Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1781 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1781 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN FELICE A CANCELLO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/11/2022 della CORTE APPELLO di TOKNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
In parziale riforma della sentenza resa in primo grado nei confronti di NOME COGNOME, la Corte d’appello di Torino ha dichiarato estinti per intervenuta prescrizione i reati di truffa, di cui ai capi da 1 a 6 dell’imputazione, confermando la condanna per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e cagionamento con operazioni dolose del fallimento della RAGIONE_SOCIALE (art. 223, secondo comma, n.2, I. fall.). Ritenuta contestata in fatto la circostanza aggravante dei più fatti di bancarotta e concesse le circostanze attenuanti in regime di equivalenza, la Corte territoriale ha rideterminato la pena in anni tre e mesi sei di reclusione e, in pari misura, le pene accessorie di cui all’art. 216, u.c., I. fall. Secondo i capi 9 e 10 dell’imputazione, NOME COGNOME, “in qualità di socio accomandatario (e, pertanto, amministratore) della RAGIONE_SOCIALE, distraeva dal patrimonio di quest’ultima merci e beni acquistate con modalità fraudolente, grazie alla commissione delle truffe descritte” ai capi da 1 a 6, così compiendo atti destinati a cagionare il fallimento della RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ai due motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, variamente articolato, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione: 1) alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado; 2) alla mancata ammissione di richieste probatorie; 3) alla qualità di amministratore di fatto, erroneamente ravvisata dalla Corte territoriale in capo all’imputato, posto che altri soggetti (segnatamente, il COGNOME) indicati nel ricorso, avrebbero posto in essere atti di gestione concreta della società. A tal proposito, la difesa sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere il ruolo di “extraneus concorrente nel reato proprio dell’amministratore formale”. In quanto mera “testa di legno”, all’imputato non potrebbe ascriversi l’elemento psicologico della consapevolezza di compiere fatti distrattivi.
2.2 Col secondo motivo, si duole di omessa motivazione in relazione alla contestata aggravante dei più fatti di bancarotta e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti in regime di prevalenza.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del
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ricorso. La difesa dell’imputato ha depositato memoria, in cui reitera la richiesta di accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è inammissibile. Valga, per tutte le censure colà esposte, la premessa per la quale sono inammissibili, in sede di legittimità, le doglianze che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168). È inoltre inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, o che risultino carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv, 253849 – 01). Tanto premesso, rileva il Collegio come i motivi posti a base dell’atto di appello, integralmente riproposti in questa sede, siano stati già disattesi dalla Corte territoriale con motivazione articolata, logica e immune da violazioni di legge. L’iter argomentativo dell’impugnata sentenza restituisce, invero, un quadro da cui emerge con chiarezza la sussistenza degli elementi costitutivi degli ascritti reati. destinazione dei suddetti beni: cfr., ex multis,
Dopo aver costituito la società fittizia RAGIONE_SOCIALE, in apparenza operativa e solvibile, l’imputato -ha ricordato la Corte- si è attivato nell’attrarre fornitori stipulando una serie di contratti e concordando pagamenti dilazionati (con assegni -a firma, tutti, del COGNOME– risultati privi di copertura) che, sistematicamente, non venivano onorati. In maniera egualmente puntuale, le merci consegnate nel capannone, preso in affitto in Romentino dal COGNOME, venivano fatte sparire. La Corte d’appello ha sottolineato che tali episodi di truffa, benché coperti da intervenuta prescrizione, sono stati fattualmente dimostrati’ peraltro sulla base di dichiarazioni testimoniali dei numerosi creditori frodati, che ora la difesa vorrebbe rimettere in discussione, dimenticando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167). Correttamente applicando i principi dettati da questa Corte in tema di prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita (che può desumersi dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014′ COGNOME, Rv. 262740), i Giudici d’appello hanno illustrato come la prova della disponibilità, in capo alla fallita società, dei beni descritti in imputazione, acquistati mediante attività fraudolente, e della mancata consegna degli stessi agli organi del fallimento, sia stata fornita da numerosi elementi quali dichiarazioni testimoniali (quali, tra le altre elencate in parte motiva, quella del proprietario del capannone concesso in locazione alla
società fallita, del commercialista della medesima, di imprenditori di aziende confinanti con quella del COGNOME e di creditori-fornitori della RAGIONE_SOCIALE), l’analisi dei conti correnti della fallita società, l’assenza di dichiarazioni fiscali.
Rispetto a tale ricostruzione, il ricorrente propone deduzioni inidonee a scalfire l’apparato motivazionale dell’impugnata sentenza, efficacemente ispirata al fondamentale canone valutativo, secondo cui l’apprezzamento dei risultati probatori deve avvenire attraverso l’esame di tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal AVV_NOTAIO contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 260071 – 01).
La solida motivazione resa in merito alla sussistenza della condotta distrattiva si salda, senza soluzione di continuità, con la parte motiva relativa all’elemento soggettivo del reato, in cui la Corte territoriale, mostrando di tenere esattamente presente la cornice ermeneutica di riferimento apprestata dalla Corte di legittimità tanto in tema di amministratore di diritto quanto in tema di amministratore di fatto, ha valorizzato la rilevanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o dell funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati e di indici sintomatici espressivi dell’inserimento organico, con funzioni direttive, nella sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale (v., ad es., Sez. 2 n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850 – 0; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01). Si è infatti sottolineato il ruolo gestorio del ricorrente, traendolo da una pluralità di dati ricavati dall’istruttoria dibattimentale, quali, tra gli alt l’attiva partecipazione agli accordi truffaldini, l’assunzione di decisioni sull’attuazione del programma di gestione, i rapporti coi fornitori, l’apertura di conti correnti, la sottoscrizione dei titoli di credito.
Per altro verso, si è ricordato il ruolo anche formale rivestito dall’imputato nella vita societaria, avendo egli consapevolmente accettato il ruolo di socio accomandatario e amministratore della fallita società nei modi precipuamente indicati in parte motiva (v. p. 14-15 dell’impugnata sentenza).
Il secondo motivo è inammissibile, per mancato confronto con gli argomenti forniti dalla Corte territoriale in merito alle censure dedotte. Con compiuta conseguenzialità logica rispetto al precedente iter motivazionale, la Corte d’appello, giunta alla valutazione relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ha ritenuto che alcun motivo giustificasse un regime di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla contestata circostanza aggravante di più fatti di bancarotta, dato il disvalore del fatto espresso da tale ultima circostanza.
A tal proposito, gioverà ricordare che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità quando, come nella specie, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Va infine rimarcata la totale dissonanza, rispetto alla parte motiva, che caratterizza la parte finale del motivo in parola, dato che, secondo la difesa, saremmo “di fronte a un’ipotesi di truffa, di circa 28.000 euro”, per cui “il Giudice (l’appello avrebbe dovuto considerare insussistente l’aggravante contestata e ciò in ragione della tenuità assoluta del fatto” (p. 11 del ricorso). Con ciò, la difesa dimostra soltanto di aver sottoposto a questo Collegio frasi estrapolate dall’atto di appello e riproposte in questa sede, posto che la contestata circostanza aggravante non ha riguardo al danno di rilevante gravità (che era stata già esclusa in primo grado), ma è stata ritenuta in relazione ai più fatti di bancarotta (art. 219, secondo comma, n. 1, I. fall.), e posto anche che quest’ultima circostanza aggravante non concerne i reati di truffa, dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, ciò che non sarà sfuggito all’attenzione della difesa.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile. All’inammissibilità consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, così equitativamente determinata in relazione a i motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5/10/2023
Il Consigliere estensore
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