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Bancarotta fraudolenta: l’amministratore di fatto

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta. La Corte ha confermato la sua responsabilità sia come amministratore di diritto che, successivamente, come concorrente esterno che di fatto gestiva la società, distraendone ingenti somme a proprio favore.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: Responsabile anche l’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati fallimentari: la responsabilità per bancarotta fraudolenta non si ferma alla carica formale, ma si estende a chiunque, di fatto, gestisca l’impresa e ne causi il dissesto attraverso atti di distrazione. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere come la giustizia guardi alla sostanza dei ruoli aziendali piuttosto che alla mera forma.

I Fatti del Caso

Un imprenditore è stato condannato in primo e secondo grado dalla Corte di Appello di Torino per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. L’accusa si fondava sull’aver sottratto ingenti somme di denaro dalle casse della società poi fallita. Le distrazioni erano avvenute tramite bonifici, privi di qualsiasi giustificazione economica, eseguiti a favore dell’imputato stesso o di altre società a lui riconducibili.
L’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condanna fosse basata su un vizio di motivazione, poiché, a suo dire, non vi erano prove univoche e concordanti capaci di dimostrare la sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati dall’imputato non fossero altro che una riproposizione delle stesse argomentazioni già esaminate e respinte con una motivazione logica e congrua dalla Corte di Appello. La Cassazione ha sottolineato come il ricorrente non si sia realmente confrontato con le ragioni della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare censure generiche.

Le Motivazioni: la Bancarotta Fraudolenta e il Ruolo di Fatto

La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito fosse immune da vizi. La responsabilità penale dell’imputato è stata desunta in modo logico da due elementi chiave:

1. Il ruolo durante la carica formale: Per il periodo in cui è stato amministratore di diritto della società fallita, le prove hanno dimostrato la sua diretta responsabilità nella distrazione di fondi.
2. Il ruolo come concorrente esterno: Anche per il periodo successivo, in cui non ricopriva più la carica formale, è emerso che era lui a ‘guidare’ l’amministratore di diritto nella gestione della società. Di fatto, continuava a essere il dominus dell’impresa, proseguendo nell’attività distrattiva.

La Corte ha quindi confermato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta, è irrilevante la qualifica formale quando emerge che un soggetto, agendo come ‘amministratore di fatto’ o ‘concorrente esterno’, ha causato il depauperamento del patrimonio sociale a danno dei creditori.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza. La responsabilità per i reati societari, e in particolare per la bancarotta, va individuata in capo a chi esercita effettivamente il potere gestorio, a prescindere da chi figuri formalmente come amministratore. L’uso di ‘prestanome’ o figure di facciata non costituisce uno schermo efficace per eludere le conseguenze penali delle proprie azioni. La giustizia penale, in questi contesti, è attenta a ricostruire i reali flussi di potere e decisionali all’interno dell’impresa, punendo chi, con le proprie condotte, ha svuotato il patrimonio aziendale destinato a soddisfare i creditori.

Può essere condannato per bancarotta fraudolenta chi non è più amministratore formale di una società?
Sì. La sentenza conferma che una persona può essere ritenuta responsabile come ‘concorrente esterno’ se emerge che, pur non avendo più la carica formale, di fatto ‘guidava’ l’amministratore di diritto nella gestione della società, contribuendo alla distrazione dei beni aziendali.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le argomentazioni già presentate in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha specificato che il ricorso non può essere una mera riproposizione di censure già respinte, ma deve confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone i vizi logici o giuridici.

Quali prove sono state considerate sufficienti per dimostrare la distrazione di fondi?
La condanna si è basata sulla prova di notevoli importi distratti tramite bonifici eseguiti senza alcuna giustificazione a favore del ricorrente o di società a lui riconducibili. Questi elementi, uniti alla prova del suo ruolo di gestione di fatto, sono stati ritenuti sufficienti per affermare la sua responsabilità penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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