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Bancarotta fraudolenta: l’amministratore di fatto

La Corte di Cassazione conferma la misura cautelare degli arresti domiciliari per un amministratore, accusato di bancarotta fraudolenta e reati tributari. La sentenza chiarisce che il ruolo di ‘amministratore di fatto’ e la spiccata capacità criminale dimostrata giustificano il pericolo di reiterazione del reato, rendendo irrilevante la sua successiva dimissione da ogni carica formale. Il caso riguarda la sistematica spoliazione di un’importante società energetica attraverso complesse operazioni distrattive e l’accumulo di ingenti debiti fiscali.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta: il ruolo dell’amministratore di fatto e l’irrilevanza delle dimissioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un complesso caso di bancarotta fraudolenta, fornendo chiarimenti cruciali sulla figura dell’amministratore di fatto e sull’attualità delle esigenze cautelari anche quando l’indagato si è dimesso da ogni carica sociale. La Corte ha confermato la misura degli arresti domiciliari per un manager, ritenendo che il suo ruolo gestorio concreto e la sua spiccata capacità criminale prevalessero sulla cessazione dei rapporti formali con le società coinvolte.

I Fatti: La Spoliazione Sistematica di un Gruppo Energetico

Il caso trae origine dal fallimento di un’importante società per azioni operante nel settore energetico. Secondo l’accusa, gli amministratori, tra cui il ricorrente, avrebbero posto in essere una serie di operazioni illecite finalizzate a svuotare il patrimonio aziendale a danno dei creditori e dell’Erario. Le condotte contestate includevano:

1. Distrazione di Asset Strategici: La cessione delle quote di controllate di valore a una società collegata con sede nel Regno Unito per un importo di quasi 97 milioni di euro. L’operazione era palesemente antieconomica: il pagamento era dilazionato in dieci rate annuali e il debito era stato poi accollato a un’altra società del gruppo, completamente insolvente. Di fatto, la società fallita era stata privata dei suoi beni più preziosi senza ricevere un reale corrispettivo.
2. Causazione del Dissesto: La sistematica omissione del versamento di imposte e contributi, che aveva generato un debito verso l’Erario di oltre 200 milioni di euro.
3. Pagamenti Preferenziali: L’esecuzione di pagamenti per oltre 62 milioni di euro a favore di una società di servizi appartenente allo stesso gruppo, in violazione della par condicio creditorum, quando l’azienda era già in uno stato di grave crisi finanziaria.
4. Reati Tributari: L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e la compensazione di debiti fiscali con crediti fittizi.

La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta Fraudolenta

L’indagato aveva presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, che i giudici di merito non avessero valutato autonomamente le prove e che non sussistesse più un pericolo concreto di reiterazione del reato, dato che aveva lasciato ogni incarico formale da tempo. La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso. I giudici hanno sottolineato che il provvedimento impugnato non era una mera copia della richiesta del Pubblico Ministero, ma il risultato di un’analisi approfondita di tutti gli elementi, comprese le tesi difensive.

Il Ruolo dell’Amministratore di Fatto

Il punto centrale della decisione riguarda la figura dell’amministratore di fatto. La Corte ha evidenziato come, al di là della titolarità formale delle cariche, l’indagato fosse pienamente coinvolto nella gestione e nelle decisioni strategiche del gruppo. Intercettazioni telefoniche e altri elementi probatori dimostravano il suo ruolo attivo nell’elaborazione e conduzione delle operazioni distrattive. La sua posizione di membro del CdA all’epoca dei fatti e la titolarità di quote nella società veicolo estera confermavano il suo interesse diretto nell’operazione. La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: nel diritto penale societario, ciò che conta è l’esercizio effettivo del potere gestorio, non la qualifica formale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su una valutazione complessiva e non frammentaria degli indizi. L’operazione di cessione delle quote, sebbene presentata dalla difesa come una scelta imprenditoriale, è stata inquadrata in una più ampia strategia illecita volta a sottrarre risorse alla società per proteggerle dai creditori, in primis l’Erario. Il movente, secondo i giudici, era proprio la necessità di liberarsi dell’enorme debito fiscale accumulato.

Sulla questione delle esigenze cautelari, la Corte ha ritenuto pienamente sussistente e attuale il pericolo di reiterazione del reato (periculum libertatis). La particolare gravità dei fatti, l’ingente danno economico, la professionalità dimostrata nel pianificare ed eseguire reati complessi attraverso articolate strutture societarie, anche estere, delineavano una spiccata e persistente capacità a delinquere. La dimissione dalle cariche sociali è stata giudicata irrilevante, poiché l’indagato aveva già dimostrato di poter agire come amministratore di fatto, ovvero di poter influenzare le scelte economiche e gestire società senza bisogno di un ruolo formale. Di conseguenza, misure meno afflittive degli arresti domiciliari sono state ritenute inadeguate a contenere tale pericolo.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma di due principi cardine in materia di reati societari. Primo, la responsabilità penale per bancarotta fraudolenta non si ferma alle nomine ufficiali, ma si estende a chiunque eserciti concretamente un potere direttivo all’interno dell’impresa (l’amministratore di fatto). Secondo, la valutazione del pericolo di reiterazione del reato deve basarsi su elementi concreti legati alla personalità dell’indagato e alle modalità del fatto, e non può essere esclusa automaticamente dalla semplice cessazione delle cariche formali, specialmente in contesti di criminalità economica organizzata e complessa.

Dimettersi da una carica sociale è sufficiente per evitare una misura cautelare come gli arresti domiciliari?
No. Secondo la Corte, se l’indagato ha dimostrato una spiccata capacità criminale e la capacità di operare come ‘amministratore di fatto’ (cioè senza cariche formali), il pericolo concreto e attuale di commettere nuovi reati può persistere. Le dimissioni, da sole, non sono sufficienti a neutralizzare tale rischio.

Cosa si intende per ‘amministratore di fatto’ e perché è una figura rilevante nei reati di bancarotta fraudolenta?
L’amministratore di fatto è colui che, pur non avendo una nomina ufficiale, gestisce in concreto un’impresa, prendendo decisioni strategiche. Questa figura è cruciale perché la legge penale attribuisce la responsabilità per i reati societari a chi ha effettivamente compiuto le azioni illecite, indipendentemente dal suo ruolo formale. In questo caso, l’indagato è stato ritenuto responsabile proprio perché agiva come gestore effettivo.

Un’operazione societaria apparentemente legittima, come la vendita di quote, può essere considerata un atto di bancarotta fraudolenta?
Sì. Un’operazione può essere considerata distrattiva se, al di là della sua veste formale, priva la società di beni senza un reale e adeguato corrispettivo, danneggiando così i creditori. Nel caso specifico, la vendita delle quote a una società collegata con pagamento fittizio (accollato a un’entità insolvente) è stata ritenuta un’operazione finalizzata a sottrarre patrimonio e quindi un atto di bancarotta fraudolenta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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