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Bancarotta fraudolenta: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma le condanne per gli imputati coinvolti nel fallimento di una società, chiarendo la responsabilità penale dell’amministratore formale e dei consulenti esterni. Il caso riguarda complessi reati di bancarotta fraudolenta e illeciti tributari, realizzati attraverso operazioni fittizie e distrazioni di beni. La Corte ha rigettato la tesi difensiva dell’amministratore che si dichiarava un semplice ‘prestanome’, sottolineando come la sua consapevolezza e partecipazione attiva alle condotte illecite fondino la sua piena colpevolezza in concorso con l’amministratore di fatto.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: Quando l’Amministratore Formale Risponde dei Reati

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4556/2024 offre un’importante lezione sulla bancarotta fraudolenta e sulla ripartizione delle responsabilità penali all’interno delle società. Il caso analizzato chiarisce in modo netto che la qualifica di amministratore ‘formale’ o ‘prestanome’ non è sufficiente a escludere la colpevolezza quando vi è la consapevolezza delle operazioni illecite che portano al dissesto aziendale. Approfondiamo i dettagli di questa complessa vicenda giudiziaria.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dal fallimento di una società per azioni, provocato da una serie di condotte illecite orchestrate dall’amministratore di fatto (il dominus dell’azienda) con il concorso di amministratori di diritto e consulenti esterni. Le operazioni che hanno svuotato le casse sociali erano sofisticate e diversificate:

* Operazioni Distrattive e Compensazioni Fiscali Illecite: La società ha effettuato apparenti acquisti di ‘bond bulgari’ per giustificare pagamenti volti a coprire l’uso di crediti tributari inesistenti, forniti da consulenti esterni, per un valore di circa 6,4 milioni di euro.
Distrazione di Fondi all’Estero: Ingenti somme di denaro sono state trasferite su un conto corrente di una società peruviana, senza alcuna valida ragione imprenditoriale, per poi essere dirottate su conti personali del dominus* o prelevate in contanti.
* Fittizia Ricapitalizzazione: Per mascherare le perdite accumulate, è stato realizzato un fittizio aumento di capitale sociale attraverso il conferimento di una ‘library’ di produzioni video multimediali, il cui valore è stato deliberatamente sovrastimato in modo fraudolento.
* Bancarotta da Operazioni Dolose: È stato omesso sistematicamente il versamento di IVA, IRES, ritenute e contributi, aggravando ulteriormente il dissesto della società.

La Posizione degli Imputati e i Motivi di Ricorso

Gli imputati, tra cui l’amministratore di diritto e i consulenti che avevano ideato il sistema delle compensazioni illecite, hanno proposto ricorso in Cassazione contestando la loro responsabilità. In particolare, la difesa dell’amministratore di diritto ha sostenuto che egli fosse un mero ‘prestanome’, inconsapevole e privo di poteri decisionali, che si occupava solo di aspetti logistici e non della gestione finanziaria e amministrativa, interamente nelle mani del dominus.

I consulenti, d’altro canto, hanno contestato il loro coinvolgimento nel reato di bancarotta, sostenendo di aver agito in un periodo in cui non avevano ancora contatti con la società poi fallita e di non essere consapevoli che la loro condotta avrebbe contribuito al depauperamento del patrimonio sociale.

La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, confermando le condanne emesse nei gradi di merito. La sentenza ha ribadito principi fondamentali in materia di bancarotta fraudolenta e concorso di persone nel reato, smontando le tesi difensive degli imputati.

Le Motivazioni

La Corte ha fornito una motivazione solida e articolata per ciascuna posizione.

Per quanto riguarda l’amministratore di diritto, i giudici hanno stabilito che la sua non era una posizione di mero ‘prestanome’. Le prove raccolte (testimonianze di dipendenti, intercettazioni, sottoscrizione di contratti chiave) hanno dimostrato la sua piena partecipazione alla vita aziendale e la sua consapevolezza delle scelte gestionali fraudolente. Anche se l’ideatore era l’amministratore di fatto, l’amministratore di diritto ha concorso nel reato non impedendo le condotte illecite e, anzi, avallandole volontariamente con il proprio operato. La sua responsabilità non deriva solo dalla carica formale, ma dalla sua condotta concreta di complice consapevole.

In riferimento ai consulenti esterni (extraneus), la Cassazione ha confermato la loro responsabilità a titolo di concorso in bancarotta. Essi, pur non essendo organi della società, hanno fornito un contributo causale decisivo al dissesto, ideando e realizzando il sistema delle indebite compensazioni. La loro condotta ha permesso di mascherare le perdite e di distrarre somme ingenti, configurando un’operazione dolosa che ha direttamente cagionato il fallimento. Il dolo del concorrente extraneus, specifica la Corte, consiste nella volontarietà del proprio apporto e nella consapevolezza che esso determinerà un depauperamento del patrimonio sociale a danno dei creditori.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori economici. La carica di amministratore, anche se solo formale, comporta doveri di vigilanza e controllo la cui violazione, in presenza di consapevolezza delle altrui attività illecite, può integrare una piena responsabilità penale per bancarotta fraudolenta. Allo stesso modo, i professionisti e consulenti esterni non possono considerarsi immuni: fornire strumenti e strategie per la realizzazione di reati societari equivale a concorrere negli stessi, con tutte le conseguenze penali che ne derivano.

Un amministratore ‘formale’ che non prende decisioni operative può essere condannato per bancarotta fraudolenta?
Sì. Secondo la sentenza, se l’amministratore formale è consapevole delle condotte illecite dell’amministratore di fatto e non interviene per impedirle, ma anzi le avalla con il proprio operato, risponde del reato a titolo di concorso. La sua non è una posizione di mero ‘prestanome’, ma di ‘complice consapevole’.

Un consulente esterno alla società può essere ritenuto responsabile per il reato di bancarotta?
Sì. Il consulente che, pur non essendo un organo sociale (quindi un extraneus), idea e realizza un meccanismo fraudolento (come un sistema di indebite compensazioni fiscali) che contribuisce a causare il dissesto della società, risponde a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose.

Quali prove sono state decisive per dimostrare la consapevolezza dell’amministratore formale?
La Corte ha valorizzato una serie di elementi concreti, tra cui le testimonianze di dipendenti che lo descrivevano come pienamente inserito nell’organigramma, la sua presenza alle riunioni del consiglio di amministrazione, la sottoscrizione di atti e contratti commerciali e le prove documentali (come email) che dimostravano la sua continua partecipazione alla gestione anche dopo la cessazione formale della carica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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