Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17215 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17215 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a UDINE il 18/03/1962
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE d’APPELLO di CATANIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME per la parte civile costituita NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando nota spese.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania, con la sentenza emessa il 2 luglio 2024, confermava quella del Tribunale di Ragusa, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva
impropria. Il delitto veniva ritenuto commesso a mezzo del contratto di affitto di ramo di azienda, stipulato il 31 dicembre 2010, da COGNOME quale amministratore dalla RAGIONE_SOCIALE – dichiarata fallita in data 8 luglio 2014 – con la RAGIONE_SOCIALE, il cui amministratore era il figlio dell’imputato e la cooperativa cessionaria aveva sede nella medesima sede della fallita.
Oggetto dell’affitto erano anche cinque autovetture utilizzate per il trasporto di materiale biologico e cordoni ombelicali, nell’ambito di un appalto con la ASP n. 1 di Agrigento, appalto le cui gare dopo la scadenza erano andate deserte cosicché spettava in prorogatio alla fallenda proseguire nell’assicurare il servizio.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo deduce vizio di motivazione.
Il ricorrente dopo aver chiarito di aver dovuto assicurare comunque il servizio, anche per evitare l’interruzione di un pubblico servizio, pur non venendo più pagata RAGIONE_SOCIALE dalla Azienda sanitaria perché non più in regola con i versamenti previdenziali, evidenzia come la Corte di appello abbia trascurato l’elemento decisivo del rischio di violazione dell’art. 341 cod. pen.
Inoltre, evidenzia il ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto erroneamente RAGIONE_SOCIALE morosa verso la ASP.
2.2 Il secondo motivo lamenta mancanza di motivazione in relazione a un profilo proposto con l’atto di appello e non valutato dalla Corte territoriale.
Il contratto di affitto prevedeva anche dei benefici per la cedente, poi fallita, in quanto la cessionaria RAGIONE_SOCIALE si fece carico delle esposizioni della precedente gestione – sanare le passività dei dipendenti e fornitori della gestione precedente – e non avrebbe interrotto il servizio pubblico affidato a RAGIONE_SOCIALE che continuava a dover, seppur in proroga, assicurarlo.
La Corte di appello non si è confrontata con tale profilo di convenienza.
2.3 II terzo motivo deduce violazione di legge per carenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta.
Lamenta il ricorrente che, per le ragioni esposte già con il secondo motivo, l’affitto non esulasse dagli scopi sociali, essendo il relativo contratto uno strumento per proseguire nella prestazione di servizio pubblico e per ottenere il pagamento dei dipendenti.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
2. I motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.
Il primo motivo è manifestamente infondato in quanto il tema della necessità di evitare l’interruzione di un pubblico servizio, come osserva la Procura generale, afferisce ai motivi dell’agire e non può certamente costituire una causa di giustificazione.
Quanto al secondo motivo, lo stesso è fondato nella parte in cui lamenta che la Corte di appello non si sia confrontata con il tema della convenienza dell’affitto del ramo di azienda per la cedente.
Si tratta di un profilo che l’appello aveva proposto (cfr. fol. 4 e fol. 5) e che non è stato né riportato nella ricapitolazione delle censure di appello, né affrontato dalla sentenza qui impugnata.
Il rilievo difensivo, se fondato, è certamente decisivo, per le ragioni addotte dal ricorrente. Difatti, la condotta distrattiva implica un ingiustificato depauperamento per la cedente, che costituisca un pericolo concreto per la garanzia dei creditori, il che invece, in caso di convenienza effettiva per la cedente, escluderebbe il delitto di pericolo concreto, che mette a rischio le garanzie per il ceto creditorio.
A tal proposito, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela. Ne consegue che costituisce condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all’area d’operatività dell’art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., ad esempio, l’affitto dei beni aziendali per un canone incongruo o simulato (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 241830) o comunque al quale non consegua l’incasso dei canoni pattuiti da parte della società fallita, senza che sia addotta alcuna giustificazione in proposito (Sez. 5, n. 16989 del 2 aprile 2014, Costa, Rv. 259858).
Pertanto, l’assenza di una verifica da parte della Corte di appello, quanto alla effettiva utilità prevista e concretamente tratta da parte della fallita, risulta decisiva.
In assenza di tale elemento di valutazione non basta il richiamo ai soli indici di fraudolenza, quale la identità della sede e la circostanza che la cessionaria facesse capo al figlio dell’amministratore della fallita, in quanto ben più ampio è il ventaglio degli elementi da valutare.
Infatti, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 – dep. 01/08/2017, COGNOME e altro, Rv. 27076301). In sostanza, la pluralità di indici di fraudolenza richiede una valutazione singola e complessiva dei profili evidenziati, per altro a titolo esemplificativo.
Quanto, poi, al terzo motivo, lo stesso è inedito, in quanto con l’atto di appello nessuna specifica doglianza veniva mossa sul tema del coefficiente psicologico del reato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di
motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano
costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per
cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , COGNOME, Rv. 281813; Sez.
2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306;
Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del
29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv.
270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368).
3. Ne consegue l’annullamento con rinvio, sul profilo evidenziato e proposto con il secondo motivo di ricorso, dovendo la Corte di appello, nella autonoma
rivalutazione dei fatti, applicare i principi di diritto richiamati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Così deciso il 14/03/2025