.
La sentenza impugnata sarebbe per un verso caratterizzata da contraddittorietà, in quanto COGNOME avrebbe impedito, consegnando solo frammentaria documentazione, la ricostruzione degli affari, essendo però, secondo la stessa Corte territoriale, la società già decotta, quindi non avendo rilievo l’omessa consegna dei libri contabili ai fini di impedire la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio, a quel punto insussistenti.
Inoltre, non sarebbe stata offerta la prova della consapevolezza dell’amministratore COGNOME, che invece non conosceva lo stato delle scritture contabili, essendo subentrato da poco rispetto al momento del fallimento.
Infine, le sentenze di merito avrebbero illogicamente addebitato a COGNOME l’omessa consegna delle scritture, a fronte della consegna della pen drive che le conteneva, che mai era stata ‘letta’ in difetto di una licenza per l’accesso, consegna avvenuta nelle mani del primo curatore, che era stato condanNOME per tentata estorsione, avendo cercato di lucrare in cambio di una relazione fallimentare favorevole al COGNOME.
Tanto più che COGNOME, quale testa di legno, a fronte di una società condotta al fallimento dall’amministratore di fatto COGNOME, non dovrebbe rispondere per la sola posizione di garanzia quanto alla condotta di bancarotta fraudolenta documentale.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 216, comma 1, n. 1, legge fall. e vizio di motivazione.
Quanto alla bancarotta per distrazione, la sentenza impugnata risulterebbe viziata in quanto l’accettazione del ruolo di amministratore apparente non determinerebbe ex se la consapevolezza quanto ai disegni distrattivi dell’amministratore di fatto.
Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 217, comma :L, n. 4 legge fall. e vizio di motivazione, nonché estinzione del reato per prescrizione.
Lamenta il ricorrente di non poter essere responsabile del ritenuto delitto di bancarotta semplice, avendo dato inizio alla procedura fallimentare tenendo una
condotta collaborativa, essendo stato in carica soli sei mesi, difettando l’elemento soggettivo della condotta.
Inoltre, il delitto sarebbe estinto per prescrizione, tenendo in conto che la recidiva in origine contestata era stata esclusa dalla sentenza di primo grado.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte GLYPH ai sensi dell’art. 23 comma 8, dl. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in quanto in merito alla bancarotta documentale il primo motivo reitera le doglianze formulate in appello, tanto più che la pen drive non è mai stata rinvenuta, a riprova della condotta e del dolo di soppressione delle scritture; il secondo motivo sarebbe versato in fatto; il terzo non si confronta con la sentenza impugnata e il delitto non era estinto all’atto della sentenza di secondo grado,
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 2 comma 8, di. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articol 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è in parte inammissibile, per altra parte fondato.
Va premesso che il primo e il secondo motivo richiamano, a più riprese, la circostanza che COGNOME debba ritenersi amministratore di diritto, ma una testa di legno, essendo invece COGNOME, il precedente amministratore, colui che in fatto ha continuato a gestire la società fino al fallimento.
A ben vedere tale ricostruzione risulta del tutto estranea alle sentenze di merito, che mai hanno ritenuto COGNOME una testa di legno, cosicché lo stesso è da intendersi amministratore di diritto a tutti gli effetti a partire dal 8 aprile 20 e fino alla dichiarazione di fallimento intervenuta il 21 ottobre 2011.
Tale premessa accertata dalle sentenze di merito in doppia conforme, in assenza di deduzioni di travisamento della prova, conduce alla genericità delle relative doglianze, fondate sulla ricostruzione in fatto dedotta dal ricorrente del tutto non rispondente a quanto accertato dai Collegi del merito,
Venendo al primo motivo di ricorso, va evidenziato come sia onere degli amministratori di diritto tenere o comunque istituire nuovamente, in caso di sottrazione o dispersione precedente o comunque di mancata consegna, le scritture contabili fino alla cessazione non solo sostanziale ma formale, dunque fino alla cancellazione della impresa dal relativo registro (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, COGNOME, Rv. 275261 – 01; conf. n. 15516 del 2011 Rv. 250086 01, n. 35168 del 2005 Rv. 232572 – 01, n. 20911 del 2011 Rv. 250407 – 01, n. 4727 del 2000 Rv. 215985 – 01).
A tal proposito, dunque, assolutamente infondate sono le doglianze che rappresentano come COGNOME abbia amministrato una società ormai decotta, dal che deriverebbe il venire meno del dovere di aggiornamento delle scritture contabili: infatti se esistenti le scritture andavano correttamente tenute, se inesistenti andavano istituite, anche se la fallita avesse cessato le attività.
Sul punto, quindi, corretto è l’argomentare della Corte territoriale. Come anche versata in fatto e generica è la doglianza che lamenta l’omessa considerazione della consegna della pen drive al primo curatore, poi sostituito. A ben vedere sul punto la Corte di appello chiarisce come non sia comprovato che la pen drive contenesse le scritture contabili, tanto che neanche vengono indicate quali fossero quelle ivi conservate.
Anche la motivazione relativa alla circostanza che la pen drive fu consegnata al primo curatore, poi condanNOME per tentata estorsione, non è manifestamente illogica, in quanto supportata dalla sentenza di primo grado che rilevava come il secondo curatore avesse verificato la corrispondenza – quanto ai beni distratti e alle scritture non rinvenute – con quanto accertato dal suo predecessore, il che consentiva alla Corte di appello di escludere che la pen drive fosse stata consegnata e sparita, come deduce il ricorrente, all’insaputa e contro la propria volontà.
Quanto al motivo relativo al dolo del delitto di bancarotta documentale, va evidenziato come si verta in tema di motivo inedito in quanto non formulato con l’atto di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.
La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene «sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione cori riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo è, infatti possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugNOME in relazione ad un punto
della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , COGNOME, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368).
Il primo motivo è dunque, manifestamente infondato, generico e non consentito, per le ragioni esposte.
Quanto al secondo motivo, lo stesso è assolutamente aspecifico, in quanto fondato sulla premessa in fatto illustrata al punto 2. che precede, non correlata alla sentenza impugnata, oltre che manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello fa buon governo del consolidato principio che trae la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv, 231411).
Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non può ignorarne l’affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 – 01). Ma nel caso in esame non risulta alcuna informazione fornita alla curatela da parte di COGNOME.
Ne consegue la manifesta infondatezza oltre che la genericità del motivo.
Quanto al terzo motivo, inerente alla bancarotta semplice, è connotato da assoluta genericità, in quanto non si confronta in nulla con la sentenza impugnata, poichè, come osserva la Procura generale, si limita a reiterare doglianze già formulate in appello.
Non di meno, però, va valutata l’eccezione relativa alla estinzione per prescrizione, il cui termine andava a scadere, a fronte della dichiarazione di fallimento del 21 ottobre 2011, il 21 febbraio 2018, quindi prima della sentenza di appello del 14 marzo 2019, tenendo in conto che la recidiva era stata esclusa con la sentenza di primo grado.
Non sussistono ragioni di sospensione del termine né Io è quella prevista dall’art. 175, comma 8, cod. proc. pen., per quanto richiamata dall’art. 670, comma 3, cod. proc. pen. in quanto nel caso in esame il Giudice dell’esecuzione non ha rimesso nei termini l’imputato per omessa notifica dell’estratto contumaciale, ma ha invece dichiarato la non esecutività della sentenza emessa dalla Corte di appello ora impugnata (anche se nel dispositivo dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione si legge della sentenza del 24 ottobre 2014, il numero 1791 e l’insieme della motivazione confermano trattarsi della sentenza del 14 marzo 2019).
Difatti la previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 175 cod. proc. pen. secondo cui, nell’ipotesi di restituzione nel termine concessa ai sensi del comma secondo del predetto articolo nella versione antecedente le modifiche operate dalla legge n. 67 del 2014, non si tiene conto, nel computo della prescrizione del reato, del tempo intercorso tra la notificazione della sentenza contumaciale o del decreto di condanna e la notificazione alla parte dell’avviso di deposito dell’ordinanza che concede la restituzione – non è suscettibile di estensioni analogiche “in malam partenn”, non potendo in particolare ricomprendere, ai fini della sterilizzazione dei tempi di prescrizione, l’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione accerti, ai sen dell’art. 670 cod. proc. pen., che la sentenza non è esec:utiva per omessa notificazione, disponendone la rinnovazione (Sez. 3, n. 8713 del 02/12/2016, dep. 2017, Thioune, Rv. 58 – 01). Il che è accaduto nel caso in esame.
Inoltre va ricordato che è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. U., n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819 – 01).
Il motivo è dunque consentito e fondato e la sentenza va annullata sul punto agli effetti penali, fermo restando quelli civili sanciti dalla sentenza di condanna in primo grado. Ne consegue l’eliminazione della frazione di pena in aumento nella misura di mesi tre di reclusione.
P.Q.M1.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) perché estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, 22/11/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidenye